Nella notte a cavallo tra il 14 ed il 15 gennaio del 1968 una scossa devastante distrusse totalmente, alcuni centri abitati della Valle del Belice situati tra le province di Trapani ed Agrigento: furono completamente rase al suolo Poggioreale, Montevago, Santa Margherita Belice, Santa Ninfa, Gibellina e Salaparuta. Ci furono quattrocento morti, un migliaio di feriti e circa centomila sfollati. Le immagini di quell’immane tragedia richiamano ancora oggi alla mente scene di totale distruzione: strade lacerate e uomini, donne e bambini scampati al disastro che, scioccati ed increduli, si riparavano come meglio potevano dai calcinacci e dai muri pericolanti. Questi i ricordi più vivi, reali e tragici che accomunano da oltre quarant’anni i più reconditi ed inaccessibili angoli della memoria collettiva nella Valle del Belice.
La signora La Sala Grazia, margheritese di nascita ma da anni residente nel paese di Santa Elisabetta, è una sopravvissuta al terremoto del Belice del 1968. Le sue parole in un’intervista concessa ai lettori di siciliaonpress.com.
Signora La Sala, che ricordi ha di quella notte? Dove si trovava?
Ci furono più scosse in quel tragico 14 gennaio. La prima si ebbe a mezzogiorno, ma non fu particolarmente forte. La seconda poco dopo, alle 13:20: le ho vissute entrambe a Salaparuta, dove con la mia famiglia eravamo ospiti di amici. Fu invece la terza scossa ad essere devastante (IX-X grado della scala Mercalli), ovvero quella della mattina (ore 2.20) del 15 gennaio, con epicentro tra i comuni di Salaparuta e S. Margherita di Belìce. Io mi trovavo a casa mia, proprio a S. Margherita, e ricordo una grandissima paura in tutti noi, un fortissimo rumore persistente, simile a quello di una mitragliatrice, ed inoltre lo scioccante particolare degli angoli delle case che si aprivano! Tutto il paese venne inghiottito dal buio, si creò subito una gran confusione in strada, con gente terrorizzata, che correndo scivolava e cadeva in terra a causa del ghiaccio: poche ore prima, infatti, aveva nevicato.
Ci racconti come ha vissuto il “dopo terremoto”. La sua personale esperienza.
Abbiamo passato la nostra prima settimana nella campagna circostante al mio paese, in mezzo al fango, alternandoci in macchina per ripararci dal freddo, ma costantemente rifocillati con generi di prima necessità ed assistiti dai medici. Solo dopo una settimana ci hanno fornito le tende militari con l’elettricità, quelle da 8 posti idonee per due famiglie. Tale situazione è durata per circa sei mesi, fino a giugno. Inoltre, ci fornirono una cucina che utilizzavamo per cucinare i viveri che quotidianamente ci venivano distribuiti. Personalmente avevo organizzato e curavo il doposcuola per i bambini del mio campo, poiché dalla AAI, ovvero l’Assistenza Aiuti Internazionale, erano state riaperte le scuole, ma solo la materna e le elementari.
A S. Margherita come è stata gestita la ricostruzione? Il paese come ha reagito?
Per riedificare le case venivano distribuiti lotti con grandezza calcolata sulla base del numero dei componenti di ciascun nucleo familiare, ma purtroppo i primi finanziamenti che arrivarono non riuscirono a coprire tutte la spese per la ricostruzione edilizia. Il clima cominciò ad essere di malcontento, a causa del fatto che il paese cominciò ad essere ricostruito in maniera dispersiva: i miei compaesani, infatti, per quanto riguarda la collocazione delle nuove case, descrivevano una forma “a polipo”, per far notare come ci si era allontanati progressivamente, e di molto, dal centro abitato. Ma solo dopo circa vent’anni, i finanziamenti cominciarono ad essere congrui ed idonei a coprire interamente le spese di ricostruzione delle case.
Sono passati quarant’anni. Adesso, invece, com’è la situazione nei luoghi terremotati? Come si vive?
A S. Margherita di Belìce la ricostruzione è stata ormai praticamente completata, anche se da poco ed a distanza di più di quarant’anni! Adesso si vive normalmente, l’evento terremoto appartiene ai nostri ricordi, ma in noi la memoria di tale tragedia continua ancora ad essere viva e reale, poiché esperienze così forti segnano nel profondo, e mai possono o potranno essere dimenticate.
Antonio Fragapane
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