Giuseppe Maurizio Piscopo
Nel 2007, dieci anni fa, ebbi la fortuna di ascoltare un ragazzo che studiava all’Università di Palermo che suonava la chitarra e il mandolino con grande trasporto e malinconia. Aveva una faccia simpatica e solare. Aveva recitato in un film di Fortunato Sindoni e in Teatro. Gli proposi di far parte della Compagnia popolare favarese il gruppo più antico della Sicilia con un curriculum invidiabile. Nino accettò questa avventura e macinò con me chilometri e chilometri di prove da Castel di Lucio in provincia di Messina a Palermo. Da Palermo a Favara. La sua presenza nella Compagnia ha regalato la freschezza della gioventù e un tocco di mandolino che ha incantato Massimo Venturiello e tutti gli appassionati dello spettacolo teatrale “Barberia”… Questa è un’intervista gioiosa, una bella testimonianza di vita…
QUANDO E’ INIZIATA LA TUA AVVENTURA NELLA MUSICA , L’INCONTRO CON IL TUO PRIMO STRUMENTO?
Ti prego, già dall’inizio, di non giudicarmi borioso. Sai che non lo sono! Non voglio né millantare credito a mio favore né apparire ai lettori come un musicista che ha vissuto un ‘infanzia da enfant prodige. Me ne guarderei bene! Però, chi mi conosce bene da sempre, sa che sono nato in una famiglia e in un paese che vive di vera passione per la Musica. Quella con la M maiuscola. Quindi non ho fatto molta strada per incontrare il mio primo strumento. Fu una chitarra rotta, senza qualche corda e con la cassa armonica aperta come le scarpe sdrucite di noi bambini che si spalancavano ,- per la gioia delle mamme! – , mentre giocavamo per le strade. Mia zia quella chitarra, l’aveva riposta, momentaneamente, all’ingresso del nostro condominio, in attesa dell’arrivo puntuale, al mattino seguente, degli operatori ecologici. Non serviva più, perché era vecchia! I miei cugini più grandi, già musicisti, Lorenzo e Nino ( il mio omonimo) a cui era appartenuta, avevano già chitarre acustiche ed elettriche degne delle loro Rock-band in cui loro erano gli indiscussi protagonisti. In verità, anche noi a casa avevamo due chitarre, ma servivano a mio padre che si dilettava a suonare nell’orchestrina “ amici delle serenate” che si adunava presso la celebre bottega di calzolaio di Mastro Vincenzo Oreste, ( di cui parlo nel libro-cd “ Serenate al chiaro di luna ” a cura di G.M. Piscopo e C. Mazza, Ipsa ed. Palermo ). Quel ritrovamento, sulle scale di casa fu provvidenziale! Fu mio fratello Paolo che la ritrovò e i primi giorni si dilettava a fare l’imitazione del grande Domenico Modugno. Ma passò una settimana e me ne appropriai. Avevo poco più di sette anni, già a nove sapevo tutti gli accordi, e complice la mia innata musicalità avevo trovato finalmente una scusa per seguire mio padre e i suoi amici nelle serenate, e nelle feste di paese. Si! Ero entrato a pieno titolo come chitarrista effettivo nell’orchestrina. Poi imparai anche il mandolino. E me ne innamorai! Era per me un modo per sentirmi un po’ più grande.
COME ERI DA BAMBINO? QUANDO HAI SCOPERTO LE TUE QUALITA’ MUSICALI?
