Emergono nuovi particolari dalle dichiarazioni di Giuseppe Quaranta, il neo collaboratore di giustizia di Favara, che racconta di uomini e fatti all’interno di Cosa Nostra agrigentina e soprattutto del suo ruolo all’interno dell’organizzazione mafiosa. “Sono stato “posato” perché ad un certo punto mi ero stufato e non mi facevo trovare da nessuno. Quindi non essendo più produttivo fu informato Francesco Fragapane, dicendo che non ero più disponibile”.
Questo il passo della dichiarazione di Quaranta dove descrive il distacco da Cosa Nostra. “Fragapane mi fece sapere che non dovevo più camminare a suo nome. Io ne fui felice”. Da qui però iniziano le preoccupazioni per Giuseppe Quaranta. “Apprendo leggendo l’ordinanza (Operazione Montagna) che mi volevano uccidere e penso che sono persone che tengono in conto solo i soldi e poi pensavano che io potessi collaborare”. Continua il suo racconto. “Quando si è dentro Cosa Nostra c’è sempre qualcuno invidioso. Hanno detto che mi ero preso i soldi ma questo non è vero. Queste cose io le ho lette nell’ordinanza, ma io avevo solo un po’ di paura, mi sono solo messo a lavorare onestamente e basta. Ho messo in guardia i miei figli e stavo attento a dove fossero, ma non più di tanto perché non mi immischiavo più in nessuna cosa. Se veniva qualcuno a chiedere qualcosa, anche lavoro, lo mandavo via perché avevo deciso di tagliare anche subendo eventuali conseguenza”.
Quaranta dice che inizialmente suo figlio Calogero non era a conoscenza della provenienza della cocaina che gli dava per spacciare e ne sapeva della sua appartenenza a Cosa Nostra. “In seguito l’ho messo a conoscenza di entrambe le cose”. Il pentito Giuseppe Quaranta è da giorni a colloquio con i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che raccolgono la sue dichiarazione dopo la decisione di collaborare con la giustizia. Quaranta racconta anche dei suoi incontri con la rete di spacciatori, amici di suo figlio, molti dei quali sono stati raggiunti dai provvedimenti di custodia cautelare nella recente Operazione “Montagna” che ha portato in carcere lo stesso Giuseppe Quaranta e agli arresti domiciliari il figlio Calogero. “Interventi mirati quasi esclusivamente per sollecitare i pagamenti di alcuni debiti che i ragazzi avevano contratto con mio figlio”. Contatti che sono rimasti anche dopo il suo “allontanamento” da Cosa Nostra.
Diverse le dichiarazioni anche sull’attività di estorsione, che però segue una strategia diversa nella sua città. “Per quanto riguarda il centro abitato di Favara non vi è la consuetudine di chiedere il pizzo alle attività commerciali presenti nel paese stesso. Mentre per quanto riguarda le imprese che vengono da fuori a fare i lavori a Favara queste vengono avvicinate dai referenti della loro zona”.
Quindi la confessione dove forse si trovano le motivazioni che hanno spinto Giuseppe Quaranta a collaborare a distanza di una settimana dal suo arresto. Ecco cosa dichiara. “Ho rimorso di coscienza perché penso di avere rovinato la mia famiglia. Uno deve riflettere ed essere uomo nella vita, l’impulsività porta alla distruzione. Cosa nostra è come un vortice che prima ti fa bello e poi ti risucchia tutto fino a non poterne più uscire”.