Pino Sciumé
Nel cosiddetto immaginario collettivo, costruire il Ponte sullo Stretto è stato un file rouge che ha accompagnato diverse generazioni. Un’opera di per sé gigantesca e costosa. Ma vuoi mettere il significato storico e sociale che esso comporterebbe? Unire la Sicilia all’Italia, un sogno, un brivido che ti attraversa dai piedi fin sopra i capelli. Dire addio al traghetto e passare da Scilla a Cariddi senza accorgertene, in treno, in auto e, perché no, anche a piedi. In fondo cosa sono tre chilometri!
A cavallo degli anni settanta, l’allora Presidente del Consiglio Mariano Rumor, ebbe a dichiarare, nell’ex Supercinema di Agrigento, che quel Ponte avrebbe rappresentato il fiore dei fiori all’occhiello per l’Italia, ma la realtà imponeva prudenza, perché poterlo costruire entro il XX° secolo già poteva essere annoverato nell’albo dei miracoli.
Molti anni dopo, e nel secolo ventuno, Berlusconi ci fece quasi toccare le inferriate per poi battere in ritirata sul piano delle Grandi Opere che ancora deve partorire la Salerno-Reggio Calabria. E siamo alla fine del 2015.
Ora il suo ex delfino, fondatore e capo carismatico del Nuovo Centro Destra, Angelino Alfano, siciliano agrigentino, Ministro degli Interni, ripropone autorevolmente ed inaspettatamente la ripresa del progetto: “Il Ponte sullo stretto si farà, stavolta ci siamo”: E rincara la dose: “Abbiamo fatto una battaglia per rimettere in agenda il ponte e vuol dire che il governo finalmente svolta al sud: con il ponte realizzeremo una grande opera che darà un grande aiuto economico al sud, è la grande incompiuta psicologica del nostro paese”. Dichiarazioni importanti che non possono uscir fuori da un Ministro degli Interni come un coniglio fuoriesce dal cappello di un mago. Inverosimile ma, amici miei, questo è.
A chi gli ha chiesto se ne avesse parlato con Renzi, Alfano ha risposto: “Se ne ho parlato con Renzi? in parlamento la maggioranza ha detto sì: noi siamo parte di questa maggioranza, quindi stavolta ci siamo”.
Al momento non ci è dato sapere le motivazioni concrete (un ministro non parla a vanvera) che hanno spinto il nostro conterraneo a lanciare una sfida così impegnativa. Siamo alle porte della Legge di Stabilità che dovrà affrontare temi molto delicati, spinosi e non rinviabili. Abolizione dell’Imu, proroga degli incentivi sul job act, modifiche alla famigerata riforma Fornero su lavoro e pensioni, tagli si e tagli no alla Sanità e via discorrendo. In questo quadro, tirare in ballo il Ponte sullo Stretto di Messina sembra quasi una provocazione, un modo per dire: mandiamo tutto in aria. Alfano sarà uscito di senno? Riteniamo di no, come siamo convinti che il Capo del Viminale ha voluto ribadire, forse anche “sua sponte”, che certe partite si giocano a carte scoperte.
E’ vero. La Sicilia soffre in maniera atavica della mancanza di infrastrutture. Nove ore di treno per raggiungere Messina partendo da Agrigento, la sua città, sfidano persino la pazienza di Giobbe. E allora avrà pensato di fare al contrario. Facciamo il Ponte, cari Del Rio, Orfini, Renzi, e con il Ponte, ob torto collo, arriverà l’alta velocità anche all’estremo Sud, saranno avviate finalmente quelle opere, a partire dalla Sicilia, che si aspettano da 50 anni: strade e linee ferroviarie europee, valorizzazione dei siti archeologici e turistici, maggiore occupazione. Insomma il Ponte diverrà il magico tappeto su cui il progresso civile dovrà per forza scendere al Sud.
Se così sarà, caro Angelino, i siciliani saranno con te. A cose fatte, s’intende.