Sin da bambino il mio gioco preferito erano la musica e il teatro. Il calcio non faceva per me, lo capii in fretta, e lo capirono pure i miei amici che mi mettevano ( posteggiavano) sempre in porta. Porta ? – Due massi di pietra posti all’apice “da strata ranni ” a San Carlo. Il campo sportivo, che proprio quest’anno ha visto la squadra locale “ la Castelluccese” approdare in prima categoria, era ancora in costruzione. E i piccoli amanti del pallone giocavano per le strade dove si disputavano veri e propri campionati. Nel frattempo io e miei amici, specie a fine agosto quando finivano le feste, prima che iniziasse la scuola, ci dedicavamo ai nostri giochi preferiti, che consistevano nell’imitare le varie formazioni musicali che si erano esibite in piazza nelle settimane precedenti. Nel quartiere “Cutrazzo”, dove abitavano i miei nonni organizzavamo piccole rappresentazioni teatrali e musicali. La nostra batteria era composta da cartoni o da latte di ducotone che ripescavamo per strada; poi coi bastoni di legno riproducevamo il sax e le chitarre. Ancora l’era della play station nei salotti di casa era lontana, e nemmeno l’apertura delle due nuove sala-giochi e degli allettanti Mario-Bross era riuscita del tutto ad allontanarci dal nostro bizzarro modo di giocare. Strano no? Imitare i musicisti per sentirsi già grandi! Confesso, che oggi, spesso, mi capita di fare la cosa inversa: Fare musica per ritornare bambino.
LA TUA MANIERA DI SUONARE IL MANDOLINO è STRAORDINARIA . MENTRE SUONI COSA IMMAGINI PAESI E CITTA’ LONTANI?
Grazie per il complimento. Caffè pagato! – Certamente suonare e fare propria la musica popolare, dei barbieri, degli artigiani e dei contadini di una volta, eseguire i brani dei grandi mandolinisti del passato come G. Gioviale, G.Vicari, F. Li causi, comporta, inevitabilmente, una ricerca interiore, un lavoro di immaginazione e d’interpretazione notevole per ricercare e ritrovare atmosfere, contesti e panorami perduti, oggi ai più inediti. I miei studi teatrali forse qui fanno proprio al caso nostro. Tuttavia col tempo, ho anche capito che per fare musica si necessita di una pulizia e di un’attenzione analitica, che meritano un piglio anche un po’ più scientifico. Credo, che sul palco siano vietate le distrazioni. La musica, di qualsiasi genere, deve essere concepita e offerta anche nella forma geometrica e lineare propria con le sue regole. Solo in tal senso, può essere capace di donare poi sogni e immagini al pubblico, che è l’unico e il solo giudice supremo. E questo vale sempre. Sia se si suona in una festa di provincia, sia se siamo davanti a un grande Teatro di città
QUANDO HA INFLUITO IL TUO PAESE NELLA TUA MUSICA?
Ho già fatto cenno alla forte vocazione musicale che vanta Castel di Lucio. La storia della secolare banda musicale “San Placido” oggi diretta dal mio amico Maestro Nino Amato e per anni diretta da mio fratello Giuseppe, e prima di lui dall’amico Maestro Sebastiano Giordano parla da sé. Negli anni 70, addirittura, il paese si spaccò in due, anche con inevitabili ripercussioni politiche, perché di bande se ne crearono due. Un paese, che allora contava poco più di mille e ottocento anime con due corpi musicali significò che in ogni casa almeno vi fosse uno strumento musicale.- Per non parlare poi dei tanti talenti musicali che, prima, insieme e dopo di me sono cresciuti dentro le mura di questo piccolo centro. Penso, al polistrumentista Corrado Amato, al bassista Placido Amato, ai miei cugini Lorenzo e Nino, al saxofonista Antonio Mammana, alla cantante Antonella Alberti, al pianista Marco Mammana, al giovanissimo studente di Conservatorio di trombone Placido Iudicello, quest’ultimo già figlio e nipote d’Arte. Ma torniamo a noi. Per me eseguire o reinterpretare al mandolino le varie sonate che prima di me ha suonato mio zio Franco, o Mastro Vincenzo, rivivere i tanghi malinconici di Lorenzo Campo, i virtuosi valzer di Peppino e Vincenzo Gussio, riprendere le giocose sonorità al mandolino dell’avv. Mammana e di altri ancora, è motivo di orgoglio e la considero come una missione irrinunciabile. E’ questo, un mezzo per non interrompere il dialogo col passato e offrirlo, sia pure in chiave un po’ più moderna, al presente per poi aprirlo al futuro. Parte da qui la mia avventura! Semplici note, ma che rappresentano un patrimonio immateriale non solo da non disperdere, ma da promuovere ancora con forza innovativa.
