G. M. Piscopo
Ho rivisto Nicolò D’Alessandro dopo tanti anni a Palermo ed ho provato una gioia infinita e indescrivibile. Ho rivissuto la mia infanzia, i miei sogni e la lunga fatica che vivono gli Artisti prima di diventare vecchi. Pochi sono gli Artisti in Sicilia come Nicolò.
Nella sua anima rivive tutta la nostra storia…
Nicolò D’Alessandro Tripoli (Libia) 1944 vive a Palermo. Partecipa alla vita artistica italiana dal 1961, esponendo per invito e si interessa parallelamente di ricerca estetica, contribuendo con scritti critici. Numerosi disegni sono stati pubblicati in riviste, giornali e libri. Firma scene e costumi di spettacoli teatrali e collabora come direttore artistico per alcune Case Editrici. Dal 1963 ha tenuto centodieci mostre personali, altre duecento collettive su inviti di gallerie, Enti, ed Istituzioni Culturali in Italia e all’Estero. Numerose le pubblicazioni. E’ Autore del disegno più lungo del mondo, a china: “La Valle dell’Apocalisse” ( metri 83,50 per metri 1,50), esposto a New York nel 1992.
Molto è stato scritto sul lavoro in Italia e all’Estero.
Alcune personali:
Bucarest 1981; Budapest, Amsterdam 1982; Belgrado, Zagabria 1983;
NewYork 1985; Mosca 1988; Praga 1990; Bratislava 1991;
New York 1992; Palermo1996; Madrid, Cracovia 1997; Rimini 1999; Palermo 2001; Piombino 2002; Palermo, Catania, Cefalù 2003; Trapani Varsavia 2005; Museo Guttuso Bagheria 2010; Bratislava Trnava 2011; Mazara del Vallo 2012; Palermo 2012.
Tra le numerose pubblicazioni:
Situazioni della pittura in Sicilia (1940-1970); 1975.
Frammenti di memoria praticabile 1982; Imprecisioni ed appunti 1982;
Pensieri come virgole, 1989; Pittura in Sicilia (dal futurismo al postmoderno)1992;
La Valle nelle memorie dei viaggiatori in La Valle dei templi, 1994;
La Valle dell’Apocalisse (il disegno più lungo del mondo)1995; Emergenza Cultura a Palermo, 1995
Artisti siciliani nel secondo ‘900 (X volume) in Storia della Sicilia; 1999 Artisti contemporanei, Cefalù 2004, Made in Sicily Catania, Palermo, 2012.
Come e quando inizia il tuo percorso artistico?
Agrigento è un riferimento importante per la mia formazione. Luogo della mia infanzia ho imparato a sognare il mondo barcamenandomi con fatica tra le piccole questioni quotidiane e i problemi di tutti i giorni. Ho imparato a fantasticare come tutti i miei coetanei. La realtà sociale ad Agrigento era completamente diversa da quella di ora. Tutto era regolato dai ritmi di una provincia che confina soltanto con se stessa. Una città securizzante e indifferente ai cambiamenti che sono avvenuti nel mondo. Ancor oggi poco è cambiato. Il disegno nelle lunghe giornate senza distrazioni, senza la televisione è stato il mio compagno preferito. La mia ossessione. Mi ha dato la possibilità di guardarmi intorno. Di visualizzare ciò che percepivo. Ho imparato a riflettere, a ritrovare quella parte nascosta di me che data la giovane età non conoscevo. Lì ho costruito la mia grande solitudine. La mia necessità di allontanarmi dai rumori distraenti del modo. Disegnavo, disegnavo sino a stancarmi per capire. Continuo come allora questa pratica quotidiana: disegnare con la speranza, ancora, di sapere disegnare veramente. A volte mi chiedo se questo sia una privilegio o una condanna. Non saprei rispondere. Divoravo tutto ciò che i libri e le riviste d’allora mi davano. Ero assetato di conoscere il mistero dell’arte. Ne volevo fare parte. Conservo ancora centinaia, dire migliaia, di disegni sui fogli di quaderno, su tutto ciò che mi veniva a tiro.
Ti ho conosciuto da grande ed eri già famoso. Ma da ragazzo come eri?
Timido, scontroso ed introverso. Scostante poiché non riuscivo a dialogare con gli altri della mià età che avevano altri interessi e non gliene fregava nulla dei miei discorsi sull’arte che consideravano noiosi e senza senso. Ed io mi isolavo poiché di fatto ero isolato dagli altri. Ero arrabbiato con gli amici, con tutti. Quella rabbia tipica dell’età, di chi crede di essere al centro del mondo e di non essere capito. E trovavo nel disegno lo spazio di libertà che sognavo da poter condividere con gli altri. E divoravo libri, le riviste del tempo che parlavano d’arte. Ogni mese, ricordo, aspettavo con ansia la rivista edita dalla casa farmaceutica Minuti Menarini che mio zio, medico, mi regalava sapendo della mia passione. Passavo ore a guardare incantato le figure e sognavo di essere in grado di saperle fare anche io. Tiziano, Rembrandt, Goya, Michelangelo sino agli impressionisti Manet, Monet, Pissarro e ancora Picasso e Modigliani. Li guardavo e riguardavo. Li ridisegnavo con l’insoddisfazione degli autodidatti sprovveduti che devono reinventarsi tecniche e metodi. Sentimenti contrastanti di odio e di rifiuto mi rendevano Agrigento insopportabile e sempre più lontana. Ma di fatto dialogavo soltanto con me stesso e meditavo piani di fuga.
