Orlando, Rinaldo, Angelica e Carlo Magno, ovvero, come ha dichiarato l’Unesco, un “capolavoro del patrimonio orale ed immateriale dell’umanità”. Tanta e tale, infatti, è l’importanza dell’Opera dei pupi siciliani (o Teatro dei pupi) che, per la prima volta in assoluto, si è conferito un riconoscimento culturale di livello mondiale non a monumenti o luoghi fisicamente tangibili, ma a una tipica manifestazione della cultura popolare presente in un particolare territorio. Dunque, i pupi sono ufficialmente da annoverare tra quei beni culturali, vere e proprie opere d’arte, facenti parte del patrimonio dell’umanità da salvaguardare, al fine di evitare che possa nel tempo, e a causa dei tempi, scomparire, facendo in tal modo venir meno una delle espressioni artistiche più importanti, caratteristiche e di maggior spessore culturale che la Sicilia abbia prodotto negli ultimi secoli.
Ma a favore dell’Opera non è stata solo conferita la fondamentale protezione dell’Unesco, datata 18 maggio 2001, poiché infatti in quella occasione fu creato anche il Museo Internazionale della Marionetta sopracitato: luogo culturale che rappresenta la summa dell’intera produzione pupara siciliana, dunque prevalentemente delle due più importanti scuole riconosciute, ovvero la palermitana e la catanese. Tale istituzione, difatti, con i suoi circa tremila pezzi tra marionette e sfondi scenici, costituisce un fondamentale luogo di memoria e di salvaguardia della più significativa e importante tradizione del c.d. “Teatro di Figura” che esista al mondo.
Certamente una caratterizzazione embrionale di tale espressione artistica è da ricercare nell’affascinante attività dei c.d. cuntastorie o cuntisti, ovvero narratori che, pur sforniti sia dei pupi che di strumenti musicali, erano tuttavia dotati di una grande e coinvolgente capacità affabulatoria, che utilizzavano al meglio modulando la voce e utilizzando precise regole narrative in termini di tempo, ritmo ed esposizione orale della vicenda, in tal modo coinvolgendo gli spettatori che spesso, quasi immedesimandosi nelle vicende dei protagonisti, erano rapiti dall’atmosfera della rappresentazione. Ma l’origine di questa vera forma d’arte, unica nel suo genere, non è ancora oggi chiara, poiché le fonti e le notizie disponibili risultano essere frammentarie e non univoche, oltre a presentare dei vuoti che ne rendono la ricostruzione storica difficile ed articolata.
L’unico dato certo è che sul finire del ‘700, sia a Napoli che a Palermo risultano tracce di marionette, costruite però in maniera rudimentale, con l’uso di cartone e stagnola. I primi veri pupi siciliani, per come noi oggi li conosciamo, iniziano ad essere presenti intorno alla metà dell’800, epoca nella quale l’esperienza delle maestrie artigiane dell’isola aveva raggiunto una elevata finezza nella fabbricazione e successiva decorazione dei personaggi protagonisti delle vicende narrate. L’arte du pupu, infatti, iniziò a essere evidente nel momento in cui si cominciarono a vestire le marionette con armature di metallo cesellato, lavorato ed arricchito da sbalzi ed arabeschi, contemporaneamente all’utilizzazione di mantelli e gonne sempre più realistici, evidenziati ancor di più da accorgimenti tecnici che hanno fatto la fortuna di questo Teatro.
La svolta tecnica infatti si ebbe quando si sostituirono i fili per dirigere il pupazzo con un’asta rigida di ferro, in modo tale che l’operante potesse far compiere al personaggio movimenti precisi e netti, sorta di raffigurazione del loro carattere forte ed impavido, come impugnare la spada o stringere a sé la dama da difendere o corteggiare, in tale modo garantendo allo spettatore una rappresentazione scenica d’alto livello artistico e teatrale.
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Antonio Fragapane
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