Giuseppe Maurizio Piscopo
Santo Privitera è uno Scrittore, un esperto di tradizioni popolari, un giornalista, un musicista, un personaggio molto noto in Sicilia e soprattutto a Catania. In questa intervista ci racconta la sua esperienza e ci fa riflettere sulle tradizioni e la cultura della sua bellissima città.
Santo Privitera, nato a Catania nel 1959, è laureato in Filosofia e diplomato in Scienze del Servizio Sociale. Funzionario aeroportuale, Giornalista pubblicista, ha scritto per alcuni noti quotidiani e periodici catanesi tra i quali “Espresso Sera”, “Giornale Di Sicilia”, “Prospettive”, “Incontri”, “Giornale del Sud”. Attualmente collabora con il quotidiano “La Sicilia”. Paroliere (ha scritto i testi di alcune canzoni per il Festival della canzone Siciliana organizzato in passato dall’emittente Antenna Sicilia), per il teatro ha redatto “Un giornalista all’Inferno”, commedia brillante in due atti che, visto il successo ottenuto, verrà replicata il prossimo mese al Castello Ursino. E’ Autore, inoltre, dei testi teatrali “Il Paradiso nell’anima”, “Il mio nome è Agata” e “A lumèra” Pièce dialettale dedicata alla figura del Compatrono di Catania Sant’Euplio. Come saggista ha esordito con “La storia della canzone italiana dal ‘900 a oggi”, Catania 1978. Altre pubblicazioni: “La Maschera del tempo”, poesie in Lingua italiana, Catania 1986; “Barriera-Canalicchio: Le storie”, Catania 1993; “San Nicolò l’Arena: Ultimo atto”, Catania 1997; “Il Libro di Sant’Agata”, Catania 1998; “Barriera-Canalicchio”, Storia evoluzione e immagini di un quartiere”, Catania 2001; “Eupliu”, poemetto in Dialetto Siciliano, Catania 2003; “I Pecchi a Catania”, Catania 2007; “L’Assoluto meno ¼”,poesie in Lingua italiana,Catania 2009; “Musica e musicisti catanesi dall’800 al ‘900”, Catania 2010”; “Giammerghi di sita”, Catania 2015. Studioso di storia patria e tradizioni popolari, esperto Agatologo, nel 1985 ha co-fondato il Centro culturale “V.Paternò-Tedeschi”. Per questo Sodalizio ha curato alcune antologie poetiche e promosso una notevole serie di iniziative. In passato si è occupato di politica. E’ stato Consigliere del comune di Catania e membro della commissione Toponomastica Etnea. Conferenziere e organizzatore di eventi culturali, attualmente è direttore responsabile del periodico di storia, letteratura e antropologia “La Terrazza.”
Quando nasce esattamente la tua passione, per la poesia, per la scrittura e per la musica?
“Da quando ho cominciato ad avere cognizioni della vita, sentivo il bisogno di esternare i miei sogni, le fantasie che mi frullavano per la testa. Mi affascinavano i poeti; li ritenevo superuomini. Così anche la musica. Contrariamente ai miei coetanei, preferivo ascoltare le canzonette antiche anziché quelle moderne. Ero considerato un vero e proprio demodè. La cosa non mi infastidiva affatto, anzi. Nella mia residenza estiva, mio padre invitava spesso poeti e musicisti; e così si cantava e si suonava allegramente. Mi colpì molto l’esibizione di un duo di chitarra e mandolino, così volli imparare a suonare questi deliziosi strumenti. Il mandolino, soprattutto. Con ciò volli assecondare anche il desiderio di mio padre. La mia era una famiglia di imprenditori; a malincuore ho dovuto intraprendere studi di indirizzo tecnico. Tuttavia non trascurai mai le mie letture. Dopo il diploma, cominciai a frequentare la redazione di una emittente televisiva privata e lì scattò la mia passione per il giornalismo. In quel periodo, erano gli anni ’70 dello scorso secolo, le emittenti radiofoniche erano all’apice del successo. Volli condurre anch’io un programma. Sul tema della canzone vecchia maniera, scelsi un titolo: “Nostalgie e Ricordi all’Italiana”. Il fatto che a condurla fosse un giovane poco più che ventenne, suscitò curiosità e fece perfino scalpore. Il successo fu assicurato. Durò un decennio questa mia esperienza radiofonica che servì eccome alla mia maturazione.”
