Dal Vangelo secondo Giovanni Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola». Parola del Signore
Dovremmo riflettere a lungo su queste parole di Gesù, che ci rivelano il mistero più profondo, quello della sua identità con Dio. Gesù si sente uno con Dio, “una cosa sola con il Padre”. Per questo ci inginocchiamo davanti a lui, davanti alla sapienza della sua persona, unica, ineffabile. Così come è, egli si mette a nostra disposizione, accetta di prendersi cura di noi, si fa nostro pastore, assumendo la responsabilità diretta di ciascuno di noi, che gli siamo stati affidati dal Padre: “… Non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”. Basterebbe questa certezza per lasciar cadere ogni preoccupazione, ogni paura: perché siamo nelle mani di Dio, mani che accolgono, che fasciano le ferite, che accarezzano, che custodiscono. Se siamo in queste mani vuol dire che siamo preziosi agli occhi di Dio, e nessuno può strapparci da lui. Dio è più grande di noi, è più grande di ciò che può rendere insicura la vita; per questo possiamo camminare sicuri e coltivare motivi di speranza. La mano del Signore è la mano dell’amore, che non ci tiene lontano dalla fatica e dalla prova e tuttavia ci difende, si fa vicina a noi, ci sostiene nel cammino della fede, della speranza e della carità. È la mano che ci benedice, ci perdona; ci plasma come l’argilla “nelle mani del vasaio” (Sir 33, 13); rende il nostro giogo “soave e leggero” (Mt 11, 29-50). Dobbiamo imparare, tuttavia, a riconoscerci tra le pecore che ascoltano il Pastore. Lo si riconosce, quando gli si appartiene, quando si lascia penetrare nel cuore la sua voce, senza respingere il suo dono, senza calpestarlo con la nostra ribellione o la nostra pigrizia, o cercando lontano da lui la risposta ai nostri desideri. E se capitano, come capitano, questi momenti di ribellione, bisogna rimetterci davanti a lui e dirgli: “So che io ti interesso, che sono importante per te, perché il Padre mi ha affidato a te. So che puoi ricondurmi al Padre, di cui mi presenti il volto, facendoti conoscere come Figlio”. Sarà un modo efficace, questo nostro pregare, per lasciarci ricondurre all’ovile e sperimentare la libertà dei figli.
Pace e bene
Fra Giuseppe Maggiore