Il film sarà presente al festival internazionale del cinema di Cannes, dal 17 al 28 maggio prossimi
Del film parla con noi Giuseppe Sciortino, diretto nipote di Giuliano in quanto figlio di Mariannina Giuliano, sorella e collaboratrice del “re di Montelepre” il quale non ha nascosto la soddisfazione personale e della famiglia.
“Il Padrino del bandito Giuliano”. E’ questo il titolo del docufilm che dovrebbe squarciare il segreto di stato sulla strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947 e sulla presunta morte di Salvatore Giuliano avvenuta in un conflitto a fuoco con i carabinieri a Castelvetrano nel 1950.
L’opera è già stata presentata alla stampa nazionale a Roma il primo febbraio e successivamente, in anteprima mondiale, a Bucarest il 22 febbraio, presso l’Istituto di Cultura Ambasciata Italiana. La scelta di Bucarest non è casuale. Il film infatti è diretto da Ieva Lykos, attrice e regista rumena, mentre la produzione è di Carlo Fusco. Dalle ultimissime notizie si è appreso che il film sarà presente al festival internazionale del cinema di Cannes, dal 17 al 28 maggio prossimi, nella sezione Market e quindi non in concorso. I diritti di distribuzione sono stati acquisiti dalla Adler & Associates Entertainment di Los Angeles, tra i più grandi colossi mondiali del settore che intrattiene rapporti con oltre duecento nazioni, compresa l’Italia.
A seguire sarà presentato ai festival del cinema di Toronto, Berlino, Hong Kong e Los Angeles. Sembra pertanto di capire che il quarto film sulla storia del bandito Giuliano abbia tutti i requisiti necessari per una massiccia diffusione allo scopo di riportare all’attenzione mondiale una storia cominciata in Sicilia nel 1943 e precisamente a Montelepre, un paesino alle porte di Palermo, il cui epilogo ha di fatto determinato la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Italiana sulle macerie lasciate dalla seconda guerra mondiale.
Abbiamo raggiunto Giuseppe Sciortino, diretto nipote di Giuliano in quanto figlio di Mariannina Giuliano, sorella e collaboratrice del “re di Montelepre” il quale non ha nascosto la soddisfazione personale e della famiglia. “La mia principale aspettativa è quella di trasmettere ai posteri – ci ha dichiarato – la vera Storia di mio zio Salvatore, vero uomo e vero combattente contro i soprusi subiti dalla Sicilia e dai siciliani. Giuliano non è stato mai un bandito, perché se fosse vero, non sarebbe stato amato dal suo popolo. Ha combattuto contro l’esercito italiano in un contesto che prevedeva l’indipendenza della Sicilia. E lo ha fatto sotto la bandiera del M.I.S e dell’esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia (l’Evis ndr)”.
“Cosa si aspetta da questo docufilm?”. Risponde: “Sarebbe facile trovare parole entusiastiche, ma io conosco la verità sin dal 1965, ho avuto la possibilità di parlare con tutti i protagonisti di quelle vicende, tutti ragazzi incensurati, uniti dallo stesso ideale e dall’ammirazione per il loro comandante. Sono cresciuto con mia madre e mia nonna. Anche mia madre ha combattuto per la Sicilia. Era a capo del gruppo femminile che faceva da supporto logistico a quel piccolo esercito. E’ stata lei l’ispiratrice dell’unico vero libro sulle gesta di mio zio, da me scritto nel 1987, ‘Mio fratello Salvatore Giuliano’. Ho costruito con enormi sacrifici un castello in suo onore, chiamato appunto Il Castello di Giuliano, ho ricomprato la casa dei miei nonni e ne ho fatto un museo visitato negli anni da migliaia di turisti italiani e stranieri. Ero consapevole di costruire una cattedrale nel deserto, ma sono certo che il messaggio che arriverà saprà togliere la vergogna che lo Stato ha voluto far cadere su Montelepre e il deserto ricomincerà a muoversi”.
E continua: “Non è mia intenzione idealizzare la figura di Salvatore Giuliano, piuttosto preferisco di gran lunga far azzerare le mistificazioni, le bugie, gli inganni, i tradimenti, le torture fisiche e morali, le due deportazioni di massa che i miei concittadini hanno dovuto subire dalle forze dell’ordine di allora, molto diverse da quelle di oggi. Giuliano si è trovato con i suoi uomini quel giorno a Portella. Era appostato sul monte Pizzuta a cinquecento metri dalla folla. Fece togliere le armi a quattro cacciatori che per caso si trovarono in quel posto e che assistettero al massacro. I quattro furono interrogati, ma dissero che Giuliano ordinò di sparare in aria e nessuno fu colpito. I morti di Portella furono vittime di pallottole provenienti da altri punti di fuoco, in tutto sei postazioni di mafiosi, di infiltrati dell’ispettore Messana, di dieci tiratori scelti di lanciagranate che sparavano dal versante opposto. Tutti, tranne la ‘banda Giuliano’, sparavano sulla folla: undici morti, trenta feriti. Un complotto politico mafioso all’insaputa di mio zio, ma già due ore dopo la strage, senza ricevere ancora alcun dispaccio, l’Ispettore Messana telegrafava a Scelba scrivendo che Giuliano aveva compiuto la strage”.