Come era da bambino Santo Privitera? Ricordi il tuo primo giorno di scuola, il Maestro, l’atmosfera che si respirava allora a Catania?
“Lo ricordo sì. Non vedevo l’ora di imparare a leggere e a scrivere. Ero timido ma non piansi quando mia madre per la prima volta mi lasciò da solo in compagnia degli altri scolaretti. Socializzai subito. La mia prima Maestra si chiamava Rosa, l’ebbi per due anni poi andò in pensione. La sostituì il maestro Giuseppe, equilibratamente severo. Andavo al doposcuola presso una giovanissima maestra, Anna. Devo a lei la mia passione per la storia di Sant’Agata. Anna fu poi, alle scuole elementari, l’insegnante delle mie due figlie Alessia e Giusy. Il boom economico consentì alla mia famiglia di condurre una vita piuttosto agiata. Tuttavia, ad eccezione delle “Medie” svolte nella Scuola dei Fratelli Cristiani, preferii frequentare gli istituti statali.”
Sei un esperto di poesia e narrativa ed anche di concorsi di fotografia, ne vogliamo parlare?
“La mia prima poesia la scrissi a 11 anni, fu dialettale. Complice una capretta che mio padre acquistò in una fiera di paese. Non sapendo dove alloggiarla, la portai in terrazza. La feci salire in ascensore, e questo stuzzicò la mia fantasia. Così nacque: “Puisia a ‘na crapa di palazzu”. E’ andata perduta, ricordo solo i primi versi. Dall’esperienza radiofonica nacque il mio primo libro: “La Canzone all’Italiana”(Ediz.Tringale 1979). Vendetti tutte le copie, circa 1000 in poco più di un anno. La mia passione per le foto mi portò ad allestire anche piccole mostre fotografiche in privato. Parecchie di queste nel corso degli anni mi sono servite per corredare articoli e libri . Posseggo alcune rare collezioni; quelle relative a Barriera-Canalicchio, la mia zona, sono in gran parte uniche.”
Alessandro Russo ti ha definito un maratoneta della Cultura, ti ritrovi in questa definizione?
“Decisamente si. In Alessandro ho trovato uno scrittore ma soprattutto un amico col quale scambiare consigli preziosi. Amo sì la cultura. Sono curioso per natura. Non filtro mai i miei sentimenti, essi devono essere esternati così come sgorgano. Ritengo che la cultura sia alla base di ogni buona educazione. Tra un libro e un paio di pantaloni alla moda, ho sempre preferito il libro. Le discoteche non mi hanno mai appassionato; da ragazzo preferivo andare al Teatro Sangiorgi piuttosto che al Banacher.”
Che cos’è il Prismatico, una rivista letteraria?
“Un Sito dove inserisco di tutto. Quando esplose il fenomeno dei Siti on-line mi trovai in imbarazzo. Ad eccezione dei programmi di video-scrittura, con i computer non avevo molta dimestichezza. Poi ho dovuto imparare alcune importanti e necessarie funzioni. Mi convertii e creai “Il Prismatico”. Questo sito, oltre a contenere notizie e informazioni riguardanti il mio Centro culturale, ospita articoli di costume, di storia, di letteratura e quant’altro attiene alla letteratura classica, moderna e contemporanea.”
Da 30 anni sei responsabile del Centro Culturale “Paternò Tedeschi”, di che cosa si occupa di fatto questo Centro, organizzate anche un Premio letterario ogni anno?