Quando hai scoperto la pittura?
Devo a mia madre, alla sua sensibilità e delicatezza l’interesse per la pittura che nel tempo è diventata la mia scelta di vita. Un modo di vivere. Lo strumento per indagare l’esistenza. Anni di lavoro costituiscono il senso profondo della mia vita. A lei devo l’aver capito che il mio destino, se così posso dire, era l’arte. Disegnare e scrivere. Da sempre questo è il mio mestiere. Forse sarebbe più corretto dire che disegnare e scrivere è un modo di vivere. Una scelta di vita che ho compiuto soltanto per capire. Non è che abbia capito molto. Per questo continuo a farlo da sempre. Molti hanno già capito tutto. Hanno le idee sicure. Sanno quello che vogliono. Al contrario io, in tanti anni, ho solo capito ciò che non voglio.
Molti sconoscono e neppure ipotizzano che scegliere l’arte come compagna di vita non è qualcosa sulla quale ci si può scherzare tanto facilmente. Ci si ritrova di fronte ad una cosa maledettamente seria. A volte drammatica. Si tratta di praticare un luogo misterioso, a volte incomprensibile, dove ci si muove per tentativi nella più completa incertezza e solitudine.
Dico questo in base alle gratuite affermazioni di molti che quando sanno che mestiere fai ti dicono: “Beato te che facendo il pittore ti diverti”. “Stai sempre con i colori”. “Non hai pensieri”. “Ti rilassi”. “Ti diverti nel tuo tempo libero” ed altre castronerie del genere. Di cosa parlano? L’arte non è consolatoria. È un’altra cosa. “Non puoi lamentarti dopotutto fai quello che vuoi”. Ecco. Appunto, non faccio quello che voglio. Non è una vera scelta quello che faccio. Compio da tempo immemorabile una serie di tentativi di fare cercando di capire quello che vorrei fare veramente. Un viaggio nel buio delle idee. Una lotta tra l’invenzione, la conoscenza e la memoria. Qualche volta viene in aiuto l’esperienza e la dura applicazione per capire. Ma non basta. Accidenti se non basta!
Che cosa provi quando dipingi?
Ciò che tutti, credo, provano quando fanno ciò che desiderano. Disegno da sempre e ogni volta è come la prima volta. Il desiderio di ciò che non conosco. La paura e l’horror vacui del foglio bianco costituiscono la mia adrenalina. La mia gioia quotidiana. Ritengo di essere un uomo fortunato poiché sin da bambino ho fatto ciò che ho voluto. Credo che ciò, guardandomi intorno, sia un grande privilegio.
In passato, ricordo le tue mostre in giro per il mondo, con tele grandissime. Continui a partecipare alle grandi Mostre internazionali?
La mia carriera o meglio la mia vicenda artistica, continua con la stessa passione di sempre. Negli anni sono meno ansioso, preoccupato soprattutto di restituire agli altri un lavoro sempre più aderente allo spirito del tempo e alla mia percezione della realtà. Continuo a partecipare quando mi invitano alle mostre. Ma sono più interessato al lavoro che apparire con il mio lavoro. No so dire se ciò è maturità, saggezza o stanchezza.
Quali sono i tuoi Maestri pittori di riferimento?
I maestri rinascimentali Bosch, Schongaure, Dürer, Rembrandt. I grandi disegnatori tedeschi.
Cosa pensi di Parigi e di Montmartre, che ricordo hai?
Il mio interesse per Parigi, dove vado spesso, è legato all’interesse degli artisti che hanno fatto l’arte contemporanea. Ha rappresentato per me un punto di riferimento sin quando poi le esperienze della Pop art nel 1964 con Rauschenberg hanno modificato l’Arte Contemporanea. Tutto è cambiato defintivamente. Ho viaggiato molto. Continuo a farlo grazie al mio lavoro, alle mie mostre che mi hanno dato la possibilità di confrontarmi con culture diverse dalla mia.
È difficile realizzare un ritratto per Repubblica?
Precedentemente sono stato disegnatore di redazione di Voce Nostra, di Trapani Nuova, del Giornale di Sicilia. Una palestra importante e formativa. Ho imparato soprattutto al Giornale di Sicilia come si lavora in un quotidiano basato solo e soltanto sulla notizia, sulla sua scadenza e la velocità d’esecuzione. Ho dovuto imparare ad eseguire, in tempi strettissimi e stabiliti, disegni di varia natura. Dalla ricostruzione di delitti nelle province siciliane alle caricature, dalle testatine delle rubriche alle cartine geografiche esplicative. Qualche volta ho dovuto realizzare delle vignette riempitive.
