Giuseppe Maurizio Piscopo
Antonino Turrisi, nasce a Caronia (ME) il 2/11/1944 e risiede a Palermo. Si laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Palermo nel 1969 e si specializza in Pediatria e Puericultura nel 1972. Ha iniziato ad esercitare l’attività lavorativa in Ospedale il 1° luglio 1971 come Assistente e dal 1984 in qualità di Aiuto. Dal 31 agosto 1995 ha ricoperto la carica di Primario fino al 30 giugno 2008. Dal 1° luglio 2008 è in pensione ed esercita l’attività libero-professionale di Pediatra.
Mi può raccontare come era da bambino?
Ero un bambino tranquillo e sereno. Vivevo in un piccolo paese e mi piaceva giocare per strada con gli altri bambini vicini di casa, con giochi semplici, tutti di movimento, e pochissimi giocattoli. Ricordo in particolare i giochi con la trottola di legno (“strummula”), con i bottoni da spingere con le dita nella fossetta, a nascondino, con la palla di carta e con i legnetti (una sorta di baseball). Ci divertivamo con poco, a volte litigavamo per sciocchezze, ma subito dopo riprendevamo a giocare insieme.
Quali sono i suoi ricordi del maestro, dei compagni di scuola, dell’atmosfera che si respirava allora a Caronia?
Per tutti i cinque anni di scuola elementare ho avuto una sola maestra, di cui conservo un ricordo speciale, perché mi ha dato le basi che mi hanno consentito di proseguire con profitto gli studi alla scuola media inferiore, che ho dovuto frequentare in una cittadina lontana da casa. Questo è stato il periodo più triste della mia infanzia, per la lontananza dalla famiglia, ma in compenso ho avuto la fortuna di conoscere un’insegnante di lettere molto brava, che ha influito notevolmente nella mia formazione sia scolastica che umana. Avevo un bel rapporto con tutti i miei compagni di scuola, sia alle elementari che nelle scuole superiori, e ricordo con piacere i momenti trascorsi con loro.
Quando ha scelto di svolgere nella sua vita la professione del medico, cosa l’ha spinta a fare questa scelta?
La mia è stata una scelta che è maturata nel tempo, soprattutto durante l’adolescenza, quando ho cominciato ad avere una maggiore consapevolezza dell’importanza di questa professione. Un ruolo significativo ha avuto l’ammirazione che nutrivo nei confronti del mio medico curante, un cugino di mio padre, al quale ci rivolgevamo tutte le volte che avevamo bisogno del suo intervento. Ed egli ci accoglieva sempre con il sorriso, dimostrando attenzione e impegno.
La sua è una famiglia di medici?
No.
C’è una novella di Luigi Pirandello che consiglio a tutti di leggere: “Il dovere del medico”. Certamente l’ha letta, che ne pensa in proposito?
E’ una bella commedia, come tutte le commedie di Pirandello, che però crea turbamento e pone interrogativi difficili, soprattutto nella gente che assiste alla rappresentazione, stimolando un dibattito complesso su cosa sia più giusto fare per un medico, che si trovi a decidere sul comportamento da tenere di fronte a un paziente in pericolo di vita che decida di rifiutare le cure sanitarie, preferendo la morte sicura. Io ritengo che in una situazione come quella rappresentata nella commedia il dovere del medico sia, comunque, di adoperarsi in ogni modo per salvare la vita del paziente, anche contro la sua volontà, perché le motivazioni addotte per giustificare il rifiuto non sono valide: non si tratta di accanimento terapeutico su un soggetto affetto da grave malattia, ormai con le ore o i giorni contati, ma di condividere e consentire la scelta del suicidio di una persona, che così si sottrae al procedimento giudiziario per un delitto da lui commesso.
Tutti i medici sottoscrivono il giuramento di Ippocrate, è ancora valido?
