Salvatore Gaglio, medico condotto di Santa Elisabetta ma anche commediografo, scrittore nonché fine poeta, nei suoi romanzi ci ha da sempre abituati a una prosa scorrevole, in cui le vicende narrate si sviluppano tenendo conto di una sottile linearità. Ma con la sua ultima opera, “L’epopea del signore del Nibbio”, edito per i tipi della romana casa editrice Vertigo, l’autore si è divertito a creare un frenetico gioco di specchi secondo i più classici canoni della letteratura “gialla”. Lo stile è asciutto, a tratti sobrio, ma nelle fasi in cui è necessario viene modulato attraverso la presenza di un “io narrante” che mira (e ci riesce) a coinvolgere chi legge in prima persona: ci sono momenti del romanzo, infatti, in cui il lettore, tramite l’autore che gli si rivolge, diventa personaggio egli stesso, coinvolto nelle vicende che si sviluppano tra Chieli del Poggio, Canaldalì e Belvedere del Principe. Gaglio, da noi incontrato, ci riferisce che “L’epopea del signore del Nibbio” costituisce il primo romanzo di una tetralogia ambientata nei luoghi e nei tempi vissuti dall’autore, dove i protagonisti sono interpreti di un umanissimo “teatro” (in molti passaggi, infatti, viene fuori anche il Gaglio commediografo) dai risvolti scenici sempre imprevedibili: così è, se vi pare.
Alcuni personaggi sono scolpiti anche con pochi tratti di penna ed entrano nella storia segnandone il coinvolgente andamento. La trama è caratterizzata da microstorie che si intrecciano, però, in un unico filo conduttore narrativo, tanto da imporre al lettore, come in ogni giallo che si rispetti, molta attenzione nei dettagli, sparsi nelle oltre duecento pagine del romanzo, mai banali ma al contrario assai intriganti. La storia, infatti, s’incammina all’interno di un percorso ondulatorio, zigzagando tra le vicende degli archetipi umani magistralmente tratteggiati, con colpi di scena e repentini cambi di registro narrativo, accompagnandoci in un finale che certamente non mancherà di far riflettere, spiazzandolo, il lettore.
Antonio Fragapane