Dal Vangelo secondo Matteo In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto». Parola del Signore
Stupisce la risposta ambigua di Giuda. Preferiremmo il suo silenzio, almeno come segno di pudore nel tacere il proprio peccato. Ma questa sua ambiguità ci fa percepire l’ambiguità del cuore, anche del nostro cuore. Agostino dice, infatti, che il cuore è il luogo dove ci scopriamo “a immagine di Dio”, ma anche “dissimiglianti” da lui. Scoprire il cuore, così, è come avvertire il peccatore che è in noi e che pure troppe volte vogliamo occultare anche a noi stessi. È scoprire la complicità con il peccato dentro di noi, prima ancora dei gesti concreti. Dovrebbe suonare vera e provocatoria anche per noi la risposta di Gesù a Giuda: e indurci a ripensare alla nostra libertà, quando si consegna alle cose, i “trenta denari” per vendere Gesù, e non accoglie l’iniziativa di Dio, che non si ritrae, mai, dall’essere misericordioso, per vincere la durezza del nostro cuore impietrito, quando, come Giuda, non sappiamo rimuovere i propositi malvagi di possessività, di violenza, di egoismo, di aggressività nei confronti delle persone e delle cose. Ma perché siamo capaci di peccare? Perché ci ritroviamo peccatori? È un interrogativo che ha turbato tanti autori spirituali e turba anche noi. Non è facile rispondere. Ma sappiamo che il peccato non significa semplicemente avere dei limiti. Né si identifica con il senso di colpa nei confronti di una situazione di cui si porta il peso. È invece il rifiuto, consapevole e voluto, del riferimento a Dio, alla sua parola, alla gratuità del suo amore. È un comportamento o un gesto o un’azione in netto contrasto con il mistero della comunione, regalataci in Gesù Cristo. Anche noi, dunque, possiamo cedere, come Giuda, alla tentazione di un baratto tra la scelta di Gesù, dell’amore assoluto e l’opzione per ciò che appaga la voracità dei sensi. Ma il Signore ci raggiunge, con la forza di una parola che pone nella verità: “Tu l’hai detto”, non per condannarci, ma per ridarci la dolcezza del suo perdono, che riconcilia e riammette nella pace. Allora l’esperienza dell’essere peccatori ci riconduce all’esperienza del Salvatore e rende autentico il bisogno di lui, della sua salvezza: per noi e per la nostra storia. Basterebbe questo a sorreggere un cammino di purificazione e di conversione. Ma non bisogna aver paura che il Signore ci ponga nella verità. (laparola.it)
Pace e bene
Fra Giuseppe Maggiore