Dal Vangelo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. Parola del Signore
Gesù aveva già affermato nel dialogo con i suoi discepoli in terra di Samaria che suo scopo era fare la volontà del Padre, ma la relazione profonda, singolare, eccezionale che lo lega al Padre deve ancora essere meglio spiegata e compresa. L’occasione del suo manifestarsi è data in parte dalla lunga vicenda processuale alla quale Gesù è sottoposto tra il capitolo 5 e il capitolo 8 di Giovanni, che racchiudono i motivi di scontro tra i farisei e Gesù proprio a cagione del suo definirsi in relazione al Padre. Solo nella Pasqua questo legame di vera vita in contrapposizione alla morte si manifesterà appieno.
Questa dipendenza libera e profonda inizia a prendere già alcuni tratti dalla pagina del capitolo 5: il Padre e Gesù sono legati dallo stesso operare e nell’agire di Gesù continua l’azione di Dio: Gesù chiama Dio suo Padre: il Padre ama il Figlio e in Lui si manifesta. Ciò che accomuna Padre e Figlio è l’agire per dare la vita e ancora una volta è l’udire la loro Parola il motivo della vita. Al Figlio è dato di giudicare gli uomini in relazione alle loro disponibilità di ascolto. Il potere del Figlio scaturisce dalla relazione d’amore con il Padre di fronte a cui l’uomo è libero di scegliere se entrare in questo dono di comunione o se rifiutarlo, il che diviene motivo di auto esclusione dalla vita, cioè motivo di condanna. Di questo pericolo di condanna era stato preavvisato già il malato guarito nel secondo incontro con Gesù al Tempio, laddove Gesù lo aveva invitato a credere perché nulla di peggio gli accadesse.
Le parole non suonano come minaccia ma come pressante invito alla fede, solo nella quale si riceve la vita. Ciò che Gesù manifesta a dispetto dell’ostilità dei giudei è la circolarità d’amore che lo lega al Padre e che lo abilita a pronunciare parole di vita. Questo contenuto della rivelazione di Dio, regalata per essere motivo di vera gioia e fondamento della fede in Gesù come compimento definitivo della promessa di Dio, diviene invece, drammaticamente, il suo capo d’accusa principale.
Fra Giuseppe Maggiore