Dott.ssa Antonella Nobile
Patrocinante legale
Non si tratta del compagno immaginario di Robinson Crusoe, creato dalla geniale penna del celebre Daniel Defoe, ma di una strana vicenda sfociata in una sentenza alquanto “insolita” emessa dalla Corte di Cassazione, la quale ha origine nel momento in cui due giovani genitori si recano all’Ufficio Anagrafico di Genova per registrare il nome del loro primogenito dichiarando “nostro figlio si chiama Venerdì”.
Irremovibile è il rifiuto di un ufficiale dell'anagrafe a trascrivere "Venerdì" sull'atto di nascita, dapprima suggerendo, poi imponendo d’ufficio, la rettifica del nome del piccolo con quello del Santo del suo giorno di nascita, che, cadendo il 3 settembre, è “Gregorio”.
Dunque, il caso finisce irrimediabilmente sui banchi giudiziari ed, a seguito della segnalazione da parte del Comune di Genova, il Procuratore della Repubblica chiede al locale Tribunale la rettifica del nome imposto dai genitori al figlio non avendo essi alcuna intenzione di modificarlo.
Ebbene, il Tribunale prima, e la Corte d'Appello dopo, confermano entrambi il cambiamento d'ufficio del nome del bambino da Venerdì a Gregorio, anche contro la volontà dei genitori, stabilendo che, ai sensi dell’art. 34 del Decreto del Presidente della Repubblica N. 396 del 2002, “è vietato imporre al bambino nomi ridicoli e vergognosi”.
Immediato il richiamo letterario dei Giudici del capoluogo ligure al personaggio immaginario "Venerdì", secondo i quali sarebbe un nome ''dal carattere ridicolo e suscettivo di ironia e scherno, in grado di arrecare un grave nocumento alla persona che lo porta'' per il nome del compagno di sventura di Robinson Crusoe, ''figura umana caratterizzata dalla sudditanza e dalla inferiorità che non raggiungerebbe mai la condizione di uomo civilizzato''.
Le due pronunce, difatti, hanno entrambe confermato l’imposizione della rettifica di quel nome sostenendo di tutelare in tal modo il futuro del piccolo stante che, con molta probabilità, avrebbe creato “disagio per il bambino e il futuro adulto, facilmente esposto al senso del ridicolo, in ragione di quel richiamo al personaggio letterario”.
Ciò costituisce il motivo per cui i genitori, ancora più decisi nel nome del proprio bimbo, ricorrono alla Suprema Corte sostenendo la legittimità della propria scelta invocando l’art. 34 del predetto Decreto, il quale non vieta affatto i nomi stravaganti e non comuni e richiamando persino l’attenzione sui nomi “strani” dei figli dei Vip, quali "Chanel", secondogenita di casa Totti o "Oceano", figlio di John Elkann, e molti altri, in riferimento ai quali, però, nessun Ufficiale anagrafico ha mai avuto l’ardire di contestarne l’iscrizione negli appositi Registri.
Inoltre, i legali della famiglia hanno sostenuto a gran voce la discriminazione di cui quest’ultima è rimasta vittima, poiché se lo Stato ritiene di avere diritto di imporre un nome nell'interesse del minore allora dovrebbe applicare la legge a tutti indistintamente; inoltre, ciò che risulta più incredibile è che in tutti i gradi di giudizio il nome “Venerdì” viene bocciato perché suscettivo di ironia e scherno, in grado di arrecare danno alla persona che lo porta, ma quale il giudizio di derisione da applicare a nomi come Genuflessa, Crocefissa, Incatenata, e molti altri che risultano all'anagrafe?
Pur tuttavia, dello stesso indirizzo delle precedenti si presenta anche la pronuncia della Corte volta alla convalida delle decisioni emesse sia in primo che in secondo grado di giudizio, poiché tutte le motivazioni si sono concentrate sull’interesse prevalente della tutela del bambino stabilendo l’elevata probabilità che il nome in questione rischi di trasformarsi in un peso per il suo futuro.
Ebbene, secondo la normativa italiana, il nome è costituito dal prenome, o nome di battesimo, e dal cognome: questo identifica il soggetto nell’ambito della famiglia. L’acquisto del primo avviene sempre mediante atto di conferimento compiuto da determinati soggetti o da un pubblico organo quale l’ufficiale dello stato civile (artt. 70-72 R.D. n° 1238 del 1939).
La legge detta norme affinché il soggetto abbia necessariamente un prenome (art. 29 D.P.R. 3 novembre 2000 n° 396): “se il dichiarante non dà un nome al bambino, vi supplisce l’ufficiale di stato civile”, ma stabilisce anche limiti all’attribuzione del nome (art. 34 D.P.R. n° 396 del 2000).
Il nome civile ha la natura giuridica di un diritto della personalità, è strettamente legato alla persona fisica sin dalla nascita ed oltre la morte, la generale tutela privatistica è prevista dall’art. 6 del Codice Civile che così statuisce: “nel nome si comprendono il prenome ed il cognome”. Il diritto al nome è tassativamente regolato dalla legge: “ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito”, ed il comma 3° conclude che “non sono ammessi i cambiamenti, aggiunte o rettifiche, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati”.
Dal combinato disposto delle disposizioni del codice civile (artt. 316 e ss.) e di quelle dell’ordinamento dello stato civile (artt. 67, 70, 71, 72, 167 e ss. R.D. 9 luglio 1939 n. 1238) si evince che la scelta del prenome è un potere-dovere che spetta congiuntamente ad entrambi i genitori, in quanto si tratta di una estrinsecazione della potestà genitoriale.
Nell’ipotesi di lesione del decoro della persona si verifica uno degli impedimenti alla registrazione previsti dalla legge, come nel caso in questione.
Tuttavia, non è possibile individuare i criteri nei quali fare rientrare la categoria ontologica delle questioni di “particolare importanza” in base ai quali la rettifica risulta legittima, in quanto si può astrattamente parlare di questioni che coinvolgono i diritti essenziali ed esistenziali del minore, come quelli relativi allo sviluppo ed alla sua crescita materiale e morale.
Il principio al quale occorre adeguarsi è quello dell’interesse preminente del minore, principio ribadito nel 5° comma 316 c.c., per la sua più conveniente individuazione nel contesto delle relazioni sociali, seguendo un orientamento legislativo uniforme e consolidato, il legislatore non detta norme generali o di indirizzo, attesa la molteplicità delle fattispecie configurabili, ma ricorre alla collaudata formula dell’ “interesse del figlio” che ha un contenuto morale o esistenziale, poiché coinvolge il minore a livello di vissuto personale per lo sviluppo sereno della personalità dello stesso.
A tal proposito, con questa singolare pronuncia della Suprema Corte di Cassazione i giudici hanno dettato una guida per il futuro: qualunque Tribunale potra’ intervenire con un cambiamento del nome di battesimo del bambino se quello dato dai genitori e’ troppo assurdo.
Dunque, si tratta di una sentenza che tuona definitivamente con uno “STOP” ai nomi "ridicoli" o in ogni caso "non comuni" che troppo spesso i genitori, anche incoscientemente, attribuiscono ai loro figli avvertendo i futuri genitori: inutile ingegnarsi per mesi e mesi sul nome del nascituro, chiedere consiglio ad amici e parenti, ricercare senza sosta quello unico ed originale, bensì occorre stare molto attenti a chi o cosa venga collegato il nome altrimenti se troppo insolito o singolare potrebbe non essere accettato all'anagrafe ed a sceglierlo per loro sarà, volenti o nolenti, il Santo patrono del suo giorno di nascita!
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