Il giuramento che Ippocrate, medico del IV secolo a.C., faceva fare ai suoi allievi per impegnarsi ad esercitare la professione medica in modo corretto e con dedizione, nell’interesse esclusivo del paziente, è sempre valido, anche se nel tempo è stato modificato per renderlo più aderente alla realtà moderna. In particolare risalta l’impegno alla difesa della vita e alla tutela della salute fisica e psichica dei pazienti; a prestare l’opera con diligenza, perizia e prudenza, indipendentemente da ogni differenza sociale, politica, di religione o di colore della pelle; ad osservare le norme deontologiche, anche nei confronti dei colleghi; a rispettare il segreto professionale; ad astenersi dall’accanimento terapeutico.
L’Italia vanta oggi uno dei tassi più bassi di mortalità al mondo, solo negli ultimi anni ha perso qualche posizione nelle graduatorie, ma resta ancora ai primi posti. Come stanno veramente le cose?
Si, è vero. Il tasso di mortalità infantile nel nostro Paese continua a ridursi, anche se più lentamente che in passato. In paragone ad altri Paesi europei siamo nella buona media, nel gruppo dei grandi Paesi dell’Europa occidentale, con una mortalità infantile inferiore al tre per mille, secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2014 (cioè: meno di 3 bambini ogni 1.000 nati vivi muoiono nel primo anno di vita), anche se si registrano sensibili differenze tra Nord e Sud e tra cittadini italiani e stranieri residenti. Se la confrontiamo al 40%° di cinquant’anni fa, ci rendiamo conto del grande salto. A questa drastica riduzione della mortalità infantile assieme al notevole aumento della vita media hanno contribuito il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie (soprattutto la potabilizzazione delle acque), l’antibioticoterapia e le vaccinazioni.
La pediatria italiana è ai vertici internazionali in termini qualitativi o quantitativi?
Lo è sia in termini qualitativi che quantitativi. La Pediatria in Italia ha una grande tradizione e ha avuto sempre grandi maestri. Ci sono numerosi istituti pediatrici di eccellenza polispecialistici in varie regioni, che sono punti di riferimento importanti per tutta la popolazione italiana e per noi operatori sanitari. Ma ciò che caratterizza la nostra nazione sul piano organizzativo e assistenziale è la presenza della pediatria di base: in nessun altro paese al mondo esiste il pediatra di famiglia, cioè quella figura professionale, che si occupa in maniera esclusiva dell’assistenza nel territorio dei bambini dalla nascita fino all’età di 14 anni, allorché vengono presi in carico dal medico di medicina generale. Ciò consente un’assistenza capillare competente ed equa a tutta la popolazione pediatrica, da parte di specialisti ben formati nelle varie scuole universitarie.
Ho letto in una rivista medica del problema della gestione dell’obesità nei bambini. Cosa ci può dire al riguardo?
L’obesità è uno dei maggiori problemi di sanità pubblica nei paesi industrializzati e in particolare lo è in Italia, dove 1 bambino su 3 è in sovrappeso o addirittura obeso, soprattutto nelle regioni meridionali. Nonostante si sia registrata una diminuzione negli ultimi anni, grazie alle politiche sanitarie adottate, l’Italia figura tra le nazioni con le più elevate percentuali di soggetti in sovrappeso, e i genitori in gran parte ritengono che il peso del proprio figlio sia nella norma. Errate abitudini alimentari e vita sedentaria sono le cause principali di questo fenomeno, sul quale si stanno impegnando molto ormai da parecchi anni società scientifiche e associazioni. La strada da seguire è, comunque, questa: educare genitori e bambini ad una alimentazione corretta (dieta mediterranea), non ipercalorica e senza eccesso di proteine, ricca di frutta e verdura e di proteine vegetali (in particolare legumi), olio extravergine d’oliva, ed eliminando merendine preconfezionate e bibite gasate e zuccherate; stimolare l’attività motoria, non solo con la frequenza in una palestra, ma soprattutto favorendo i giochi di movimento, anche in casa, andando a scuola a piedi, e limitando notevolmente l’immobilismo davanti al televisore, al computer e al cellulare.
Si sente spesso parlare di elevato numero di accessi al Pronto Soccorso. Come stanno le cose?
