Marcello Rizzo
“…da tempo mi frullava nella testa di scrivere qualcosa sulla mia esperienza radiofonica e Peppe Moscato, in un incontro casuale avvenuto nel luglio del 2012, mi ha dato per cosi dire l’input, lo stimolo.
Dunque, dovevo scrivere un libro su Radio Favara. Avrei parlato dei personaggi più significativi che l’avevano creata e animata dal ‘76 fino all’‘84, anno in cui lasciai la radio, ma anche dei collaboratori, di ognuno di noi con le nostre incertezze, le contraddizioni, i crucci, le proprie idiosincrasie e le passioni in seno alla radio, senza tuttavia entrare nella sfera privata di ciascuno. Non un libro di storia o un saggio analitico rivolto alle scelte programmatiche del comitato direttivo o al consuntivo dell’operato della radio durante il suo lungo trascorso.
Un freddo profilo, contornato da ricorrenze, inaugurazioni, commemorazioni o ambìti telamoni non era certo ciò cui anelavo. Ma non potevo non parlare di Radio Favara Centrale, che fu la mia prima esperienza radiofonica, nonché la seconda radio per cronologia e importanza a Favara, e non dare qualche cenno sulle altre radio.
Ho cominciato così a ragionare da scrittore fai da te. Dovevo innanzitutto creare una tabella cronologica di massima, dove inserire date ed eventi che comprendevano quegli otto anni, stilare poi un elenco di tutti i protagonisti che avrei dovuto intervistare, consultare, importunare, torturare e, infine, documentarmi sugli eventi di quel periodo: politici, culturali, sociali, di cronaca e di costume.
Ma dovevo prima di ogni cosa meditare sulla radio stessa, su ciò che rappresentò per Favara, come nacque e si sviluppò, si diffuse e perché.
Un’associazione esclusiva, sui generis, che emetteva dal complesso di San Francesco dando voce a poeti, scrittori, artisti, maestri, professori, intellettuali, speaker e intrattenitori: una novità assoluta in una realtà grigia e scevra di iniziative sociali e culturali.
I negozi che trattavano elettrodomestici e radio furono letteralmente presi d’assalto dai cittadini che volevano munirsi di radio e sintonizzatori in FM, per seguire le rubriche di questa radio che trasmetteva sui 101 MHz.
La gente non vedeva l’ora di rientrare a casa la sera per seguire i programmi e, soprattutto, i giochi proposti da Radio Favara. Ci fu la febbre dei quiz che coinvolse buona parte degli ascoltatori, senza contare la musica a richiesta. Bastava una telefonata al 32545 per dedicare una canzone a qualcuno. Ma, oltre ai quiz e alle dediche, vi furono delle rubriche più significative che coinvolsero quella fascia di intellettuali, giovani e meno giovani acculturati che amavano la prosa, la poesia, la storia, la scienza, la medicina, lo spettacolo, le notizie di carattere culturale, la politica. Senza contare i notiziari, redatti inizialmente da Umberto Re e in seguito da Domenico Felice, attesi e seguiti. Ma anche la Santa Messa la domenica mattina. Insomma di tutto e di più.
Quella radio creata da un CB (Citizen Band o Banda Cittadina), Libertino Alaimo, per gioco e puro spirito creativo, con mezzi di fortuna, grazie a un radioamatore, padre Pacifico Nicosia, con il benestare di padre Francesco Schifano, e il nulla osta di Monsignor Bommarito, che la ospitò al convento, unitamente a un gruppo sparuto di intellettuali divenne in pochi mesi una struttura stabile, un’associazione fondata su sani principi e senza fini di lucro, un centro permanente di ritrovo per tutte le stagioni e per tutte le età, una fucina dell’etere, una famiglia allargata, un’associazione di amici, una culla dall’estro creativo, un salotto letterario, un’arca di speranza per i giovani e meno giovani di tutte le estrazioni sociali.
Vivevo questa realtà radiofonica dall’esterno, o meglio dire, dal basso, guardando alla collina come al monte “Olimpo” e alla stessa radio come a qualcosa d’irraggiungibile. Ma ne apprezzavo la capacità, l’operosità, l’organizzazione, riconoscendo quei meccanismi che la muovevano.
Una macchina in grado di pianificare intere settimane di programmi, sempre variegati e ricchi, con la partecipazione di persone mature, istruite e altruiste, operose e diligenti, capaci di coinvolgere tutte le fasce d’ascolto e di età.
Tutto all’associazione era concepito e realizzato senza alcun fine di lucro, la radio non era politicizzata, anche se, in verità, ognuno in cuor suo lo era, senza tuttavia ostentarlo in etere, per una forma di etica, ma anche di correttezza in rispetto nei confronti dello statuto e dell’istituzione che l’aveva adottata a pieno titolo e in perfetta buona fede” nell’agosto del 1976.
Dal libro “Centouno Ricordi”