Il presidente del Consorzio agrigentino per la legalità e lo sviluppo Mariagrazia Brandara consegnerà domattina ai componenti della Commissione nazionale Antimafia, in visita a Palermo, un report delle attività svolte negli ultimi tre anni dall’ente da lei diretto, insieme ad alcune proposte sul futuro dei beni confiscati.
“Trasparency.org, l’organizzazione che si occupa di misurare il livello di corruzione degli stati – spiega Brandara -, nel suo ultimo studio dichiara che ‘i beni, spesso recuperati dallo Stato dopo lunghe battaglie giudiziarie, rivestono un forte valore simbolico legato al loro recupero da parte della legalità’. Valore, aggiungiamo noi, rafforzato dal potenziale produttivo che gli stessi hanno per territori a volte ‘aridi’ come il nostro. Tutto, però, rimane spesso una semplice speranza più che una realtà. Lo studio annuale condotto dal settore nono della Presidenza della Regione Sicilia, ad esempio, rappresenta che su 107 beni sequestrati alla mafia in 13 comuni della nostra provincia, 54 non sono utilizzati dalle Amministrazioni pubbliche in larga parte per assenza per assenza di risorse. Altre cause sono collegate al bene in sé, il quale è spesso non realmente fruibile per condizioni di tipo strutturale o perché gravato da ipoteche. A questo, purtroppo, si aggiunge in parte la responsabilità di taluni amministratori, i quali agiscono con ignavia – a non voler considerare altre più tristi ipotesi.
Proprio per questo – continua – è necessario che la legge sui beni confiscati, che prevede che i Comuni abbiano un anno di tempo per assegnare il bene, trascorso il quale l’Agenzia nazionale revoca il trasferimento e nomina un commissario, venga fatta rispettare in modo capillare. La nostra proposta, in questa fase, è che si agisca per conoscere lo stato dell’arte, avviando un monitoraggio che verifichi se tutti i beni trasferiti ai Comuni sono stati assegnati o utilizzati. Ottenuti i dati si potrà poi agire secondo quanto previsto dalla norma.
Gli effetti, lo sappiamo per esperienza diretta, non potranno essere che benefici per i nostri territori. A Naro, in contrada Robadao, grazie al lavoro condotto insieme all’Agenzia nazionale dei beni confiscati, a Libera, all’università di Palermo, ad istituti di credito e alla Curia di Agrigento, una cooperativa (costituita attraverso bando pubblico) sta facendo fiorire terreni una volta di proprietà delle famiglie mafiose con la semina di grano biologico, di favino e con progetti di apicoltura, e ha trasformato una struttura di 800 metri quadrati in un grande centro di aggregazione che ha in questi anni ospitato le Summer School di Libera e progetti indirizzati ai giovani e alla cultura della legalità.
Lo sviluppo dei territori – conclude – è da sempre il vero nemico della “malapianta” mafiosa e far sì che la collettività trasformi in fonte di lavoro e di benessere beni confiscati è l’obiettivo da raggiungere nei prossimi anni”.