“Nei precedenti film di Francesco Rosi ‘Salvatore Giuliano’ del 1961 e ‘Segreti di Stato’ di Paolo Benvenuti uscito nel 2003 si parla più volte di due esponenti del Governo di allora, Bernardo Mattarella e Mario Scelba. Che ruolo hanno avuto in quei sette anni?”. “Vede, risponde Sciortino, questa è una parte delicata, ma la risposta si trova nel film che sarà distribuito dopo il festival di Cannes”.
Notte tra il 4 e il 5 luglio 1950. Nel cortile dell’avvocato Gregorio Di Maria, a Castelvetrano, fu trovato il corpo esanime di Giuliano. Il Colonnello Ugo Luca e il Capitano Antonio Perenze organizzarono un blitz che portò alla cattura e all’uccisione del bandito che per sette anni aveva tenuto lo Stato sotto scacco. Ma quel corpo riverso per terra non convinse nessuno. Pochi giorni dopo il giornalista Tommaso Besozzi scrisse un articolo dal titolo ‘Di sicuro c’è solo che è morto’ con il quale smontò la versione data dai carabinieri definendola come una plateale messinscena. In seguito si mise in dubbio persino che quel corpo fosse di Giuliano. Sta di fatto che l’avvocato Di Maria emigrò in America dove soggiornò per lungo tempo. Tornato al suo paese insegnò nelle scuole professionali.
Già novantenne concesse qualche intervista, ma le sue erano risposte evasive, confermavano sempre la versione ufficiale. Nel 2010, a 98 anni fu colpito da un infarto e ricoverato due volte in ospedale. Sentiva arrivare la fine, una fine che gli diede quel coraggio inseguito per tutta la vita, quel rospo dentro, come diceva lui. Il giorno prima della morte, nel mese di maggio, chiamò due infermieri e lasciò loro un testamento verbale ‘articulo mortis’.
“Di Maria: La sera prima mi vennero a trovare per concordare il tutto. Infermiere: Ma chi venne? Di Maria: La società, la loggia… i carabinieri; tutto era già stato stabilito, doveva morire quell’altro… povero picciotto!! In cambio a lui, quello vero, lo facevano andare lontano. Infermiere: Ma perché, erano d’accordo? Di Maria: D’accordo, d’accordo. Tutti gli omicidi che li aveva fatti lui? Di sua spontanea volontà? Lo usavano e non lo prendevano. Poi, quella cosa che gli hanno accollato era grossa (la strage di Portella della Ginestra, nda) più grossa di lui, non ha potuto fare altro che scapparsene. Uno dei primi scappati è stato… mafia e politica, politica e brigantaggio. Era troppo scomodo, sapeva troppe cose. Infermiere: E allora perché non ammazzavano a lui? Di Maria: risponde con una frase in latino – quindi, continua -, Lui si nascose sotto il letto, tanto era già morto là fuori (il povero picciotto che fu sacrificato), chi lo doveva cercare… Asparino (Pisciotta) si lamentò che a Salvatore lo avevano fatto andare all’altro mondo (in America), poi ci mandarono anche a lui all’altro mondo (sottoterra). Salvatore pure nelle sue memorie lo scrisse che non era stato lui e li affidò a un amico sincero, me lo disse molte volte: “Queste cose non me le calo. Un giorno lontano ritorno e li ammazzo tutti”… minchiate, lo sapeva che non sarebbe più tornato. Quello di Palermo che ci ha queste cose (un Avvocato e Autorevole uomo istituzionale di Palermo, a cui Giuliano inviò il suo primo memoriale, il memoriale che Di Maria aveva dichiarato all’Ispettore Verdiani di aver bruciato) è legato a giuramento come quello di una volta, no che ora i coglioni non ce li ha più nessuno. Tutta una vita con questo rospo dentro. Come si chiama lei? Infermiere: Giosy. Di Maria: Lei ce li ha i coglioni per tenersi tutto dentro?… minchiate!!”, (Castelvetrano 13 novembre 2010 – firmato: Di Giovanni Salvatore, Zito Giusto – testimone Luigi Simanella). NOTA: QUEST’ULTIMO PARAGRAFO E’ TRATTO DA UN ARTICOLO DI LUIGI SIMANELLA SCRITTO IL 4 /12/2010 SUL SETTIMANALE “I VESPRI”, a suo tempo consegnati all’Autorità Giudiziaria.
“Che ci dice Signor Sciortino?” Con pacatezza risponde: “Questa e un’altra importante verità chiudono il cerchio di un segreto di Stato spostato al 2020, ma che il film coraggiosamente anticiperà”.