“Si, da 31 anni per l’esattezza. L’iniziativa non fu soltanto mia ma anche di Antonello Germanà Di Stefano, un insigne storico scomparso in giovanissima età. Lo intitolammo a Vincenzo Paterno’-Tedeschi che fu un filosofo illuminista catanese vissuto a cavallo tra ‘700 e ‘800. Con Antonello fondammo il Centro che si occupa essenzialmente di valorizzare la cultura a 360 gradi. Soprattutto la cultura locale, quella che il mondo accademico Etneo ha trascurato e spesse volte snobbato. Il Concorso Letterario Nazionale “V.Paternò-Tedeschi” va ormai per la Ventesima edizione che contiamo celebrare il prossimo anno. E’ il nostro “Fiore all’occhiello.”
Hai scritto anche pièce teatrali importanti come “Un giornalista all’inferno?
“Questa e’ una commedia brillante in due atti che alla sua “prima” ha riscosso un notevole successo. Verrà riproposta il 5 e 6 del prossimo mese nel cortile del Castello Ursino. Il Comune di Catania ha voluto inserirla nel corpus della programmazione estiva. Tratta di un giornalista che intervistando Satana vuole crearsi in terra una certa notorietà. L’atavica lotta tra il bene e il male qui è posta in chiave ironica, saccente e metaforica; alla fine però presenta sempre il conto delle sue verità. Ma di pièce ne ho scritte altre, quasi tutte già messe in scena in varie occasioni.”
Hai anche lavorato al Giornale del Sud di Giuseppe Fava, come era lo scrittore catanese fuori dalla quotidianità?
“Era un uomo molto schivo. Di poche parole, almeno come lo conobbi io. Per la verità però non ebbi modo di frequentarlo molto.”
Prima Catania era definita la Milano del Sud, vivace, culturalmente, economicamente, poi cosa è successo realmente, a parte la crisi nazionale?
“Catania è una città culturalmente aperta, molto più di quanto non lo si creda. Custodisce gelosamente i propri segreti, questo sì. Come tutte le città del Sud è ricca di tante contraddizioni. Il suo è stato però uno sviluppo che, rispetto alle grandi potenzialità e risorse possedute, non sì è mai completato del tutto. Si poteva fare di più per continuare a essere la “Milano del Sud”. Col passare del tempo di questa lusinghiera denominazione è rimasto solo il ricordo. C’è sempre un’incompiuta sul cammino della mia città. Come la tela di Penelope, tutto ciò che viene costruito a volte viene demolito. Catania sembra vittima di un infame destino. Se non è colpa della natura, è l’uomo a metterci lo zampino. La sua storia ce lo insegna.”
I Teatri catanesi sono sempre in grande fermento, i catanesi amano molto il Teatro e i loro attori?
“La nostra è una città teatrale per eccellenza. Per tale motivo viene soventemente accostata a Napoli. Un grande palcoscenico a cielo aperto. Da Musco a Giovanni Grasso; da Turi Ferro a Leo Gullotta, la scuola teatrale catanese può ben definirsi blasonata. E poi c’è la comicità spontanea. I catanesi sono noti per la sottile ironia che ostentano anche nei momenti più cupi. C’è una maschera retorica che oggi meglio li rappresenta: quella di “Pippo pernacchia”. Di lui, famosissimo, si ricordano le rumorose “sonorità” che tra gli anni ’50-’90 del ‘900 echeggiarono. Non risparmiarono nessuno, neanche le autorità.”
Secondo te i giornalisti dicono la verità o quella che noi siciliani chiamiamo “la mezza missa” in altre parole dire quello che si può dire e che fa piacere al potere e quindi di fatto non si sposta nulla?
“Quello del giornalista è un mestiere molto difficile. Oggi più di allora. E’ necessaria una buona dose di coraggio per svolgere questa professione. Partiamo da un assunto: La verità è scomoda per tutti, non soltanto per i potenti. Quindi per chi è costretto a vivere di questo lavoro è fondamentale riuscire a barcamenarsi come meglio possibile. In tal senso, l’esperienza e la maturità non può che essere di grande giovamento. Un buon giornalista deve raccontare i fatti nella maniera più asettica possibile. Ma sappiamo bene che per mille motivi non sempre è così.”
