“Sulla morte di Giuliano si contano ormai almeno sedici differenti versioni. Ma forse ce n’è qualche altra e forse nessuna è quella giusta. La sola verità è che non c’è la verità” (Francesco Renda, Storia della Mafia, Sigma edizioni, 1997). Il 27 luglio del 2010 la Procura di Palermo, coordinata dall’allora Procuratore Aggiunto Antonio Ingroia, decide di riaprire le indagini sulla morte di Salvatore Giuliano. Poche settimane dopo, lo stesso P.A. dichiara alla stampa che tale decisione è “un atto dovuto” a seguito di una memoria depositata il 5 maggio dello stesso anno dallo storico partinicese Giuseppe Casarrubea e dal ricercatore Mario Cereghino. Il 15 ottobre i magistrati chiedono la riesumazione del cadavere sepolto da sessant’anni nella tomba di famiglia del cimitero di Montelepre.
L’indomani, Ingroia annuncia che sarà il Professor Livio Milone, anatomopatologo del policlinico di Palermo, ad effettuare gli esami necroscopici allo scopo di estrarre il DNA dai resti del cadavere e fugare così ogni dubbio sulla sua vera identità. Il 28 ottobre giornali e televisioni di tutto il mondo assaltano il piccolo cimitero monteleprino, dove di buon mattino viene scoperchiata la tomba che dovrebbe conservare la verità sul primo mistero di Stato della giovane Repubblica Italiana. La Sicilia torna prepotentemente alla ribalta delle cronache nazionali e internazionali, ancora una volta attraverso le vicende di un ragazzo morto o scomparso all’età di 27 anni. Per lo Stato era un bandito, forse il ricercato numero uno di quel tempo, siamo negli anni 1943-1950, per migliaia di siciliani un eroe che seppe dire no alla continua mortificazione della sua terra.
Nell’aprile del 1943, appena ventenne, prese la tessera del M.I.S. il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia costituito da Andrea Finocchiaro Aprile prima ancora della caduta del fascismo e dello sbarco degli alleati avvenuto tra Gela e Licata il 10 luglio di quell’anno. E’ importante seguire le date di quegli accadimenti. Serviranno in seguito per tirar fuori una sorta di conclusione. Ma torniamo ai nostri giorni. L’ “atto dovuto” di riaprire le indagini sulla morte di Giuliano ha colto di sorpresa l’opinione pubblica. I Magistrati di Palermo hanno dato un input di straordinaria portata storica. E altrettanto straordinaria è stata la capacità di Casarrubea di arrivare a questo risultato, anche se, come vedremo poi, il suo scopo è diametralmente opposto a quello della famiglia del re di Montelepre. Lo storico di Partinico ha consegnato alla Questura palermitana un dossier contenente uno studio accurato da parte del Professor Alberto Bellocco, docente di Medicina legale alla Cattolica di Roma, su sei fotografie (tratte dal blog dello stesso Casarrubea) mai pubblicate, del corpo morto di Salvatore Giuliano ritratto prima nel cortile dell’avvocato Di Maria, poi nell’obitorio di Castelvetrano e dopo all’uscita dallo stesso.
Osservando attentamente le foto, il dubbio che trattasi di due cadaveri diversi diventa assai realistico. In particolare si osservano le basette allungate sul viso, il lobo dell’orecchio attaccate alla cute e delle minime escoriazioni sul braccio destro. Inoltre fu fatto un calco del volto del (secondo…?) morto. Perché? E perché non si è mai ritrovato? Perché tutti sapevano che Giuliano aveva diversi sosia?
Nelle altre due foto scattate una dentro il cimitero e l’altra sulla lastra di marmo posta al centro della stanza dove fu fatta l’autopsia si notano chiaramente: 1) Le basette tagliate molto più in alto, il lobo dell’orecchio staccato dalla cute e il braccio destro con evidenti escoriazioni e fori in entrata di proiettili. Quale di questi due corpi fu portato al cimitero di Montelepre dove ha riposato per oltre 61 anni? A distanza di oltre due anni dalla riesumazione, gli esperti non sono riusciti a dare una risposta chiara sul DNA del cadavere. Ingroia ha diverse volte giustificato queste incertezze aggrappandosi alla delicatezza del caso e appellandosi alla necessità di dare una risposta inequivocabile sull’appartenenza delle ossa trovate nella tomba. “Qualora si accertasse la non corrispondenza di quanto detto in quei tempi, ha risposto ad un giornalista, è lecito, come lei mi chiede, che bisognerebbe riscrivere la storia della Sicilia del dopoguerra e la stessa nascita della Repubblica”. Sono in molti a chiedersi se alla base del silenzio dei Magistrati ci sia il Segreto di Stato apposto fino al 2016. C’è una sorta di paura da parte dello Stato nei confronti della Sicilia?
Noi torneremo molto presto a raccontare il resto della storia.