Non troveremo nulla, se non l’effimera scusa d’aver ucciso per vendetta. Affogheremo senza scampo, ogni giorno, in quel lago immenso di dolore. Esordisce in questo modo, con tali parole, il coautore di Malerba Giuseppe Grassonelli, volume – scritto a quattro mani col giornalista e scrittore Carmelo Sardo – che narra la discesa all’inferno e ritorno di uno dei killer della guerra che vide coinvolte mafia e stidda tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 e che insanguinò la provincia di Agrigento. Malerba (pubblicato da Mondadori) si snoda attraverso un fluido e cronologico schema narrativo che intreccia la ricostruzione degli episodi più importanti della vita di Grassonelli con pagine che invece mostrano il suo amarissimo presente, in quei dieci metri quadrati dove sono cresciuti gli ultimi ventidue anni della mia vita buttata via. Ecco, una vita buttata via: questo uno dei leitmotiv che si percepisce in quello che è considerato il caso letterario dell’anno, tra mille polemiche e critiche scoppiate prima e dopo l’aggiudicazione dell’opera firmata Sardo-Grassonelli del prestigioso “Premio Racalmare – Leonardo Sciascia”. Lo stesso maestro di Regalpetra citato da Grassonelli in un passaggio del volume in cui accenna alla “difesa dell’onore” – concetto che però il coautore non riesce a concepire – come causa scatenante di una guerra criminale: l’unico modo per sconfiggere la mafia e l’humus che la tiene in vita ovvero la cultura mafiosa dell’anti-Stato è l’applicazione del diritto in quanto tale. Queste le parole dello scrittore di Racalmuto citate dall’ex killer empedoclino.
In Malerba vi è una costante presenza, a tratti velata e a tratti assolutamente esplicita, dell’enorme peso che Grassonelli sentì dopo l’uccisione di alcuni suoi congiunti nella strage di Porto Empedocle del 21 settembre dell’86 (tra i quali c’era anche l’amato nonno) e della decisione – scrive obbligata in quel contesto storico, familiare e personale – che prese di vendicarsi contro chi lo voleva morto: io dovevo solo salvare la mia vita. E lo stesso Grassonelli si chiede anche se, prendendo altre decisioni, sarebbe diventato lo stesso il criminale, il mostro che è stato. Probabilmente si – si risponde – il destino ti insegue e ti prende ovunque.
Malerba è infatti questo: un romanzo autobiografico che alterna abissi di profonda disperazione a picchi di struggente dolore e in cui si snocciolano – con un linguaggio chiaro che va sempre dritto al punto, senza perifrasi – episodi di vita personali, assolutamente normali, ad altri relativi ad attività criminali assolutamente crudi nella loro durezza. Un’escalation della tensione, vissuta dall’interno di quel fuoco infernale che è la vendetta: obbligata, ma poi ragionata e perpetuata a ogni costo, con un’accecante odio. Ma il tutto non è mai così netto, o bianco o nero, poiché la mia non era solo una scelta di vendetta. Molti pensano che bisogna decidere tra il bene e il male. Non è sempre così. Io ho dovuto scegliere non tra il bene e il male, ma tra il cattivo e il peggio. Ed è lo stesso protagonista che, consapevole, per primo si condanna, poiché sapeva – e sa ancora – che in quei lontani momenti lui aveva piena consapevolezza di tutto quello che stava succedendo ma non si discostò da una decisione che avrebbe potuto anche non prendere: tu sei peggio di loro, scrive a se stesso. Grassonelli non si è mai pentito, ma scrive d’aver suggerito ai suoi compagni una sorta di pentimento collettivo, proposta che però venne respinta con disprezzo. Durante il processo, dopo aver ascoltato e visto le registrazioni audio e video in cui era il protagonista delle decisioni prese, rinunciò persino a difendersi, troppo schiaccianti erano le prove a suo carico e lui non volle cercare di confutarle.
Ma poi succede qualcosa. Si rende conto della profonda ignoranza umana e culturale imperante nel suo ambiente, sua caratteristica da sempre, e inizia ad avvertire l’esigenza di leggere per istruirsi. Il suo primo libro letto – come per un sintomatico scherzo del destino – fu Guerra e pace di Tolstoj, lui che era appena uscito suo malgrado da una guerra si proiettò verso la pace. Grassonelli, che sta scontando l’ergastolo ostativo – quello cioè che non gli permetterà mai di uscire neanche per un minuto dal carcere – ha infatti intrapreso da anni un lungo percorso, molto intimo, che lo ha portato non solo alla laurea in lettere (con 110 e lode) ma soprattutto alla considerazione di se stesso come una persona “altra” rispetto a quella che entrò definitivamente in carcere nel novembre del ’92, sostenendo adesso con forza che la vera libertà, la vera serenità sono di chi vive in armonia all’interno della propria comunità. E’ chiaro che non potrà mai restituire ciò che ha tolto agli altri, ma io mi sento cambiato, io sono cambiato. Non chiede di essere perdonato, è impossibile per ciò che ha fatto e nessuno potrebbe farlo. E poi conclude così: soffermatevi su di me, personaggio del mio libro, analizzatene i tormenti, le zone d’ombra, la disperazione. Alla fine, a soli ventisette anni, egli sarà sepolto vivo, per sempre. Questo è un uomo da emulare?
Cronaca della vita, poi non più vissuta, di un “fine pena mai”.
Antonio Fragapane
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