Questo è un problema che riguarda sia i pronto soccorso pediatrici che quelli degli adulti e investe tutto il territorio nazionale, anche se nelle regioni meridionali assume aspetti più allarmanti, principalmente a causa della inadeguatezza delle strutture e della carenza di personale medico ed infermieristico, oltre che della insufficiente cultura sanitaria della popolazione. Spesso si corre in ospedale per futili motivi (cosiddetti codici bianchi) o per problemi non urgenti (codici verdi), che possono essere affrontati e risolti adeguatamente nell’ambulatorio del pediatra di famiglia o in qualche caso addirittura per telefono, in attesa di eventuale valutazione ambulatoriale. Il motivo è da ricercare in genere nel desiderio dei genitori di avere una risposta immediata alle loro preoccupazioni ed ansie in una struttura protetta, magari con l’aiuto di consulenze specialistiche e di esami urgenti. Questi accessi, però, contribuiscono ad intasare il pronto soccorso e ostacolano in modo significativo l’assistenza ai pazienti, che presentano problemi gravi e urgenti.
Qual è il suo pensiero sulle vaccinazioni. E’ possibile che siamo arrivati a dubitare della scienza medica e a mettere molti bambini a rischio nelle scuole per una cattiva informazione di internet e per leggi poco chiare in materia…
Purtroppo è vero, molte volte la gente crede più ai ciarlatani e ai maghi, che alla scienza medica, soprattutto da quando le informazioni circolano liberamente e velocemente sul web, da parte di chiunque senza adeguata cultura scientifica. Da alcuni anni si è diffusa la preoccupazione (in molti casi addirittura la convinzione) che le vaccinazioni possano causare danni alle persone e che siano promosse dalle multinazionali dei farmaci, allo scopo di trarne vantaggi economici. Tutto ciò è privo di fondamento e non ha alcuna base scientifica. Le vaccinazioni sono una conquista della medicina preventiva e hanno contribuito più di ogni altra cosa alla notevole riduzione della mortalità infantile negli ultimi 50 anni. Grazie ad esse sono scomparse in Europa malattie come la poliomielite e la difterite, mentre in tutto il mondo è scomparso il vaiolo (debellato nel 1979), tanto che ormai non è più necessaria, e pertanto è stata abolita, la vaccinazione nei confronti di questa terribile malattia. Per la poliomielite, la difterite e tutte le altre malattie infettive potenzialmente mortali o invalidanti, per le quali esiste il vaccino, l’abbassamento della percentuale di soggetti vaccinati al di sotto del 95% della popolazione può determinare l’insorgenza dell’infezione nei soggetti non vaccinati o scarsamente responsivi alle vaccinazioni, con il rischio di epidemie e la trasmissione della malattia a soggetti sensibili, come neonati e anziani, e a coloro che non possono essere sottoposti a vaccinazione, perché immunodepressi (per es.: ammalati di leucemia o di tumori o di altre affezioni congenite o acquisite del sistema immunitario), con conseguenze catastrofiche. Riguardo, poi, all’interesse delle aziende del farmaco nel promuovere le vaccinazioni, è vero il contrario, cioè le aziende avrebbero vantaggio maggiore a vendere i farmaci per curare le malattie e non i vaccini per prevenirle. In conclusione: le vaccinazioni non sono farmaci, ma sono un diritto per la salute dei bambini e di tutti i soggetti a rischio, un mezzo formidabile per prevenire malattie rischiose per la vita o per le gravi complicazioni che possono determinare; sono sicure nei soggetti sani, perché gli effetti negativi sono poco frequenti e di scarsa importanza; proteggono indirettamente anche tutti coloro che non possono essere vaccinati, per le gravi malattie da cui sonno affetti, o che non hanno risposto in maniera efficace ai vaccini, realizzando la cosiddetta immunità di gruppo o di “gregge”.
Esiste un collegamento scientifico fra autismo e vaccinazioni?
