E’ il racconto di un angolo del nostro paese che non c’è più e che vive nel ricordo della mia generazione, dopodiché non esisterà più. Una pagina della nostra storia abilmente scritta da Maurizio che descrive la vita di un quartiere e di una città che viveva dignitosamente la povertà del Dopoguerra affrontata con la reciproca solidarietà, con il dividersi il poco che si aveva in tutti i sensi, anche le gioie e i dolori . F.P.
Giuseppe Maurizio Piscopo
Prima, nel Cortile, abitavano un bel gruppo di persone, artigiani, contadini, pasticceri, un sarto e un barbiere e poi vecchi, giovani, bambini, ragazze bellissime dagli occhi che non si dimenticano.
Per tutto il tempo della mia infanzia, la vita nel Cortile trascorreva tranquilla, con le porte delle case aperte ai bambini che erano i figli di tutti. Se un bambino stava male gli altri rendevano una visita e gli portavano qualcosa, un dolce fatto in casa, una melagrana, un giocattolo di legno, un aquilone.
Quando i vecchi si allontanavano lasciavano la chiave appesa; se dovevano stare a lungo lasciavano la chiave al vicino, senza alcun timore, senza nascondere l’oro o il poco denaro sudato, frutto di tanti sacrifici. Per il ladro sarebbe stato facile trovare il denaro nascosto nella bottiglia della credenza, nel materasso o sotto un mattone ballerino della cucina. Ma nessuno si azzardava a rubare nelle case dei poveri!
Nel Cortile vivevano due ciechi Alfonso e Giovanni e la loro mamma, Michela. Forse per gli altri, loro non vedevano nulla, per me vedevano più di tutti, a loro non sfuggiva nessun particolare, nessun odore. Coglievano lo spostamento del vento, il passaggio delle stagioni, il canto di un uccellino in gabbia, il profumo dei fiori, lo svolazzare di una farfalla, l’arrivo della pioggia improvvisa. Mi affascinava quando dicevano che il mare era sereno, oppure l’ora esatta senza guardare l’orologio o quando, toccando il polso dei bambini, riuscivano a dire con esattezza il loro peso. Era un gioco che mi incantava e mi faceva sognare! Amavano suonare il violino e la chitarra durante le feste di fidanzamento, nei matrimoni, nei battesimi, nelle feste religiose, nelle messe, durante il periodo natalizio e per le novene.
Qualche volta la banda suonava nel Cortile e i due fratelli si univano ai musicanti e suonavano con loro, bastava quel tocco espressivo per dare un altro significato alle note che sembravano voci di bambini che giocano liberi all’aria aperta! Un repertorio straordinario con musiche che non ho più sentito suonare da nessuno e in nessun paese del mondo! Musiche angeliche che scendevano dalle scale lunghe e interminabili del paradiso dei paesi della Sicilia una vera ricchezza da scoprire, luoghi incontaminati nei quali batte ancora il cuore antico, quello dei mestieri scomparsi, vere identità di una terra dalla storia millenaria. La gente li veniva a prendere da casa per devozione e li accompagnava negli altri quartieri con grande rispetto e profonda ammirazione. E loro suonavano senza fermarsi, senza sbagliare mai una nota, quella musica che ho sentito tante volte e mi è rimasta impressa nel cuore.
Alfonso e Giovanni mi riconoscevano dal passo e mi facevano tante domande. Io rispondevo con gentilezza e con un sorriso che loro riuscivano a cogliere tutte le volte che li incontravo. Sentivano se ero triste e pensieroso! La loro vita era fatta di piccoli gesti, di delicate attenzioni nei confronti di tutti e soprattutto nei confronti dei vecchi, dei bambini e degli ammalati. La loro vita era fatta di musica, di racconti, di Triunfi dedicati a Santa Rosalia, delle storie dei Santi, di San Giorgio e il drago, che raccontavano con dolcezza e sentimento, con i loro strumenti e le loro splendide voci, come autentici cantastorie del passato. Mi piaceva ascoltarli per ore, non mi stancavo mai!
