Dal Vangelo secondo Marco Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». Parola del Signore
Il testo, che ha tutta l’aria di essere un’appendice al vangelo di Marco, forse posteriore, riassume le apparizioni di Gesù e le pone esplicitamente in rapporto alla futura missione della Chiesa. Di queste, la prima porta in primo piano l’incredibile privilegio dell’apparizione ad una donna, già posseduta da demoni; insomma il massimo della inattendibilità per un testimone, che difatti non riesce a convincere i seguaci del Maestro. Credere che un morto fosse ancora vivo e fosse stato visto solo da lei era francamente troppo. Quante volte, la Sua parola ci giunge attraverso le vie più impensate, sconvolgendo completamente le gerarchie del probabile e dell’improbabile, del credibile e dell’incredibile! In verità, nemmeno la seconda apparizione, ai due di Emmaus, che tornavano dalla città, ha miglior successo. Lo schema è il medesimo, il grado di credibilità più alto, l’esito lo stesso: alla fede dei discepoli si stava chiedendo troppo. La terza apparizione sorprende gli apostoli mentre stanno mangiando. Il racconto non può non segnalare un tratto prevedibile di rimprovero per la loro incredulità, che si trasforma immediatamente in una consegna alta ed esigente. Una consegna, anzitutto, che implica un nuovo esodo «Andate». Il vangelo non è una voce del verbo “attendere”, ma del verbo “andare”. In secondo luogo, questo dinamismo non è fine a se stesso, ma serve a trasmettere un annuncio, in modo esplicito, diretto: il predicare è, nello stesso tempo, dichiarare, proclamare, professare, testimoniare. Tutto questo dev’essere fatto pubblicamente, con una proiezione universalista forte e insistita: «in tutto il mondo… ad ogni creatura». “Tutto” e “ogni” sono, a pensarci bene, i due aggettivi dell’evangelizzazione: la parola di salvezza deve scavalcare ogni frontiera, ogni staccionata. E questo carico apparentemente impossibile viene messo sulle spalle di gente che sembrava aver fallito la prova decisiva: in fondo, erano discepoli scelti, che avevano seguito il Signore, avevano visto molti segni miracolosi in quegli anni straordinari, eppure non avevano creduto alla parola di almeno tre testimoni diretti. Questo compito inimmaginabile non è affidato ad una schiera di supereroi, ma ad un manipolo di individui fragili e duri di cuore. Non abbiamo alibi: in mezzo a loro possiamo starci anche noi. Purché accogliamo le sue parole, almeno la terza volta in cui ci si presenta. Potrebbe non essercene una quarta. (laparola.it)
Pace e bene
Fra Giuseppe Maggiore