Com’è la Catania di oggi rispetto a quella che hai vissuto nella tua gioventù?
“Una città che ha tutti i pregi e le problematiche di una Metropoli moderna. Catania è oggi al passo coi tempi. Un po’ più smaliziata rispetto a qualche decennio fa. Se la paragoniamo agli anni ’80-90 dello scorso secolo, anni delle guerre di Mafia combattute per strada, meglio quella di oggi.”
Molti scrittori e giornalisti hanno cercato di marcare le differenze fra le due grandi città siciliane: Palermo e Catania qual è il tuo pensiero in merito?
“Due città che hanno storie diverse. Palermo e’ una città Arabo-Normanna che mantiene intatti i tratti fisici e antropologici di queste due dominazioni, i suoi monumenti; Catania sotto questi stessi punti di vista invece appare una città più Greco-Romana. Per troppe volte è stata distrutta nel corso dei secoli dalla natura ma ha sempre avuto il pregio di rinascere dalle proprie ceneri. Non ha mai perduto la propria identità. Questo la dice lunga sul carattere dei suoi abitanti.”
Fra le tante cose che fai nella vita, suoni splendidamente il mandolino, da chi l’hai appreso?
“Il mandolino rispecchia il genere di musica che preferisco ascoltare. Sono un autodidatta. Dal classico alla musica popolare, tutto ciò che appartiene alla tradizione è di mio gradimento. Il mandolino lo ritengo un nobile strumento forse ancora troppo poco valorizzato. Ho scelto di suonarlo perché esalta il senso della storia. Ogni cosa ha una storia e la storia i suoi protagonisti. Anche i musicisti che gravitarono nell’orbita delle Sale da Barba o dei cosiddetti “Posteggiatori” sono degni di essere ricordati. Nel loro piccolo, furono tra i protagonisti del tempo passato. Riproporre i loro deliziosi brani mi esalta e mi commuove. Voi della “Nuova Compagnia Popolare di Favara” che interpretate egregiamente questo genere musicale potete ben comprendermi.”
Sei un esperto di tradizioni popolari. La festa di Sant’Agata è straordinaria, una festa unica al mondo. Secondo te i catanesi sono veramente religiosi o lo diventano solo quel giorno dedicato alla Santa Patrona?
“La Festa di Sant’Agata rispecchia pienamente il carattere dei catanesi: Focoso e passionale. Quando nel 251 d.C. Sant’Agata Spirò a seguito dell’ultimo tremendo Martirio subito, la popolazione catanese, ancora in gran parte pagana, si convertì in massa. Al netto del grandioso aspetto Folkloristico che caratterizza la festa nota in tutto il mondo e che merita un capitolo a parte, i catanesi Venerano Sant’Agata in quanto autentico esempio di Cristianità.”
Che ne pensi dell’ultimo libro di Gaetano Savatteri: “Non c’è più la Sicilia di una volta” sugli scrittori siciliani del passato e sull’altra Sicilia che avanza?
“Mi sembra una interpretazione corretta la sua. I tempi cambiano e non si può rimanere ancorati al passato. Savatteri è uno scrittore che conosce bene la realtà socio-culturale della Sicilia. I grandi scrittori comunque rimangono tali; in molti casi anzi devono costituire un riferimento col quale confrontarsi sempre. E’ necessario investire sulle novità purchè siano novità costruttive e soprattutto rivolte alla crescita educativa del lettore.”
Come vedono i Catanesi di oggi Giovanni Verga, approfitto di questa parentesi per lamentare che per tre volte ho trovato la casa di Verga sempre chiusa, volevo scrivere la Sindaco Enzo Bianco.