Qualche volta abbiamo pranzato insieme. Mi colpiva molto vederli correre nella loro stanza che conoscevano a memoria con i loro oggetti e le loro cose ordinate e pulite. Poi un giorno, morì donna Michela, e i ragazzi rimasero da soli per qualche mese. Ricordo, che dopo poco tempo, quello che sembrava un mattino di sole, nel pomeriggio si trasformò in una fredda giornata d’inverno con lampi, tuoni e pioggia. L’orologio del Cortile si fermò alle ore 15 dell’otto Marzo del 1960! Quel pomeriggio, una macchina dalla piazza si avvicinò al Cortile dei ciechi. Era un’automobile blu con l’autista anziano nervosissimo perchè non riusciva a passare per quelle stradine strette! Per la maggior parte degli abitanti del Cortile le partenze per Palermo, per la grande città erano vissute male, erano sempre partenze spiacevoli per bisogno, per necessità, per malattie… Quando i medici di Agrigento non riuscivano a capire lo sviluppo di una malattia, quando non “ci vedevano” consigliavano alle famiglie di partire immediatamente per Palermo: non c’era più un minuto da perdere! Una confusione muta e commossa accompagnò i gesti, i saluti, il carico delle valige e degli oggetti nel bagagliaio. Ogni abitante del Cortile offrì un suo dono ai due fratelli. Alfonso e Giovanni stavano lasciando il Cortile dove erano nati, per recarsi nell’Istituto dei Ciechi di Palermo. Gli abitanti avevano gli occhi pieni di lacrime. Nessuno rimase in casa quel pomeriggio. La chitarra ed il violino che avevano fatto battere il cuore, che avevano accompagnato i momenti più belli della vita del Cortile, non avrebbero più suonato sotto quel cielo!
Qualche volta abbiamo pranzato insieme. Mi colpiva molto vederli correre nella loro stanza che conoscevano a memoria con i loro oggetti e le loro cose ordinate e pulite. Poi un giorno, morì donna Michela, e i ragazzi rimasero da soli per qualche mese. Ricordo, che dopo poco tempo, quello che sembrava un mattino di sole, nel pomeriggio si trasformò in una fredda giornata d’inverno con lampi, tuoni e pioggia. L’orologio del Cortile si fermò alle ore 15 dell’otto Marzo del 1960! Quel pomeriggio, una macchina dalla piazza si avvicinò al Cortile dei ciechi. Era un’automobile blu con l’autista anziano nervosissimo perchè non riusciva a passare per quelle stradine strette! Per la maggior parte degli abitanti del Cortile le partenze per Palermo, per la grande città erano vissute male, erano sempre partenze spiacevoli per bisogno, per necessità, per malattie… Quando i medici di Agrigento non riuscivano a capire lo sviluppo di una malattia, quando non “ci vedevano” consigliavano alle famiglie di partire immediatamente per Palermo: non c’era più un minuto da perdere! Una confusione muta e commossa accompagnò i gesti, i saluti, il carico delle valige e degli oggetti nel bagagliaio. Ogni abitante del Cortile offrì un suo dono ai due fratelli. Alfonso e Giovanni stavano lasciando il Cortile dove erano nati, per recarsi nell’Istituto dei Ciechi di Palermo. Gli abitanti avevano gli occhi pieni di lacrime. Nessuno rimase in casa quel pomeriggio. La chitarra ed il violino che avevano fatto battere il cuore, che avevano accompagnato i momenti più belli della vita del Cortile, non avrebbero più suonato sotto quel cielo!
L’autista ebbe cura di sistemare quegli strumenti preziosi all’interno dell’automobile. Poi si tolse il cappello in segno di rispetto e attese un bel po’! Io sentivo dentro il mio cuore che non avrei rivisto mai più Alfonso e Giovanni. Con la loro partenza svanì anche una parte importante della mia fanciullezza! Il barbiere Francesco Castelli, che tante volte nel suo piccolo salone aveva suonato con Alfonso e Giovanni la sua vecchia fisarmonica, intrattenendo i clienti di tanti quartieri, quando si accorse che i due ragazzi stavano lasciando per sempre il Cortile abbandonò il suo affezionato cliente ancora con la faccia insaponata e uscì di fretta dal salone gridando: “Un giorno di questi anch’io partirò e andrò a fare il barbiere in America, a Bruccolino con i miei fratelli che non ho più rivisto da quando sono andati via dalla Sicilia”. “Buona fortuna ragazzi”, disse il barbiere rivolgendosi a Giovanni e Alfonso. “ Mi mancherete nelle notti d’inverno, quando suonando allontanavamo il freddo, la miseria e la malinconia, mi mancherete nelle notti d’estate quando la luna spuntava in questo Cortile grande come una tovaglia coperta da un’infinità di stelle bambine! Mi mancherete soprattutto per la vostra musica che fa parte delle cose belle dell’Universo che Dio ha creato per far riflettere gli uomini sul vero significato della felicità…” Alfonso e Giovanni ascoltarono in silenzio le belle parole del barbiere, fecero un cenno all’autista che capì e, senza dir nulla, riprese la chitarra e il violino.
Quella fu l’ultima canzone; le parole le ho dimenticate, sono passati tanti anni, ma la melodia è quella del Cortile dei ciechi…