Mons. Francesco Montenegro
Testo pronunciato da mons.Francesco Montenegro durante la Veglia di Pentecoste – Piazza don Minzoni – Agrigento 7 giugno 2014.
“Ci ritroviamo a fare la veglia in questo posto inusuale, nella piazza davanti alla Cattedrale, anziché in una Chiesa, sia perché abbiamo bisogno di ricordare a tutti e ricordare noi che la nostra Cattedrale, la nostra chiesa madre, è malata e sia per chiedere ancora una volta al Signore e agli uomini preposti alla cosa pubblica di fare di tutto perché il coma di questa mamma malata da farmacologico non diventi irreversibile.
Approfitto, mentre guardo per porgervi l’invito di essere ottime pietre vive di questo edificio particolare che è la Chiesa fatta di uomini che è casa dello Spirito e da Lui animata.
Le pietre che cedono sono una sfida per noi perché contrapponiamo a esse la vivacità e la robustezza che lo Spirito ci dona. Ho sempre ripetuto che siamo figli del fuoco e del vento. Come lo Spirito trasformò la vita degli apostoli impauriti e nascosti, così anche noi dobbiamo trovare e mantenere l’ardire della nostra fede. L’ebrezza della Pentecoste dove cambiare e riempire la nostra vita, perché in questa nostra terra il Regno di Dio possa espandersi sempre più. Ricordiamolo, noi siamo Chiesa, ma siamo Chiesa fatta di pietre vive in questa terra agrigentina bella e amara, ricca e fragile, minacciata dalla disgregazione e bisognosa della novità che è il Vangelo, disposta alla rassegnazione e ventre vivo capace di speranza e di futuro, periferia estrema del continente europeo e essa stessa terra affollata di periferie.
Questi sono i motivi perché nessuno più di noi può e deve amare questo territorio e la sua storia passata e presente. Direbbe mons Bello: ” Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Facciamogli compagnia. Adoperiamoci perché la sua cronaca diventi storia di salvezza”.
Nessuno di noi può sentirsi estraneo alle vicende di questa difficile e amata terra. Lo Spirito che invase la vita degli Apostoli è lo stesso che è in noi e poichè Lui non ha perso la Sua efficacia travolgente di vita, noi con la stessa forza e coraggio degli apostoli dobbiamo diffondere la buona notizia.
Più volte ho detto e oggi, giorno in cui celebriamo il compleanno della Chiesa, lo ribadisco con forza dobbiamo evitare che le nostre comunità ecclesiali si riducano a luoghi dove la fede è conservata e scontata anzichè annunciata, pii rifugi rassicuranti piuttosto che luoghi in cui si fa il pieno di entusiasmo. La Chiesa c’è per camminare col passo del Risorto, incontrare, porre la tenda di Dio dove l’uomo vive, gioisce, piange, lotta, sogna, essere pronta e veloce portatrice di quella Parola che per gli uomini è acqua che disseta, pane che nutre, carezza che conforta, spada che esige.
Essere Chiesa che, come Gesù fece con Zaccheo, vive ogni incontro con gli uomini come importante, sente viva la passione per loro, li incontra nelle diverse Gerico – le periferie esistenziali – e, per stare con loro, conosce e frequenta i loro luoghi.
La Chiesa c’è per dare speranza, perché essa è carità. Questa terra ha bisogno di speranza e noi siamo stati messi qui dal Signore per regalarle speranza. Ma per farlo dobbiamo essere disposti a soffrire e avere il coraggio che viene dallo Spirito.
La Chiesa è il «Gesù di ora». Ma per rivelare e realizzare il volto di Dio dobbiamo fare la stessa esperienza del monaco Epifanio, cioè come lui stare in mezzo agli uomini per trovare un modello buono per dipingere il volto di Cristo. I lineamenti del volto di Cristo li trovò nella bellezza di una fanciulla; nella forza di un contadino; nella solennità di un vescovo celebrante; nella malinconia di una donna perduta; nella solitudine di un mendicante; nella bontà in chi assisteva i malati; nella sofferenza di un morente; nella severità di un monaco; nella giustizia di un principe saggio; nella tenerezza di una madre che allattava; nella paura di un ladro inseguito; nella disperazione dei genitori colpiti dalla morte del figlio; nell’allegria in un clown; nella misericordia di un santo confessore; il mistero nel volto bendato di un lebbroso.
