“L’invenzione di Palermo” è un romanzo la cui trama spazia tra neorealismo, tocco ironico, divertenti neologismi, ed io personalmente ho notato un legame con i classici temi del cinema dei palermitani Ciprì e Maresco e con gli esilaranti personaggi dello scrittore Roberto Alaimo. Ma non solo. Il romanzo scorre con una prosa bukowskiana e Fondo Picone sembra l’inferno di Los Angeles. Ma come nasce “L’invenzione di Palermo”?
Da anni passati ad andare in giro per la città come cronista del Giornale Di Sicilia. È stata un’ottima palestra, di scrittura e di vita, a cui devo, tra l’altro, la decisione di buttare alle ortiche tutti gli anni passati all’Università a riempirmi la testa di fuffa sociologica. Come diceva Flaiano, tutto quello che non so, l’ho imparato a scuola. E io, tutto quello che so, e che poi ho messo nel libro, l’ho imparato ascoltando le storie di chi dalla mattina alla sera doveva combattere contro un’amministrazione oscena della cosa pubblica e di chi, a fine giornata, cercava di andarsi a coricare con meno lividi possibili. In particolare, “L’invenzione”, nasce da una storia vera, quella della famiglia Pirrello, quindici figli e spiccioli, che viveva a Fondo Picone sul finire degli anni 80, una specie di fogna a cielo aperto, piena di case di lamiera e povertà. A un certo punto della loro vita, succede che la stampa si accorge di questo inferno, la storia finisce sui giornali nazionali e, miracolo dei miracoli, Mike Bongiorno si innamora di loro. Li invita a Milano 2, a partecipare a una sua trasmissione, a loro che non sapevano neanche com’era fatto un aereo. In trasmissione c’è anche l’assessore palermitano che si occupa delle case popolari. E quando i riflettori sono puntati sui Pirrello, lui si alza dal pubblico e dice che verrà assegnato loro un alloggio. Sorrisi, lacrime, felicità a mai finire e foto ricordo. Ecco, se oggi qualcuno di noi andasse a chiedere ai Pirrello quale sia stato il momento più bello della loro vita, loro risponderebbero che è stato l’attimo in cui la macchina fotografica di Bongiorno ha fatto click. Salvo che quella foto, Bongiorno, non gliel’ha mai spedita, con loro sommo dispiacere. Da questa storia, così stramba da sembrare inventata, sono partito.
Le recensioni sono a tratti entusiaste: scrivono, infatti, che il libro “ci dona il ritratto di una città incendiaria e cruenta e di un’umanità visionaria per disperazione, sempre sul filo di un irreale, tragicomico quotidiano”. Una scrittura immaginifica associata ad una lingua “nuova”. E si potrebbe dire che assurgi il turpiloquio ad una forma d’arte…
No, non esageriamo, il turpiloquio, inventato, innocente, forse poetico, come ha scritto Salvatore Ferlita su Repubblica, è il suo modo di aggredire la ferocia della realtà che si trova a vivere. L’unico suo strumento per combatterla è la parola, e le parolacce.
Salutandoti e ringraziandoti per la tua gentile disponibilità, lascio scegliere a te come congedarti dai nostri lettori…
Basterebbe anche un ciao?
Antonio Fragapane
Sicilia ON Press. Tutti i diritti riservati. Testata giornalistica registrata al Tribunale di Agrigento al n. 314 del 10/01/2013. Direttore: Franco Pullara. Società editrice: SE.CO.FORM. S.R.L.
Sito creato da Salvo Vinciguerra Architetto.