Angelino Alfano è il politico della nostra provincia che ha ricoperto le più alte cariche istituzionali e politiche. Una carriera di successi che tocca il suo apice grazie anche a Berlusconi.
Lascia, a suo dire, il Silvio nazionale per salvare lo Stato permettendo una maggioranza di Governo a Renzi.
Oggi tutto il centrodestra ha preso le distanze da Alfano, mentre il risultato delle recenti elezioni regionali ha decretato la fine del suo partito nell’Isola. Solo e senza voti è l’amara realtà con la quale ha dovuto confrontarsi.
Due sono le strade, la prima è quella di lottare fino all’ultimo con poche speranze di riuscire a capovolgere positivamente la situazione o l’altra strada quella che in pochi avrebbero il coraggio di percorrere. Dignitosamente ha deciso di lasciare. Lascia da ministro degli Esteri e capo di un partito al tre per cento. Poteva cercare altri percorsi e avrebbe trovato anche la soluzione buona per garantirsi la poltrona in Parlamento. Nella nostra Italia tutto è possibile. Non lo ha fatto e ne ha i meriti. Ha detto no all’accanimento in una nazione di accaniti, non è cosa di poco. Al di là delle battute ” Angelino ci ha rovinato il Natale” o altre più o meno spiritose che animano le chiacchierate dei locali addetti ai lavori, la gente sa apprezzare.
Per il territorio perdere un suo cittadino agli vertici istituzionali è un danno? Domani saremo più poveri? Senza dubbio la provincia di Agrigento perde un suo rappresentante ai vertici della politica nazionale e il fatto non può, comunque, leggersi positivamente. C’era e non ci sarà più. Lo ha deciso, in prima battuta, lo stesso Alfano, ma, non scordiamoci, che lo ha anche deciso l’elettorato, dicevamo, nella passata tornata delle regionali. Un risultato diverso che avesse sancito un successo piuttosto di un insuccesso, non avrebbe portato il ministro di casa nostra a non candidarsi.
Gli agrigentini non si sono sentiti legati ad Alfano e una ragione deve pur esserci. La sua Agrigento muore e si sta tirando nel suo destino le città vicine, Favara, Aragona, Raffadali, Porto Empedocle, Naro e di riflesso tutta la provincia. Muore senza essere un ammalato grave, per fesserie come un ponte che non c’è più, per i depuratori finanziati e non realizzati che inquinano l’ambiente e la grande ricchezza del mare, per il servizio idrico inadeguato e costoso, per i servizi eccessivamente costosi per l’utenza. Muore per il lavoro che non c’è, ma l’occupazione non può consolidarsi quando mancano o non sono adeguati i servizi.
Gli agrigentini si aspettavano e si aspettano la soluzione ai piccoli problemi, piccoli per altre realtà, mentre sono montagne non scalabili per la provincia di Angelino Alfano.
In occasione dell’inaugurazione della 640 Alfano disse che si tratta della più grande opera pubblica dopo la costruzione dei Tempi. Il fatto è che tra i due eventi c’è un intervallo di tempo che supera due millenni, durate il quale gli agrigentini hanno visto realizzare ben poco e avranno, a questo punto, deciso di potere fare a meno del ministro Alfano. Perderlo è stato un danno calcolato e decisamente voluto.