Giuseppina Pullara
La disabilità: da “Conseguenza di una malattia” a “Condizione di salute in un ambiente sfavorevole”. Due modelli a confronto.
Il sistema di Classificazione denominato ICIDH International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps che in italiano possiamo tradurre Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilita’ e degli Handicap pubblicato nel 1980 dall’Organizzazione Mondiale della Sanita’( OMS),si basava sul modello bio-medico, quindi sul trinomio Menomazione…..>Disabilita’………>Handicap. L’ICIDH definisce la Menomazione come “una perdita o un’anomalia delle strutture o delle funzione anatomiche, fisiologiche o psicologiche dell’individuo”; la Disabilità come “una qualsiasi mancanza o limitazione, risultante da una menomazione, dell’abilità di svolgere un’attività nel modo o entro i limiti considerati normali da un essere umano”; l’Handicap come “la condizione di svantaggio , conseguente ad una menomazione o a una disabilità, che in un determinato soggetto limita o impedisce l’adempimento di un ruolo sociale considerato “normale” in relazione all’età, al sesso, al contesto socioculturale di appartenenza della persona.” Ad esempio, una piccola disabilità nel camminare diventa un handicap grave su un ripido sentiero di montagna, mentre è lieve in una strada piana e non dissestata. Un ipovedente con una protesi che compensa bene il suo deficit pur se ha una menomazione non vive una condizione di svantaggio. Secondo la classificazione ICIDH del 1980 la disabilità è la conseguenza pratica della menomazione, essa indica ciò che l’individuo sa fare e quello che invece non riesce a fare. Per cui una menomazione del linguaggio comporta una disabilità nel parlare, una menomazione nell’ udito produce una disabilità nell’ascoltare, una menomazione psicologica causa una disabilità nel vivere con gli altri. L’handicap è un fenomeno sociale e può essere interpretato come il risultato dell’incontro tra la disabilità e l’ambiente fisico e sociale. Tanto più è accogliente e adatto ad ogni individuo l’ambiente fisico e sociale tanto minore sarà l’handicap. Il 22 Maggio del 2002 l’OMS pubblica una nuova Classificazione, l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, che in italiano si può tradurre con Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. In questa nuova classificazione il termine handicap viene sostituito dalla locuzione “ persona che sperimenta difficoltà nella partecipazione sociale”. Si assiste ad un cambio di prospettiva, in cui viene superato il modello bio- medico dell’ICIDH basato sul trinomio menomazione/ disabilita’/ handicap. L’approccio suggerito dall’ ICF, infatti, recepisce il modello bio – psico – sociale della disabilita’, secondo cui la persona è vista in modo globale, tenendo ben presente che il contesto personale, naturale, sociale e culturale incide decisamente sulle possibilità di riuscita o di fallimento delle persone . Nella prospettiva dell’ICF , la partecipazione alle attività sociali di una persona è determinata dall’interazione della sua condizione di salute con le condizioni ambientali, culturali , sociali e personali ovvero le condizioni anatomo-strutturali e i fattori contestuali. Il modello bio-psico –sociale , prende infatti in considerazione i molteplici aspetti della persona , correlando la sua condizione di salute e il suo contesto, pervenendo così ad una definizione di “disabilità” come condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
Questa prospettiva è applicabile non solo ai casi di disabilità conclamata , bensì ad ogni persona di cui è opportuno analizzare le funzionalità all’interno dei contesti sociali e di partecipazione , in relazione alle barriere che incontra nella vita quotidiana e in rapporto alle forme di supporto e di facilitazione che utilizza.
Secondo l’ICF i facilitatori sono dei fattori che, mediante la loro la loro assenza o presenza , migliorano il funzionamento e riducono la disabilità. Essi includono aspetti come un ambiente fisico accessibile, la disponibilità di una rilevante tecnologia di assistenza o di ausili e gli atteggiamenti positivi delle persone verso la disabilità, e includono anche servizi , sistemi e politiche che sono rivolti ad incrementare il coinvolgimento di tutte le persone con una condizione di salute in tutte le aree di vita. L’assenza di un fattore può anche essere facilitante, come ad esempio, l’assenza di stigmatizzazione o di atteggiamenti negativi. I facilitatori possono evitare che una menomazione che ( come veniva chiamata nell’ ICIDH) o una limitazione dell’attività (come diremmo oggi con ICF) ’divenga una restrizione della partecipazione, dato che essi migliorano la performance di un’azione, nonostante il problema di capacità della persona” .
Esempi di facilitatori personali: la voglia di fare, l’ottimismo, la sicurezza, il senso dell’umorismo, la dolcezza, la socialità, , la disponibilità a farsi aiutare ecc..
Esempi di facilitatori sociali: l’unione familiare, il benessere nei contesti di vita, i centri sociali, il volontariato, la struttura religiosa di riferimento ecc…
Esempi di faclitatori materiali e strumentali: Gli spazi attrezzati, l’ascensore…
Le barriere sono dei “fattori nell’ambiente di una persona che, mediante la loro assenza o presenza, limitano il funzionamento e creano disabilità. Essi includono aspetti come un ambiente fisico inaccessibile, la mancanza di tecnologia d’assistenza rilevante e gli atteggiamenti negativi delle persone verso la disabilità, e anche servizi, sistemi e politiche inesistenti o che ostacolano il coinvolgimento delle persone con una condizione di salute in tutte le aree della vita. “
Le barriere possono essere fonte di: danno alla salute della persona con disabilità perché possono causare affaticamento, pericolo, lesioni, ecc
danno esistenziale, in quanto rappresentano tutti gli impedimenti che la persona subisce sul piano delle attività della vita quotidiana , attraverso le quali persegue il proprio sviluppo individuale e, quindi, si configurano come situazioni ambientali che interagiscono negativamente con i diritti della persona e con il suo patrimonio;
danno sociale: incidono sul diritto ad un pieno inserimento sociale, che ha come condizione la possibilità per la persona con disabilità di accedere, in autonomia e sicurezza, dove meglio crede in base alle sue necessità, interessi ed aspirazioni.
Esempi di barriere personali: l’insicurezza, il disagio, la paura, la sensazione di sbagliare, la difficoltà a chiedere, il senso di inferiorità, ecc..
Esempi di barriere sociali: l’indifferenza, l’emarginazione, la discriminazione, l’invidia, la gelosia, la cattiveria, la derisione, il pietismo, ecc
Esempi di barriere materiali- strutturali: i gradini, le scale, le distanze, la mancanza di sussidi, ecc.. Molto si è fatto e ancora molto possiamo fare . Possiamo eliminare tutti gli ostacoli fisici, le barriere architettoniche , posiamo intervenire traducendo in segnali sonori quelli visivi per esempio accompagnando alla scritta “Avanti!” sul semaforo, un segnale sonoro di via libera. Possiamo intervenire sull’ ambiente sociale sensibilizzando società e individui sulla necessità di agevolare il processo di integrazione, non posteggiando le auto sui marciapiedi , ricercando sempre più importanti sussidi tiflologici..ecc…
Ancor di più e meglio dobbiamo fare per intervenire sull’ambiente socioculturale che crea disabilità rifiutando, emarginando, isolando.