Come lo realizzi tecnicamente?
Preferisco usare la matita invece della china, mia tecnica usuale. Confesso che non la usavo da molto tempo ed ho reputato utile esercitarmi in questa direzione. Ogni settimana lo faccio con questi ritratti che sono naturalmente delle illustrazioni senza grandi pretese. Il mio sforzo però è quello di restituire in ogni disegno il personaggio e la sua verosimiglianza. Mi conforta sapere che il disegno vive nel lettore lo spazio di alcuni secondi, mentre legge l’articolo con lo sguardo che lo accompagna.
Come vive un Artista come te a Palermo?
Personalmente vivo un grande disagio. Le arti figurative a Palermo subiscono un evidente arretramento. Ma il discorso sarebbe troppo lungo e preferisco parlarne in un’altra sede. Ho creato un Laboratorio Museo del Disegno dove ospito il lavoro di altri disegnatori ed incisori e in tal modo cerco, con le mie forze, di contribuire da cittadino a questa Città, hainoi, sempre più depauperata e alcune volte velleitaria.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Molti sono convinti che l’Arte, in generale, sia un’esperienza solitaria. In parte ciò è vero, nella sua specifica fase di creazione e di realizzazione fisica, ma nella sostanza è il risultato delle esperienze che si accumulano nell’artista, nel continuo rapporto con gli altri, con la memoria e con la storia della collettività che agisce in ognuno di noi. La percezione del mondo e la sua traduzione narrativa sono per ciò la sintesi di un’esperienza collettiva. Questa percezione è fortemente condizionata dalla nozione di contemporaneità, dalla nozione del tempo e della storia che ci ha formato e che ci modifica momento per momento.
Nel complesso rapporto tra scrittura e arti figurative si muove questa mia ultima produzione recente. Un gioco consapevole tra “memoria” e “scrittura” creativa alla ricerca di possibili indizi comunicativi. Metto scrittura tra virgolette intendendo sia il gesto della scrittura, sia i suoi automatismi, non i suoi significati che nel caso specifico non hanno un ruolo attivo. Una riproduzione tra imitazione ed invenzione, tra gioco e mistero. Tra consapevolezza ed attesa. Attingo al grande serbatoio delle variabili segniche delle scritture alfabetiche, ideogrammatiche. Il tutto muove dalla certezza che un’immagine possa vivere anche attraverso lo sguardo degli altri con risultati non prevedibili.
Queste opere recenti, queste “icone” sono il risultato di un intenso periodo di ricerca che dura almeno da quattro anni. Un periodo interrogativo molto travagliato, problematico che tenterebbe di scippare alla finta scrittura i segreti del loro provocatorio finto mistero. Lavoro da alcuni anni alle mie Torri di Babele, alle Icone, alle mie Scatole magiche contenenti scritture. Questa mia produzione recente esprime una specie di tendenza alle esagerazioni. Del resto solo chi non scrive non si compromette. Cerco attraverso una certa dose d’ironia non dico l’alternativa ma il distacco dall’imperante conformismo che ci sta lentamente modificando. Se posso permettermi l’appartenza (di comodo) ad una categoria esemplificativa vorrei considerarmi un archeologo del “contemporaneo” che, attraverso la scrittura e la finzione della scrittura, scava e tenta di svelare i cocci di un sistema segnico deteriorato e spesso incomprensibile. La quantità imponente di icone d’ogni tipo e qualsivoglia natura impedisce una ragionevole percezione della realtà. Tutto viene condotto verso il caos dell’esistente. Nelle parole, nei pensieri, nelle opere. Una stratificazione accelerata di segni e segnali conduce al nulla della comunicazione, alla perdita di dettagli importanti, di percorsi mentali ritenuti superflui.
Quest’ultimo lavoro, tra memoria e scrittura, false icone, rimescolamenti e contaminazioni, con particolare attenzione al rapporto ormai inscindibile tra la cultura occidentale ed orientale, tenderebbe a sottrarre alla dimenticanza il senso confuso e quasi perduto della storia, della necessità di riappropriarci delle vicende umane e delle differenze. Una specie di sabotaggio concettuale che aspira a diventare racconto, se pur dentro il meccanismo dell’ambiguo. Ed attingo alla enorme quantità di parole, dette, scritte recitate dalla nostra società ammalata, ubriaca di immagini, suoni e flussi di messaggi spesso subliminali, per creare una pausa di riflessione, cercare un antidoto allo smarrimento collettivo di fronte ad un’arte definita “globale” più per necessità dialettica che per reale convinzione.
Spero di poter fare una mostra personale anche in questa martoriata città dopo quelle di Bratislava e Tunisi.