Dal Vangelo secondo Giovanni [Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro: «In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato». Parola del Signore
Sembra essere questa la lezione che abbiamo bisogno di far nostra: perché è sempre latente la presunzione di superare il Maestro, di prendere il suo posto facendo da “padroni” sulle persone e sulle cose, in nome di una autonomia che rivendichiamo improvvisamente. Ma il Signore ci dice che nessun “apostolo” è più grande di chi lo ha mandato. È un forte richiamo ad essere discepoli, a riconoscere che non si può ricavare tutto da sé, che bisogna imparare la sapienza dall’unico Maestro, facendo propria la sua parola, il suo insegnamento. Il discepolo è colui che ascolta, che impara, che segue una via, senza la pretesa di tracciarla da sé, addirittura di insegnarla. Prima c’è la parola di Gesù, la sua verità, a cui si obbedisce, si risponde, in un cammino, quello della fede, che chiede un affidamento, capace di strappare dall’illusione di essere noi i salvatori della storia. Capita, anche nelle nostre azioni “apostoliche”, di ritenerci capaci di leggere la storia, gli eventi, le situazioni a prescindere dal riferimento alla Parola, alla verità che è Gesù Cristo, correndo il rischio di interpretare lo scenario quotidiano sulla nostra misura o di crearci l’illusione che basta conoscere i problemi per poterli risolvere. Essere discepoli comporta, invece, la fatica di un discernimento, l’assunzione di responsabilità autentiche, il bisogno di un confronto, di un dialogo; comporta la tensione di un cammino dentro la comunità della Chiesa, dove la parola del Magistero offre indicazioni autorevoli. Anche questo è un itinerario, che può avere tanti spazi e tante tappe, per condurre, comunque, a imparare Gesù, a “saperlo”, a prendere la sua forma, attraverso la forma della Parola. Bisogna stare alla scuola della Parola, bisogna incontrarla ripetutamente così da rinunciare ad essere noi la misura del vero e del falso, la misura delle situazioni, perché essa sola conduce alla verità, è la verità. Allora la Parola diventa la chiave del cammino di obbedienza, snida l’indocile che è dentro di noi e ci pone nella condizione del servo, che non si fa più grande del padrone, ma è attento ai suoi cenni per obbedirgli: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”(laparola.it)
Pace e bene
Fra Giuseppe Maggiore