Giuseppe Maurizio Piscopo
Umberto Re è laureato in legge ma non ha mai voluto esercitare la professione di avvocato. E’ un grande personaggio favarese. E’ il primo giornalista che ho conosciuto nella mia primissima infanzia. Ricordo con immenso piacere la prima volta che salii le scale di un nobile palazzo in corso Vittorio Emanuele per incontrarlo. Sapeva ascoltare con quel suo aplomb da gentleman inglese, alla fine mi fece un sorriso. Andai via felice, mi aveva incoraggiato a suonare, a comporre, a scrivere. Per un bambino quando qualcuno l’ascolta con attenzione è il più grande regalo che possa ricevere dalla vita. Umberto è un personaggio semplice, sempre disponibile, è l’immagine positiva di questo paese. Da lui ho appreso che il segreto dei grandi è l’umiltà…
Umberto come eri da bambino?
Non ricordo molto della mia infanzia ma so per certo di non avere frequentato l’asilo al Collegio di Maria, distante pochi metri da casa mia, dove ero stato avviato da mia madre. Mi spaventò un prete che, credo, si chiamasse padre Luigi. Le sue bacchettate su un banco furono il pretesto per non andarci più.
Tu eri un bambino felice?
Ero l’ultimo nato della famiglia per cui godevo delle coccole di tutti
Sono felici i nati digitali secondo te?
I tempi cambiano e non si può giudicare con gli occhi e con la mente di chi ha vissuto in periodi decisamente diversi.
Che ricordo conservi della scuola elementare del Maestro, dei compagni e dell’atmosfera che si respirava allora a Favara?
Le amicizie più solide restano quelle che si sono costruite nelle elementari. Io ho avuto due maestri. In prima e seconda elementare Filippina Bellomo a cui nelle feste di Natale inviavo, su sollecitazione di mia madre, una cartolina di auguri al Cortile Bentivegna, oggi noto per il successo della Farm. In terza, quarta e quinta sono stato seguito dal maestro Michele Parlato che mi preparò anche per gli esami di ammissione alla media. Di quel periodo ricordo i geloni ai piedi, l’insorgenza dei quali era favorita dal fatto che allora le aule non erano riscaldate e che spesso attraversavamo strade piene di fango e acqua non essendo dotate di condotte sotterranee per il deflusso.
Ti ho conosciuto a Favara il paese che mi ha visto nascere e prima di conoscerti avevo sentito parlare molto di te. Che cosa rappresenta questo paese del “Cammino della speranza” nel tuo percorso culturale?
Ci sono nato e cresciuto e ci sono molto attaccato anche se mi fa rabbia vedere molti miei compaesani che non si convertono alla civiltà continuando a vandalizzare i beni esposti alla fede pubblica o a disfarsi della busta dell’immondizia in modo sconsiderato. Nel passato non sono mancati scempi eclatanti come l’abbattimento della fontana di piazza Giarritella, il tentativo di trasformare il Castello Chiaramonte in uffici comunali, l’impoverimento della monumentalità del cimitero di Piana Traversa dove restano solo poche sezioni che ci riportano alle origini del suo impianto. L’inadempienza più grave è stata la mancata applicazione dei piani regolatori che ha favorito l’esodo nelle periferie e l’abbandono del centro storico che ancora oggi continua a disfarsi.
Mi puoi aiutare a comprendere una frase del Vangelo: “Ama il tuo nemico”…
Io rovescerei la domanda in “fai del bene a tutti”. In tal modo non avrai nemici.
Hai raccontato questo paese da cima a fondo. Qual è l’articolo più bello che ricordi?
Ce ne sono tanti e non saprei scegliere. Per me fu un’emozione, io che ho praticato il calcio, scrivere del Favara che si affacciava ai campionati regionali dilettantistici. Si era nei primi anni settanta del secolo scorso. Ricordo con piacere uno dei primi articoli di politica. Raccontavo dell’elezione al sindaco, anno 1968, del compianto medico Salvatore Pirrera.
E qual è quello che non avresti voluto mai scrivere e raccontare?
Ovviamente è quello relativo alla tragedia di via del Carmine del 23 gennaio 2010 in cui morirono le sorelline Bellavia schiacciate dai detriti della loro casa schiantatasi improvvisamente al suolo.