QUAL È LA TUA DEFINIZIONE DI MUSICA?
Basta immaginare un mondo senza Musica per capire quanto importante e naturale fosse la sua presenza. La Musica per me è essenza di vita. È pane, è vita. Spesso dico, parafrasando S. Agostino, che la Musica è il mezzo che ci ricongiunge all’eterno. Ma basta con la filosofia, su! Fammi una domanda più leggera…
CHE COSA è STATA PER TE L’ESPERIENZA CON UN PICCOLO CENTRO COME CASTEL DI LUCIO ?
Te ne ho già parlato ampiamente. Dai, passiamo ad altro. Fra due ore ho un treno per Tusa, devo ritornare a casa. Che dirti di altro? Il mio è un piccolo ma antico paese sui Nebrodi ma ai confini di tre province, Messina, Palermo, ed Enna. Nonostante la corrente elettrica fosse arrivata solo nel 52’ e le prime strade rotabili che lo collegassero al resto del mondo fossero state costruite nella seconda metà del secolo scorso, questo mio selvaggio borgo natìo, ( prendo in prestito le parole del poeta di Recanati ) ha un patrimonio materiale e immateriale che merita rispetto e considerazione da parte di tutti. Oggi le sue chiese, il castello normanno, le stradine coi balconi infiorati, le tradizioni religiose con in testa la suggestiva processione e ballateddra del protettore San Placido Martire, i preziosi prodotti lattiero-caseari, le serenate che ancora si possono ascoltare nelle notti ( d’agosto) e tanto altro, certamente rappresentano il più allettante invito ai più attenti turisti e ricercatori a visitarlo e viverlo. Certamente, non siamo presenti negli elenchi della Loney Planet, e forse nemmeno in molte cartine geografiche, ma ne vale pena di fermarsi a Castel di Lucio.! Il mio è un paese, come tanti paesi siciliani, a vera dimensione umana, dove si nasconde e si rivive in ogni suo angolo la vera anima della nostra terra. E non vi è dubbio che ha influito e contribuisce tenacemente tutt’ora nella mia formazione di musicista e di cittadino.
COM’E’ IL TUO RAPPORTO CON GLI ALTRI MUSICISTI?
Ottimo. Il vero musicista si riconosce dall’umiltà e dalla disponibilità a crescere e condividere del tempo con gli altri. Con molte persone con cui suono ho instaurato un rapporto di vera e profonda Amicizia.
QUALI SONO I TUOI MUSICISTI DI RIFERIMENTO ?
Ne ho diversi, cambiano spesso con gli anni e con la sensibilità che muta e si trasforma.
CHE COSA RAPPRESENTA PER TE L’ESPERIENZA CON LA COMPAGNIA POPOLARE FAVARESE ?
Ti ricordi quando Andrea Piscopo e Maurizio Raimondi ci hanno presentati? Poco dopo, ho assistito a due vostri spettacoli… Correva l’anno 2007. La Compagnia era alle prese con la presentazione del libro –cd “ Musica dai Saloni” curato da te e da Gaetano Pennino per la parte letteraria e da Mimmo Pontillo e da Peppe Calabrese per la parte musicale. (Casa Museo Uccello prima Edizione e poi Nuova Ipsa in seconda edizione). E in una di quelle sere, mi pare fossimo all’auditorium RAI di Palermo, tu mi hai proposto di entrare nel gruppo. Io senza esitazione accettai. Mi colpirono da subito due cose: la prima, come questo gruppo unisse in una sola anima, Musica, Letteratura e passion e per la Sicilia. E credo sia questa forse la ricetta magica che vi e ci distingue dalle altre formazioni. La seconda, non meno importante della prima, la limpidezza dei mandolini suonati magistralmente da Mimmo. Un vero “Maradona del mandolino”! – chi lo ha definito così non si è sbagliato…
HAI COMPOSTO DELLA MUSICA, E SCRITTO UNA CANZONE SPECIALE?
