Ha costruito la sua fortunata e brillante carriera cinematografica su alcune qualità che ne hanno fatto un attore di culto, apprezzato dai più esigenti critici come dai tanti fans che riempiono i cinema ad ogni sua uscita. Ironia acuta, presenza brillante ed una buona dose di sarcasmo in John Turturro si fondono tanto da farne un simbolo di quell’ambiente neworkese dal quale l’attore proviene, caratterizzato da un intricato miscuglio della tradizione e della cultura italiana, ebrea ed africana. Turturro non ha mai nascosto la sua origine italiana, anzi ne ha sempre tratto motivo d’orgoglio personale ed artistico. Figlio di una cantante jazz di origini siciliane, annovera tra i suoi parenti più vicini una nonna, Rosa Terrasi, nata ad Aragona, in seguito trasferitasi negli Stati Uniti ma rimasta sempre una cittadina italiana. Un legame con la nostra terra che da embrionale si è man mano sviluppato fino a diventare quasi un’esigenza di vita. E’, infatti, notizia di questi giorni (dopo i casi di Robert De Niro e di Francis Ford Coppola) il raggiungimento da parte di John Turturro di un obiettivo che inseguiva da anni e che, adesso, lo ha reso estremamente felice ed orgoglioso: la naturalizzazione, ovvero, secondo quanto prevede la legge italiana, l’aver acquisito la cittadinanza italiana tramite la discendenza diretta, e documentata, da cittadini italiani (nel caso di Turturro proprio la nonna aragonese).
Nel corso della sua più che trentennale carriera di stella del cinema americano, Turturro è stato diretto da alcuni tra i più importanti registi del secondo novecento, da Scorsese ad Allen, da Cimino a Redford, fino ad instaurare un prolifico e duraturo rapporto personale e professionale con Spike Lee e con i fratelli Coen, registi che più di altri hanno saputo valorizzare al meglio le sue caratteristiche istrioniche, a volte contenendone bravura ed abilità. Miglior attore a Cannes nel 1992 con Barton Fink dei Coen, interpretazione che nello stesso anno gli è valsa anche un David di Donatello, da allora Turturro inizia ad avvicinarsi al teatro ed alla letteratura italiana. Nel 1997 è stato un intenso Primo Levi ne La tregua di Francesco Rosi, film per il quale decide di perdere diversi chili per rendere più credibile la sua interpretazione. In seguito, ha curato lo spettacolo Fiabe italiane, ispirato all’omonimo volume di Italo Calvino ed alle favole del siciliano Giuseppe Pitrè. E il viaggio alla riscoperta della sua italianità è proseguito con il suggestivo documentario Prove per una tragedia siciliana, dichiarazione d’amore di un figlio lontano per la propria terra madre (che fu dei suoi nonni), narrata dalla profonda voce di Andrea Camilleri e magistralmente fotografata da Marco Pontecorvo. La sua ultima fatica lo ha visto interessarsi e avvicinarsi alla tradizione ed alla musica popolare napoletana col documentario intitolato indicativamente Passione, ovvero quello stesso sentimento che da alcuni giorni lega ancor di più la nostra terra con uno dei rappresentanti più importanti della settima arte.
Antonio Fragapane
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