Cosa dovrà accadere, ancora, affinché le grandi organizzazioni sindacali si decidano a dare rappresentanza alla rabbia dei lavoratori e pensionati di questa provincia che ogni giorno assistono allo stillicidio di posti di lavoro, di imprese che chiudono e ponti che crollano.
Che cosa frena le associazioni di rappresentanza delle imprese che non riescono a dar vita a iniziative visibili per inserire nell’agenda di governo i nodi che li soffocano impoverendo un territorio già esausto.
In altra parte del giornale riportiamo la notizia della marcia del 21 febbraio organizzata dal presidente d’Orsi, a cui non fanno difetto tali iniziative, per segnalare l’ urgenza del ripristino di un’arteria fondamentale dopo la caduta del ponte verdura. Non sappiamo dire se quello di D’Orsi è l’unico strumento a sua disposizione o cos’altro potrebbe fare. Ma sappiamo che bisogna trovare un modo per evitare il lento, progressivo spegnersi di tutto ciò che di vitale ancora esiste.
Trovare un modo anche conflittuale di attirare il focus dell’azione di governo in questa zona impoverita non è ribellismo.
Il conflitto sociale governato è il sale della partecipazione a un comune destino, per obiettivi collettivi che soddisfino bisogni individuali. Gli interessi generali si perseguono con azioni di gruppi che concorrono insieme ad altri alla meta di bisogni collettivi.
E’ una pratica ormai desueta la ricerca di convergenze di associazioni, gruppi e forze sociali su conquiste comuni. A ragione il sociologo De Rita ognuno cerca di fare da se e cosi la rappresentanza dei disagi cerca altre strade che i professionisti chiamano antipolitica, ma è un bisogno di politica che i cittadini non trovano più nelle piazze tradizionali, seguendo un bisogno di cambiamento promesso che abbaglia, ma non illumina.