“ L’andazzo è quello di sempre: Poca sensibilità per i siti culturali dell’Isola. Catania non fa eccezione. Verga e’ un punto di riferimento molto importante per gli studiosi catanesi. Sia per quanto riguarda la letteratura che per la Storia Patria. Chi vuole approfondirne la figura vi trova sempre qualcosa di nuovo da scoprire. D’altronde i tratti caratteristici del Verismo e dei suoi personaggi sono ancora ben visibili nei luoghi verghiani da Aci Trezza a Vizzini. I Catanesi in generale lo hanno sempre apprezzato per le tematiche trattate, anche se in fondo non conoscono che le opere maggiori di questo grande Autore.”
La mafia e i siciliani. Non cambia perché non cambiano i siciliani che ancora non si ribellano o occorre fare il grande passo culturale?
“ La mafia è una deplorevole mentalità che i Siciliani sono stati costretti ad acquisire nel tempo. Non occorre elencarne i motivi che sono tanti e in gran parte noti. Oggi ci ritroviamo non con uno ma con tanti modelli di mafia. Questo è il segno tangibile che qualcosa in tutti questi anni non ha funzionato nella lotta ai sistemi mafiosi. La società civile è stufa di sentire parlare di Antimafia quando i movimenti che ad essa si rifanno non hanno ottenuto che scarsi risultati. E’ stufa anche delle celebrazioni ormai ritenute “ruffiane” che, alla memoria dei caduti di mafia, gli uomini di Stato annualmente organizzano. Occorre qualcosa di più concreto come la creazione di posti di lavoro e l’eliminazione di tutte quelle sacche di povertà che ancora si annidano nell’Isola. Come si fa a parlare ai giovani di una nuova coscienza Antimafia se la disoccupazione di anno in anno cresce a ritmi esponenziali? E poi permettimelo di dirlo: Con la sentenza emessa a Roma in questi ultimi giorni, la denominazione “Mafia” sembra essere stata cancellata per sempre. Non “Mafia capitale” ma “Delinquenza capitale”. Vorrà significare qualcosa?
Che cosa stai preparando in questo momento?
“Le idee non mancano. Per il momento sono in una fase di studio, di ricerca. Devo ancora stabilire una priorità. Ma so già che un nuovo saggio di argomento storico potrebbe tra breve avere la luce.”
Tu e il tuo Centro culturale volete rivalutare i personaggi “Incompresi” o peggio, snobbate quelli che dettero molto alla città, è vero?
“Si, e’ vero. Lotto contro chi considera la cultura delle Tradizioni popolari una cultura di Serie B. Mentre quella di serie A, secondo l’immaginario collettivo, sarebbe incarnata dall’ambiente accademico: lo stesso che nega alla Lingua siciliana il giusto valore culturale che merita. Un assurdo pregiudizio dannoso e senza alcun senso. Stesso discorso per tutti quei personaggi snobbati da una certa critica troppo “omologata”. A Catania, esempi di questo tipo ne abbiamo quanti ne vogliamo. Quello del Musicista catanese Camillo Bonsignore agli inizi del ‘900 ha dell’incredibile. Bonsignore, incompreso nella sua citta, ha dovuto emigrare negli Stati Uniti. Li conseguì il successo che meritava. Giunto al culmine della sua fama, non rinnegò mai le sue origini, anzi. Chiese di ritornare a Catania per proporre una delle sue opere di maggiore pregio al Bellini. Un modo per allacciare un rapporto interrotto anni prima. Questo suo desiderio gli venne però negato dalle autorità di allora. Ci rimase malissimo e fu costretto a chiudere i ponti definitivamente con la sua amata città. Prima di interpretare bene il futuro, bisognerebbe conoscere meglio il passato; questo per me è un imperativo categorico.”
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Non faccio progetti; ma non lo dico per scaramanzia. Ho da portare avanti e mantenere un Centro Culturale che vanta un numero notevole di soci e un gruppo di poeti che si sta bene affermando in Sicilia e oltre. Attualmente sto programmando gli appuntamenti culturali da svolgere il prossimo autunno.”