Come reagisce la gente, quando ti legge, sei stato mai contestato?
La gente è contenta quando il giornale riporta notizie di Favara. Oggi, però, con la crisi generalizzata della stampa, sono diminuite le pagine e pertanto anche il numero degli articoli. Mi chiedi se sia stato contestato. Mai in maniera violenta anche perché ho saputo porre la notizia nei dovuti modi.
Come è cambiata Favara negli ultimi anni secondo te?
Come detto prima ci sono gli impenitenti che continuano ad oltraggiare il paese essendo privi di ogni forma di senso civico, ma c’è anche chi si impegna quotidianamente per offrire occasioni di sviluppo, se non economico, culturale. Le varie associazioni sorte in questi anni sono un esempio. E molte di esse hanno ricevuto riconoscimenti anche di valenza nazionale.
Cosa pensi della Farm?
Un meteorite che all’improvviso è caduta su Favara sconvolgendo abitudini, dando nuovi stimoli ai giovani, facendo capire che con l’impegno di ognuno si possono superare barriere ritenute invalicabili.
A Favara tu sei stato il direttore del mensile La Mela, che ricordo hai di questa esperienza?
Più che del mensile in sé ho il ricordo di quanti hanno collaborato alla pubblicazione dei 21 numeri. Tanti giovani, oggi con famiglia e figli. Una bella esperienza che è costata molta fatica. Ricordo ancora la correzione delle bozze con un continuo via vai dalla Tipografia Sarcuto anche perché allora non c’erano i mezzi attuali che avrebbero certamente ridotto il lavoro e che forse ci avrebbero invogliato a continuare.
Qual è secondo te il futuro dei giornali ai tempi di internet?
Internet è una comodità ma il cartaceo conserva ancora la sua magnificenza. Prendere in mano un giornale soddisfa di più che pressare su un tasto del computer o di un tablet.
Sei laureato in legge, ma non hai mai esercitato la professione di avvocato. E’ così?
E’ così. Ho provato a farlo ma era inconciliabile con i miei interessi di vita. Professione troppo impegnativa. Mi avrebbe privato di coltivare i miei hobby.
Che cosa non hanno capito gli uomini delle donne, dicono di amarle e poi ne ammazzano tre la settimana. Qual è la tua opinione?
Le ammazzavano anche prima solo che la stampa adesso mette in risalto lo stillicidio degli eventi. Non credo che ci sia una società malata, ma singoli uomini malati. Qualcuno se ne dovrebbe prendere cura.
Puoi commentare questa celebre frase di uno scrittore russo: “La bellezza salverà il mondo”…
Anch’io lo sostengo, da tempo. Solo che la bellezza non viene da sé. Bisogna capirla, interpretarla, coltivarla, metterla a raffronto con altre bellezze. Chi distrugge le bellezze, e negli ultimi anni caratterizzati da uno sfrenato fondamentalismo religioso se ne sono annientate, dimostra arretratezza culturale e spiccate doti violente spesso degenerate in guerre senza senso.
Hai mai pensato di trasferirti fuori dalla Sicilia?
No
Qual è il tuo scrittore preferito?
Preferisco scrivere che leggere. Devo ammettere, comunque, che mi piace leggere le opere di un sacerdote, oggi avanti con gli anni, originario di Favara ma trapiantato a Ribera, padre Gerlando Lentini, già direttore del mensile “La Via”.
Qual è la musica che preferisci?
Tutta, anche quella della Compagnia popolare favarese
Come sarà Favara tra dieci anni?
Cambierà come cambieremo noi. Mi auguro in meglio nella speranza che il denaro raccolto con le tasse con cui si versano i contribuenti ritorni sotto forma di servizi, oggi inesistenti.
Che cosa si può fare per migliorare questo paese?
I privati stanno facendo tanto ma il loro apporto non è sufficiente. Occorre la mano pubblica che al momento può fare poco perché a corto di risorse. E lo prova il fatto che ormai non si pubblicano più bandi di appalto nella Gazzetta della Regione Siciliana.
Se dovessi fare un bilancio della tua vita: rifaresti le esperienze che hai fatto? Ti senti soddisfatto?
Cercherei di fare altro. Mi intrigano altre conoscenze.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
A una certa età non si pensa più a se stessi ma ai figli. I progetti per il futuro sono per loro.