Giuseppe Maurizio Piscopo
Attivo da oltre trentacinque anni sulla scena artistica siciliana. Il suo percorso lo ha visto affrontare ambiti musicali differenti, cercando spesso il contatto con artisti di estrazione diversa.
Un trascorso da speaker radiofonico e da collaboratore con la sede Rai di Palermo ma anche da conduttore di manifestazioni culturali ed eventi in territorio nazionale e negli Stati Uniti. Nel corso degli anni ha coniugato la passione per la musica a quella per il teatro collaborando attivamente con l’attore Paride Benassai, ma si è occupato anche di natura, ambiente ed eno-gastronomia in qualità di giornalista free lance. Appassionato divulgatore della cultura popolare anglo-americana, la sua formazione attinge a piene mani al folk ed alla tradizione musicale americana ma anche alla canzone d’autore italiana di De Andrè, Tenco, Gaber, Conte, De Gregori.
Nei suoi concerti alterna atmosfere acustiche (passando dagli ascolti della propria formazione) e rimandi nella canzone d’autore italiana, dedicandosi principalmente alle sue composizioni inedite, presenti nel nuovo progetto discografico in fase di realizzazione, con i testi in dialetto siciliano, intitolato “Born in Sicily”, ricco di collaborazioni artistiche del panorama siciliano e prodotto dal cantautore ennese Mario Incudine.
Quando hai scoperto le tue qualità artistiche?
Immagino da sedicenne, in pullman, la prima vera ribalta, chitarra a corredo, lungo il tratto Carini/Palermo, andata e ritorno da e per la scuola, rigorosamente giro di do, accordi basici, ci puoi cantare una quantità sterminata di canzoni, sembrava funzionare. Lì è scattata l’autostima.
Ricordi il tuo primo giorno di scuola, il maestro, i compagni, l’atmosfera che si viveva allora?
Non particolarmente traumatico, essendo nato in provincia, in quel di Carini, ho goduto dei vantaggi che può offrire un ambiente protetto come quello di una piccola comunità dove ci si conosce tutti: valori forti, educazione severa, palla lunga, pedalare. Ho rischiato di diventare uno scolaro modello ma è arrivata la folgorazione sulla via di Damasco..appena in tempo.
Come eri da bambino, eri un bambino felice?
Infanzia dieci e lode, genitori semplici, affettuosi, poco permissivi ma circondato da tutte le attenzioni possibili fino al termine dello status di figlio unico, poi le cose sono un po’ cambiate..
Che cos’è per te la radio?
La radio è stata la rivoluzione, un importante strumento formativo, la possibilità di esprimersi liberamente, di arrivare a tante persone, di sperimentare il rapporto col primo microfono. In quella stagione pionieristica, partire con una discreta dizione, una buona cultura musicale e la conoscenza della lingua straniera allora faceva la differenza.
E la tv?
La televisione è solo una porzione di verità. E’ lo sguardo che ti propone la telecamera, priva di quelle componenti che sono immaginazione e fantasia che appartengono sicuramente al mezzo radiofonico.
Tu hai intervistato grandi personaggi come Charlie Mingus, ne vuoi parlare?
Intervistare un gigante come Mingus, mi ha creato non poche ansie, per il carisma ma anche la spigolosità del personaggio. Masticare un po’ di “slang” a stelle e strisce, piuttosto che una pronuncia “british”, è stato inaspettatamente una risorsa, mi ha fatto conquistare la sua benevolenza.
Sei stato definito un pioniere della radio libera soprattutto negli anni 70, di quale radio eri conduttore?
Tantissime emittenti; Radio Conca D’Oro, Radio Palermo Centrale, Radio Reporter, Radio Day, per ricordarne alcune, il rapporto più longevo è stato con Radio In. Il mio appuntamento pomeridiano si chiamava “Caravan” aveva un taglio musicale molto filo-americano e coniugava la musica all’intrattenimento.
