Parafrasando Luigi Pirandello si potrebbe scrivere che l’umorismo è un avvertimento del contrario. Questa infatti potrebbe essere una chiave di lettura da impiegare per leggere (e apprezzare al meglio) l’ultimo lavoro editoriale del giornalista e scrittore agrigentino Raimondo Moncada. Già avvezzo a frequentare con un’elegante e pungente ironia argomenti delicati, come ci ha dimostrato nelle sue due precedenti opere (Ti tocca anche se ti tocchi, del 2009, e Dal Partenone di Atene al Putthanone di Akràgas, del 2012), in Mafia ridens, ovvero il giorno della cilecca (pubblicato da Flaccovio Editore) Moncada tratta, col suo stile, una materia seria e sempre di assoluta attualità come la mafia.
Maestro riconosciuto nell’uso dei giochi di parole, in pagine mai banali ma sempre pertinenti e acute, l’autore ci racconta la strampalata storia di Calogerino, quarantenne occupato ad essere disoccupato, e del suo fidato amico Pasqualino, un sessantenne che da sempre aspetta il giorno della pensione. Calogerino un bel giorno decide di dare una svolta alla propria vita stabilendo (e soprattutto auto convincendosi) d’essere Marlon Brando Corleone, il boss mafioso più feroce che la storia abbia mai conosciuto. Creano un’associazione a delinquere – anche se sono in due – che chiamano B.A.B.B.I.U. (al lettore scoprirne il significato), le danno un regolamento e iniziano una serie di rocambolesche e, a prima vista, bizzarre avventure.
Il registro narrativo usato da Moncada incanta il lettore e lo trascina pagina dopo pagina – quasi senza respiro – in un vortice dalla potente valenza satirica, che smaschera luoghi comuni e sberleffa tic tipici degli ambienti della criminalità. Si ride, e molto anche, ma allo stesso tempo la sensazione d’amaro in bocca fa capolino dietro ogni capitolo. L’autore, per sua stessa ammissione, utilizza l’ironia come una lente di ingrandimento che permetta di esaminare la realtà quotidiana cogliendone quei particolari che “a occhio nudo” non si potrebbero riconoscere. Imperdibile è il capitolo Il pizzo pazzo, una brillante sequenza linguistica costituita quasi interamente da un vero e proprio scioglilingua lungo dieci pagine.
Il ritmo incalza fino a un inaspettato epilogo – caratterizzato da un repentino cambiamento di tono nella scrittura – in cui Moncada si affida ad alcune profonde riflessioni sul valore della veridicità della vita contro la finzione dell’interpretarla. Il teatro è la vita rappresentata, scrive, ma la finzione sul palcoscenico è vivere e la finzione nella vita è morire. E noi vogliamo vivere. Per tutti, lo sperare in una possibile occasione di riscatto può essere anche il solo motivo per voler vedere la prossima alba.
Antonio Fragapane
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"Mafia ridens". Quando l’umorismo è (anche) una cosa seria
By vedisotto3 Minuti di lettura
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