Un’omelia, come sempre, intensa, ricca di contenuti, significati, di messaggi quella di oggi, festa di Maria l’Immacolata. Un’omelia che l’Arcivescovo di Agrigento ha strutturato per richiamare tutti al senso di responsabilità, a fare di più per questo territorio.
“Le ultime statistiche che hanno visto Agrigento avanzare di qualche posizione – ha evidenziato il Pa-store – ci dicono che la strada è ancora lunga e la scalata ai posti più alti è faticosa. È vero che la sua riuscita dipende dalle Istituzioni e da chi le amministra, ma è anche vero che o-gnuno di noi deve sentirsi un vivace protagonista della storia di questa città. Se vogliamo che la nostra città cambi, lo ripeto ancora, dobbiamo essere noi a cambiare per primi”.
Poi don Franco, come lui preferisce farsi chiamare, ha scomodato La Pira. “Adatto alla nostra città quanto lui ha detto per Firenze. “Che cosa è Agrigento? Una casa grande, funzionale e bella, casa costruita nei secoli, con l’apporto di tutte le generazioni, su uno spazio definito dal Mar Mediterraneo, dai monti Sicani che l’abbracciano, per la grande famiglia agrigentina. Il ruolo della nostra città, legato anche alla posizione geografica, è strategico. Siamo il lembo finale dell’Europa, ma non è detto che la fine sia la parte brutta e negativa. Leggendo un libro o vedendo un film, il finale non solo è parte della trama e dello svolgimento, ma è esso a dare senso e a far comprendere quanto si è letto e visto. Non dimentichiamo però che siamo pure l’inizio del Mediterraneo. L’inizio di ogni cosa è sempre pieno di possibilità, di aspettative e di novità. Siamo la porta aperta sul continente africano, che, nel prossimo futuro, diventerà sempre più cuore della storia mondiale”. Nel corso della sua sentita omelia, monsignor Montenegro ha stretto l’obiettivo sui giovani. “Ogni di loro che si allontana è una ferita che si apre per questa città. È impossibile che non si possa far niente.
Per questo mi rivolgo a quanti svolgono le diverse attività professionali e lavorative; a quanti nella politica sono chiamati a fare le scelte giuste per il bene comune; a chi, attraver-so la cultura, l’arte, il pensiero, può aiutare a leggere e costruire i segni di speranza; ai credenti perché sentano la responsabilità della loro fede”.
Poi monsignor Montenegro si è rivolto direttamente a giovani. “Vi invito, ancora una volta, a non subire questa città, ma a viverla, e abitarla come casa vostra. Non sentitevi e non restate ai margini, scendete in campo. Agrigento ha bisogno di voi, amatela. Aiutate noi adulti a non essere dei rassegnati perdenti e brontoloni”.
L’omelia è stata infine scandita da altri tre momenti forti. Il primo riferimento è stato alle colonne doriche, patrimonio dell’umanità. “Facciamo sì che Agri-gento sia da tutti indicata e riconosciuta non solo per i Templi, ma anche per l’impegno che i suoi cittadini mettono per la ricerca del bene comune, ricordando che la bellezza di una città ha le radici nella ricerca della fraternità e della pace”.
Il secondo cenno è stato a Gio-vanni Paolo II. “Lui 20 anni fa, ci ha ricordato che la concordia non è solo un Tempio sito in questo territorio ma è il debito che abbiamo nei riguardi del mondo”.
Con il terzo ha chiamato in causa Paolo Borsellino. “Valgano anche per noi le parole che lui rivolse alla città di Palermo: “gli uomini passano, le idee restano, restano le tensioni morali, continue-ranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Ognuno di noi deve continuare a fare la sua parte, piccolo o grande che sia, per contribuire a costruire in questa città condizioni di vita più umane”.
Altre volte vi ho invitato, e rinnovo tale invito anche oggi e continuerò a farlo, a farci scuotere da un sussulto di orgoglio religioso, civile e civico – ha concluso l’Arcivescovo – la rassegnazione, oltre ad essere colpa, ci rende perdenti dinanzi alle attese dei nostri giovani, ai quali diciamo, contraddicendoci, il nostro bene”.
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