Giuseppe Maurizio Piscopo
Intervista alla figlia Stefania
Il Maestro Michele Parlato svolse la sua amata missione di Maestro per circa 40 anni, formando tante generazioni di favaresi e lasciando, in essi, buoni valori e una riconoscenza che si protrae, ancor oggi.
I suoi esordi didattici, dopo aver declinato, pur frequentandolo per qualche mese, il seminario vescovile, dietro il pressante invito di uno zio alto-prelato che svolgeva la funzione di protonotaro del registro, in quel di Naro, hanno inizio sul finire degli anni 20, quando dopo aver conseguito la maturità magistrale, si ritrova vincitore di diversi concorsi a cattedra, in svariate regioni d’Italia, fra le quali il Friuli, considerato molto distante e la Calabria , più vicina, anche se la collocazione lavorativa era molto disagevole. Accettò la seconda, dove svolse, per alcuni anni, servizio presso una scuola rurale (una piccola casa colonica adibita a scuola), in aperta campagna in territorio di Grotteria, raggiungibile tutte le mattine, dopo aver guadato un fiume, il Torbido, mediante una barca che tutte le mattine lo attendeva, lo attendeva sulla riva. A Careri frazione rurale di Grotteria, dove era ubicata la poverissima aula scolastica, conobbe la realtà di molti bambini, suoi alunni, che arrivavano in classe, stravolti dalla fatica e pervasi dal sonno, per cui era quasi impossibile svolgere una normale attività didattica. Lui non si scoraggiò e chiese dopo aver vinto le iniziali resistenze delle persone del luogo, il perché di quelle situazioni. Venne, così a conoscenza che diversi bambini, essendo figli di poverissimi contadini e pastori, prima di recarsi a scuola, dopo essersi alzati alle 4 del mattino, si recavano presso i campi e gli ovili dei genitori o nonni per aiutarli e alleviarne le fatiche. Altri tempi, altre sofferenze! Lui, riuscì a sviluppare dei percorsi didattici specifici per quella tipologia di bambini, caratterizzata da quelle drammatiche realtà antropologiche. Dopo Grotteria, finalmente si avvicina alla sua Favara andando ad insegnare in quel di Joppolo Giancaxio, dove la comunità lo accoglie con grande affetto e lo mette in condizioni di poter svolgere al meglio, la sua meravigliosa professione. Raccontava che il venerdì sera tornava a Favara e la Domenica pomeriggio faceva il percorso inverso e lo effettuava, tramite un asinaio che lo prendeva a bordo della sua cavalcatura, in quel di Aragona. Ore di asino, unitamente ad una macchina che svolgeva servizio automobilistico fra Aragona e favara. Inizi di carriera, caratterizzati da un’aura di romantico pionierismo antropico, in cui le difficoltà logistiche si sposavano con la forte passione che animava mio padre, capace di sopportare con nobiltà d’animo, tutte le traversie che quei decenni adducevano. Dopo Joppolo, finalmente, il trasferimento a Favara nonostante le suppliche dei cittadini di Joppolo di ripensarci, presso la scuola via Bersagliere d’Urso prima e, in via Agrigento, dopo, dove potè dedicarsi ai figli dei suoi concittadini con tutto l’amore e le competenze che gli valsero un posto di prima grandezza, nella memoria storica dei favaresi e negli annali culturali del paese. L’insegnamento, il teatro, le numerose iniziative letterarie e musicali, unitamente alla lunga milizia svolta nell’Opera San Vincenzo, lo hanno collocato a buon diritto, nella storia della comunità favarese.
Va infine detto, che da giovanissimo insegnante, durante le vacanze soleva recarsi in Libia, presso Tripoli dove alternava la sua professione di maestro e dava lezioni ai bambini della Colonia italiana, a quella di aiutante presso un grande albergo ristorante con tabarin, nella piazza principale di Tripoli di proprietà di alcuni zii. Una bella storia che mi ricorda l’esperienza di Don Lorenzo Milani nella scuola di Barbiana.
Stefania tuo papà è stato un grande Maestro elementare a Favara. Puoi ricordarne la figura?
Mio padre ha svolto la sua professione di maestro, interpretandola come una missione, a cui dedicò la propria vita, proprio perché consapevole dell’alto profilo umano e sociale che ciò comportava.
E quella di padre?
Come genitore cercò tutta la vita di non far prevalere il suo ruolo di maestro, ma quello di instradare i figli sui binari di una piena consapevolezza di se stessi, avendo cura degli aspetti educazionali e civici, soccorrendo questi ultimi, e lì con il piglio del maestro, laddove necessitassero di sane linee guida, sempre con l’affetto e la signorilità che lo caratterizzava.
Questa intervista mi si è presentata agli occhi dopo aver intervistato un suo alunno Antonio Patti che ne ha parlato in maniera splendida.
Credo che la dote principale di mio padre, oltre lo spirito di abnegazione e di servizio, fosse quella di considerare il proprio ruolo di insegnante come una veicolazione sociale per affrancarsi dalle sofferenze e dalle brume (come le definiva lui!) della vita, nonchè strumento di conseguimento di quelle capacità critiche e analitiche, acchè ogni essere umano (in tal caso i bambini), potesse crescere e affrontare la vita, con basi cognitive di buon livello, senza distinzione di sesso e di ceto. Il fatto che, a distanza di tanti anni, stuoli di alunni di varie generazioni, abbiano continuato a manifestargli immutata riconoscenza e ad organizzare numerosi incontri, cene, piccoli simposi in suo onore, sia in vita che dopo, testimonia il buon lavoro svolto, nei suoi 40 anni di insegnamento e i segni indelebili che ha lasciato, nell’anima di chiunque sia stato in una delle sue classi.