Tuttavia il lungo rapporto di collaborazione come speaker con la vecchia sede Rai di via Cerda a Palermo è stato determinante sul piano formativo. Ho avuto il privilegio di frequentare grandi maestri che mi hanno trasmesso soprattutto una coscienza etica che passa dal mezzo radiofonico. La responsabilità che viene dall’esercizio della parola davanti al microfono.
Ti definisci un presentatore, un musicista o The One Man Show?
Mi definisco uno che si diverte molto a fare questo mestiere, seppure accompagnato da tante incognite, certamente non facile, che richiede impegno, rigore ed anticorpi a sufficienza per superare anche i momenti “down” che pure arrivano. Tuttavia la curiosità, gli incontri che ti arricchiscono, il rapporto con il pubblico ti ripagano con gli interessi, perché gli artisti vivono di adrenalina, di emozioni, di sorrisi..
La tua collaborazione con la Rai è stata lunga: hai presentato eventi di spettacolo, di moda, Folk d’Autore, dove ci siamo conosciuti, Music Stage. Hai presentato Paco De Lucia, Pino Daniele, John Mc Laughlin, Gilberto Gil, Joe Cocker.
Il primo è stato Luca Carboni nel tour siciliano di “Farfallina” ed a seguire Zucchero con la hit di “Dune mosse”. Avevo il compito di scaldare il pubblico e di introdurre l’artista. E’ andata avanti ancora per qualche anno, nei grandi spazi e negli stadi con Gilberto Gil, John Mc Laughlin, Pino Daniele, Joe Cocker ed altri. Rischiavo l’infarto tutte le sere, ma era grande divertimento nei backstage con gli artisti ed una impagabile botta di adrenalina pazzesca dal pubblico.
Dove hai imparato l’inglese in Inghilterra o in America, ti è servito nella vita?
Il primo impatto ovviamente a scuola dove impari l’ossatura grammaticale e a coniugare i verbi ma parlare fluentemente e utilizzare la pronunzia corretta, quella è una esperienza da fare rigorosamente sul campo. L’America della musica, del cinema, dell’immaginario che ha accompagnato la mia crescita, anche culturale, mi è venuta incontro generosamente.
Hai partecipato con successo a diversi programmi tv di grande ascolto: Tandem, i Raccomandati. Che emozione hai provato alla Rai nazionale?
La prima apparizione nazionale è stata “Tandem” con Paolo Sorrentino, Roberta Manfredi e Fabrizio Frizzi. Era ancora, la “tv dei ragazzi”, nella fascia pomeridiana. Ci siamo esibiti in studio, dal vivo davanti ai ragazzi di un liceo di Roma.
E’ stata una delle prime volte in cui in un contesto simile si esibiva una band italiana che proponeva il country americano.
Con “I Raccomandati” insieme al mio socio Rosario Vella abbiamo vinto la gara intonando con il nostro amico Bobo Craxi l’inno della nostra generazione, “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”. Grande divertimento, grande energia e cazzeggio a go-go con quello straordinario signore dell’intrattenimento televisivo che è Carlo Conti, grande professionismo e grande cuore. Ci ha accolto con grande affetto, ancor di più quando ha scoperto la nostra identità terrona.
Puoi raccontare dell’esperienza dei Rivisitors la nota band notturna tanto amata dai palermitani?
Mi ci vorrebbe un capitolo a parte… I Rivisitors hanno incarnato la formula del divertimento applicata alla Palermo da bere degli anni 80/90. Una scena, quella notturna cittadina interpretata però in maniera creativa, un immaginario stimolante, di aggregazione e di interazione per appassionati di musica e musicisti. Ma anche una vera crescita professionale, umana per gli addetti ai lavori, un mix perfetto di tuttologia musicale e di intrattenimento, di cazzeggio tout-court e di condivisione collettiva che, allargandosi a macchia d’olio diventò fenomeno di massa che aveva la sua casa al celebre Malaluna, spazio cittadino ante-litteram per gli appassionati di musica dal vivo.
Arriviamo al sodalizio con Rosario Vella, come nasce?