Si! Scrivo e compongo diverse cose oramai da anni. Molte conosciute. Molte rimaste nel cassetto. Il brano più suggestivo capace di evocare emozioni credo l’ho dedicato a mio padre. E’ una dedica personale e intima. Mio padre, che di professione faceva il fabbro ( oggi in pensione ), ha la capacità di modellare il ferro battuto come fosse pasta reale. Insomma! Trasformare una semplice bacchetta di ferro, in un fiore, in una rosa, in un grimaldello, con estrema naturalezza e agilità da piccolo, con il suo lavoro mi faceva pensare ad una vera e propria magia. Oggi, per me è un’arte che solo pochissimi giovani artigiani di questi tempi continuano a portare avanti. Ma questo brano desidero profondamente, che sia visto anche come un omaggio a tutti gli uomini che sono cresciuti dopo il secondo dopoguerra. Insomma, i Papà chi “manu ranni” che rappresentano il vero e unico modello di vita per i figli. Con la Compagnia “tango Disìu –musiche dei Porti “ e col mio amico chitarrista Francesco Maria Martorana la eseguiamo spesso. Ed è sempre un successo. – Ve ne sono grato!
MI PUOI COMMENTARE QUESTA FRASE : “ IL MONDO è DI QUELLI CHE NON SI ARRENDONO MAI ”?
Solo con la tenacia, e la giusta energia si possono raggiungere i propri obiettivi, guadagnandosi la propria porzione di mondo. Non basta sognare. Il mondo è di chi con i propri talenti trova la forza per mettersi in cammino e affronta le sfide senza arrendersi. Ma non dico nulla di nuovo: la parabola dei Talenti di Evangelica memoria ci insegna a vivere e costruire un mondo nuovo. Non sarebbe male, poi se ognuno contribuisse a rendere questa società un po’ più solidale e tendere la mano a chi a più bisogno. Nel tuo caso, ad esempio, basterebbe finirla con le domande ed evitare di farmi perdere il treno…
E’ VERO CHE GLI ARTISTI SONO BENEFATTORI DELL’UMANITA’ ?
“L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita, vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”: cosi si legge sul frontone del nostro maestoso Teatro Massimo. Ci credo molto a questa frase. Al di là di un sottile velo di narcisismo, giustificabile in ogni artista, credo molto all’arte come importante funzione sociale, ossia vista come strumento per trasmettere emozioni, valori e sentimenti autentici, per comunicare storia. Ma per capire seriamente gli artisti credo che la gente dovrebbe guardare un pò meno tv e dedicare il proprio tempo libero a se stessi, per riappropriarsi delle proprie città, della propria cultura. Se mi permetti inviterei i lettori a riempire i Teatri, a visitare i musei, andare ai concerti, girare luoghi nuovi o semplicemente a fermarsi a godere i posti in cui viviamo da sempre. Abbiamo la fortuna di vivere in una terra bellissima. Dovremmo solo acquistarne maggiore consapevolezza. Non solo a parole!
QUALI SONO I TUOI PROGETTI PER IL FUTURO ?
Tanti, ma due in particolare: il primo fra tutti, voglio continuare a fare musica, a studiare per migliorarmi come artista. Lo debbo a me stesso, alla mia famiglia, e i tanti amici che mi stimano per le cose che faccio. Il secondo impegno, se mi permetti ancora più imminente, riuscire a prendere il treno per Tusa. Quindi, tolgo il disturbo! Buon viaggio a tutti! Corro.