Non è stato mio maestro, ma ho visto che si interessava di musica, di teatro di gruppi folkloristici in anni lontanissimi… L’ho ascoltato da bambino con grande attenzione. Era piacevole, sereno, colto e raffinato allo stesso tempo…
Ha partecipato, attivamente, alla vita culturale della Favara dei tempi in cui operò, esercitando la sua propensione culturale e artistica verso una popolazione, segnata dai grandi eventi dell’epoca, emigrazione, miniere e scarse aspettative di vita e cercando di ingenerare, sempre, quegli stimoli culturali che permettessero una sempre più ampia apertura mentale ed una capacità di reattività civica, ai tanti vulnera che le amministrazioni periferiche e centrali del tempo, avevano inferto a molte realtà isolane.
E’ sua la canzone “Viva Favara cu li so surfara”? Puoi trascrivere il testo?
Circa il testo della canzone, non posso fornire alcun elemento utile. So che la scrisse lui. Il testo si trova, fra le sue carte, nel suo armadietto libreria, dove conservò tutte le sue cose. Ciò sarà possibile, non appena, sarò a Favara.
Che cosa ha lasciato ai bambini?
Ai tanti bambini, a cui ha prestato la sua opera, ha lasciato una grande eredità intellettuale e sociale: quella di essere amati e seguiti, tutti allo stesso modo. Nessuno si è, mai, sentito, escluso. Tanti bambini che, per ragioni di degrado familiare e sociale, manifestavano ritardi cognitivi e linguistici, venivano seguiti, da mio padre, fuori dalle ore scolastiche, e solo per puro spirito samaritano, per esser messi in grado di recuperare il gap che li divideva dal resto delle classi. E questo, per lui, era la più grande delle gioie professionali, ecco perché la considerava una missione.
E a te e alla tua famiglia cosa ha lasciato?
Alla famiglia ha lasciato un grande concetto di uguaglianza e di equità affettiva e spirituale, per far sì che, quest’ultima, potesse reiterare i suoi insegnamenti, anche, ad altre. L’armonia e la condivisione di ogni bene materiale ed affettivo, hanno caratterizzato la storia della mia famiglia.
Ha pubblicato dei libri?
Non pubblicò opere, ma scrisse molti manoscritti e raccolte di poesie che giacquero ed alcune continuano a farlo, nei polverosi bauli della memoria e dell’anamnesi personale. Bisognerebbe riesumarli, qualora si trovino e, forse, portarli a conoscenza. Ma conoscendo mio padre, credo che non avrebbe voluto, in quanto riservato e modesto!
Tu vivi a Milano e spesso ritorni a Favara… Come ti trovi?
Essendo da 30 anni, fuori da Favara, e standovi pochi giorni l’anno, non mi sento in grado di dare un giudizio, in quanto tutte le dinamiche socio-economiche del periodo specificato, non le ho vissute. Posso, solamente, dire che gli ultimi anni, hanno visto un positivo balzo in avanti, dal punto di vista culturale, sociale ed eno-gastronomico (vedi castello, Farm, rivitalizzazione delle piazze storiche, strutture ricettive ed altri stimoli in itinere).
Qual è la cosa più bella che ti ha lasciato tuo padre?
Mio padre mi lasciò un insegnamento che ho, sempre, cercato di applicare, pur con tutte le difficoltà che la vita comporta: “ qualunque cosa faccia, falla con spirito di servizio, nell’intima convinzione che ciò sia buono per tutti”.
Cosa pensi dei maestri di oggi?
I maestri di oggi, riflettono la società in cui viviamo, non più gli antichi precettori che utilizzavano i mezzi e i pochi libri di allora, cercando di tirar fuori il meglio di cui disponevano. Società con nuovi strumenti di conoscenza, di apprendimento, di didattiche nuove, di metodologie atte a supportare ogni esigenza culturale e personale, di disciplinari e professionalità socio-mediche capaci di garantire a chiunque il diritto allo studio e di tanti altri supporti. Forse, quello che manca, rispetto agli antichi maestri, è quel senso di concepire la classe come una grande famiglia, dove l’insegnante era il secondo padre di tutti, ancor prima della propria funzione.
Le trasformazioni dei costumi, il benessere, la laicità dello Stato e un relativismo etico, molto veloce, hanno modificato gli aspetti qualitativi dell’essere umano (anima, spirito, etica, morale, affettività), deteminando quelli quantitativi (ambizione, velocità, avidità, immodestia e competizione, spesso, disumana).
La bellezza salverà il mondo?
Penso che la bellezza sia, definitivamente, deturpata e che il mondo prosegua nella sua scellerata e, forse, meravigliosa corsa verso l’ignoto. Qui entriamo nei territori dell’insondabile.
Qual è l’ultimo libro che hai letto e il libro che tutti dovremmo leggere?
Ho letto, consigliatomi da mio marito, “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire, grande manifesto per il valore e la libertà universale della tolleranza religiosa.
Puoi commentare questa celebre frase dello scrittore Gesualdo Bufalino: un esercito di maestri elementari sconfiggerà la mafia…
Bufalino, forse, esagera. Abbiamo molti illustri professori al potere, provenienti da ogni ambito culturale ed universitario d’Italia, con curricula poderosi e internazionali, eppure, non mi sembra che le criminalità organizzate, siano state sconfitte o, quantomeno, ridimensionate, anzi, le troviamo a condividere ruoli e gestioni della Res Pubblica! Pur non di meno, essi, i maestri, continuano a costituire gocce di acqua pulita, per i mari inquinati della società!
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
I miei progetti? Raggiungere, sempre che me lo consentano, uno straccio di pensione! Dopo di che, potrò, serenamente, valutare qualsiasi ipotesi o progetto, sempre, legato all’attività didattica.