Nasce dal desiderio di incontrare uno dei pochi chitarristi acustici palermitani che suonava con perizia la tecnica del “finger-style” applicata al repertorio country’ n folk americano, che praticavo da appassionato cultore. Il privilegio di condurre, allora una trasmissione televisiva, mi diede la possibilità di conoscerlo direttamente ed invitarlo in una puntata dedicata a quel tipo di musica. Fu amore a prima vista..
Qual è il maggiore pregio di Vella, e il peggiore difetto?
Quello di frequentarmi da 34 anni. La medesima risposta è spalmabile al secondo quesito.
Che cos’è la Merica dove sei stato tantissime volte?
La Merica per me, in tempi più remoti, ancor prima dell’aspetto letterario che ho sperimentato successivamente attraverso il linguaggio della musica, il cinema, i libri, Keruac etc. è un ricordo, angosciante, legato al fenomeno dell’emigrazione, alle partenze di tanti affetti, dei parenti più stretti che negli anni 60/70, dal molo Santa Lucia a Palermo, prendevano i “bastimenti” per giungere dopo settimane in terra americana in cerca di fortuna e di riscatto. Da bambino e da testimone, rimane per me indelebile il suono straziante della sirena mentre la nave si allontana lentamente dalla banchina e le sagome dei passeggeri diventano sempre più piccole fino a sparire all’orizzonte.
Sei stato definito un artista poliedrico con 35 anni di attività armato di chitarra e sorriso. Ti ritrovi in questa definizione?
Mi piace molto, la trovo politicamente corretta. La chitarra un’appendice naturale, il sorriso qualche volta mi ha cacciato fuori da situazioni antipatiche, un sorriso è disarmante anche per il più insidioso degli attaccabrighe ed è sempre propedeutico per cominciare bene un incontro e mettere a proprio agio anche il più difficile degli interlocutori, direi alla base nello sviluppo dei rapporti interpersonali.
Chi è Marcello Mandreucci quando si spengono i riflettori, nella vita di ogni giorno?
Una persona curiosa, cosciente del fatto che della vita, come diceva il poeta, non vi è certezza e dunque, anche nella consapevolezza della sua brevità, di vivere il presente e ogni santo giorno, come fosse l’ultimo a disposizione.
Quale è il tuo legame con questa città?
Molto controverso, conflittuale, a cavallo tra due sentimenti opposti. Quello di vivere in una città piena di storia, di grande bellezza, che sa essere tollerante e quindi accogliere, coltivare l’arte dell’ospitalità ma al contempo anche di una città maleducata, sprecona, irredimibile.
Che mi puoi dire del rapporto con Paride Benassai?
Paride è l’amico che tutti vorremmo, una persona speciale, colta, generosa e molto spirituale. Ma accanto all’uomo c’è l’artista straordinario che è, espressione di un teatro popolare palermitano di cui è anima, interprete e riferimento.
A lui devo, avendolo affiancato tante volte in teatro, la scoperta dell’anima più autentica della nostra città e la passione per la scrittura in dialetto che è diventata la lingua del mio prossimo lavoro discografico.
Qual è la canzone italiana che ami di più?
In questo momento mi sento dalla parte di Niccolò Fabi, tifo per una delle sue più belle liriche “Costruire” ma a pari merito c’è “Felicità” di Lucio Dalla.
E l’Autore straniero che canti e ami maggiormente?
Lo sanno tutti, rispondo senza indugi, il mio song-writer preferito si chiama James, ma in questo caso non Bond ma Taylor, James Taylor
Quali sono i tuoi progetti per il futuro e cosa ti aspetti dal 2018?
Sarò concentratissimo sull’uscita del mio nuovo lavoro discografico, quasi tutto in dialetto siciliano, che avrà una supervisione autorevole, nella produzione di Mario Incudine col quale ho anche scritto la canzone che lo rappresenta. Un disco importante se non altro perché l’ho scritto e realizzato senza scadenze temporali e condiviso con tanti artisti del nostro territorio da cui mi sento ispirato ed influenzato. Un abbraccio alla mia città, agli incontri importanti, al mio rapporto con la musica ma anche il desiderio di raccontare una parte inespressa ed inedita di me stesso.