Chiudo facendo diventare mio augurio le parole che Giovanni Paolo II rivolse ai giovani: “Cristo ha bisogno di voi per illuminare il mondo e per mostrare il “sentiero della vita”. Mettete la vostra intelligenza, i vostri talenti, il vostro entusiasmo, la vostra compassione e la vostra fortezza al servizio della vita! Non deludete il Signore: nelle vostre mani, portate la Croce di Cristo, sulle vostre labbra le parole di Vita, nei vostri cuori la garanzia salvifica del Signore! Vi chiedo di avere il coraggio di impegnarvi nella verità … Siate un segno di speranza, siate figli della Luce: da voi dipenderà il Terzo Millennio”.
Maria, donna della speranza, ci aiuti ad avere “sussulti di speranza ” e ci dia capacità di sogni e di sogni grandi.(da Mons. Bello).
Prima della benedizione, mons.Francesco Montenegro, ha pronunciato le seguenti parole:
Il tempo sta passando velocemente, ma con la stessa velocità passano le tante promesse fatte e dimenticate, soprattutto da chi è andato facendole. Tutti si dicono interessati e preoccupati dalla situazione, ma ancora manca la soluzione che riesce ad aprire il cuore alla speranza. Da tempo si danno scadenze a breve e lungo tempo, ma è sempre più difficile darvi credito. E’ possibile, mi chiedo, che non si trovi l’orgoglio necessario perchè si eviti che Agrigento, come già ho avuto modo di dire, continui ad appassire inesorabilmente?. E’ come se la città non ci appartenga o che noi non siamo cittadini di una città che, in passato, fu definita la più bella. Dovrebbero farci arrossire i giudizi dei turisti che dopo aver scarpinato sin quassù manifestano la loro delusione assieme alla meraviglia per ciò che vedono o meglio per ciò che non vedono. Più di una volta ho dovuto abbassare gli occhi per la mia incapacità di dare loro una risposta. Dimenticare la situazione della Cattedrale è voler dimenticare il passato di questa città, ed è assumersi una responsabilità grave dinanzi alla storia. Agrigento appartiene al mondo. Che tristezza! Rifiuto decisamente l’affermazione: “Tanto qui siamo ad Agrigento!”. E’ questa rassegnazione a uccidere la speranza e il futuro. Nessuno ha il diritto di fare pollice verso una città che ha tutte le carte in regola per essere, come è stata nella storia passata, faro luminoso. L’indignazione in me cresce giorno dopo giorno, ma vorrei che fosse un sentimento condiviso pure da tanti altri: dagli amministratori che devono assumere le loro responsabilità senza più giocare allo scarica barili e anche dai cittadini che stanno dimostrando grande indifferenza davanti a questa storia. La Cattedrale appartiene a tutti, credenti e no, perchè è il cuore della città.
Non vorrò trovarmi qui, nel caso dovesse succedere l’imponderabile a questa Chiesa Madre (la Curia ha dovuto già trasferirsi), per non assistere all’immaginabile triste spettacolo dove tutti punteranno il dito contro tutti. Lo faranno gli amministratori locali, regionali e nazionali che cercheranno, in uno spietato quanto inutile gioco a mosca cieca, di scaricare su qualcuno le responsabilità e proclameranno, senz’altro non in buona fede, che se fosse dipeso da loro non si sarebbe arrivati a tale punto. Punteranno il dito anche gli agrigentini verso gli amministratori in un facile e comodo gioco a caccia grossa, dimenticando che l’indifferenza dimostrata da molti è altrettanto grave quanto il non impegno di chi deve servire la comunità. Anche le comunità cristiane, secondo me, avrebbero dovuto unire le loro voci per far sentire il loro forte desiderio che questa mamma, che vediamo stagliarsi solennemente dinanzi a noi, possa guarire e aprire le sue porte. Invece, anche loro hanno taciuto.
Non posso parlare della Cattedrale senza parlare del Centro storico, altro grave malato di questa città. Esso – delusione per i turisti e vergogna per i cittadini – versa in grave situazione e ha bisogno di cure e di attenzione, senza parlare di quella che ormai è diventata una favola (non so definirla diversamente): la via di fuga. E’ diritto di ogni cittadino vivere dignitosamente e avere assicurato ciò che è necessario per una buona vita.
Mi fermo qui, perché non voglio rompre l’armonia e la poesia della festa della Pentecoste. Quel giorno di circa 2000 anni fa, cambiò la storia del mondo, speriamo che anche qui possa cambiare qualcosa.
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Mons. Montenegro "La Cattedrale è malata, chiediamo di fare tutto perché il coma di questa mamma malata da farmacologico non diventi irreversibile
By vedisotto7 Minuti di lettura