Assolutamente no. Dai tantissimi studi scientifici effettuati non emerge alcun dato su un possibile rapporto di causalità tra vaccini e autismo. Un solo studio è stato pubblicato in Gran Bretagna nel 1998 sulla prestigiosa rivista Lancet da parte di un medico inglese (Wakefield), il quale sosteneva l’esistenza di un legame di causalità tra vaccino contro morbillo-rosolia-parotite e autismo. Negli anni successivi fu accertato, anche a seguito della testimonianza dei suoi collaboratori, che i risultati dello studio erano falsi e nel 2010 il dott. Wakefield venne radiato dall’Ordine Professionale, mentre lo studio fu ritirato dalla rivista. Da allora numerosi studi sono stati effettuati e pubblicati su varie riviste scientifiche e in tutti si dimostra che non c’è nessun rapporto tra vaccino e autismo. Inoltre, gli studi più recenti concordano sul fatto che alla base dell’autismo vi sono fattori genetici, con il concorso di fattori ambientali, tanto che il danno si verifica durante la gravidanza.
Su internet circolano molti titoli fai da te, pediatria pratica, pediatria di Nelson, consigli utili per affrontare le malattie dei bambini… Quali consigli si sente di dare alle giovani mamme inesperte che devono affrontare le difficoltà con bambini molto piccoli?
Anzitutto è bene che scelgano il pediatra, che dovrà prendere in cura il neonato, già prima del parto, in modo da avere subito dopo la nascita del bambino uno specialista di riferimento a cui rivolgersi. Poi, affidarsi con fiducia a lui, portandolo al suo ambulatorio periodicamente secondo un calendario che egli stabilirà, per monitorare lo sviluppo staturo-ponderale e psico-motorio, e tutte le volte che si rende necessario un controllo clinico per le patologie che possono insorgere. Stabilire un canale di contatto telefonico, in modo da chiedere consigli su comportamenti da tenere in caso di problemi che possono insorgere. Non affidarsi a consigli di parenti e amici, né correre al pronto soccorso per qualunque cosa, senza avere consultato prima il pediatra curante.
Ho sentito discettare sulla corretta nutrizione del bambino nei primi mille giorni di vita. Quale deve essere la corretta nutrizione nei primi giorni di vita dei bambini?
La mia raccomandazione è che i neonati siano alimentati esclusivamente al seno materno fino al compimento dei 6 mesi di vita, allorché si sostituisce un pasto di latte con un alimento diverso dal latte, la cosiddetta pappina, costituita da brodo vegetale con verdura passata e carne, somministrata con il cucchiaino, e la frutta. Questa introduzione della prima pappa prende il nome di svezzamento. In caso di insufficienza o di scomparsa del latte materno si somministra un latte cosiddetto adattato (tipo 1) e lo svezzamento si anticipa al compimento dei 5 mesi. Dopo circa un mese si sostituisce un altro pasto di latte con una seconda pappa e si introducono via via nuovi alimenti (pesce, legumi, uovo, pomodoro, ecc.) entro gli 8 mesi, nelle quantità adeguate al peso del bambino, che ogni pediatra sa suggerire. I bambini allattati al seno devono proseguire con il latte materno, anche fino a 3 anni, mentre per gli altri è consigliato il latte di proseguimento (tipo 2) dai 5 ai 12 mesi di vita, e in seguito il latte di crescita oppure un latte vaccino sterilizzato.
E la nutrizione nella cosiddetta età evolutiva?
Dopo il primo anno di vita consiglio di abituarli gradualmente all’alimentazione quotidiana della propria famiglia, raccomandando di dare il giusto apporto di nutrienti, di dare il latte intero nei primi tre anni, riducendo il numero giornaliero dei pasti di latte possibilmente ad uno solo a partire dai 2 anni eliminando il biberon. Inoltre, è importante prima di andare all’asilo e poi a scuola fare colazione a casa, e per gli spuntini della mattinata e del pomeriggio assumere frutta o yogurt, bere acqua naturale (1 litro al giorno) e non bibite dolci e gasate e mangiare frutta e verdura fino a cinque volte al giorno.
E’ vero che i pediatri in Italia stanno scomparendo? Perché?
Il numero limitato di posti nelle scuole di specializzazione, purtroppo, ha determinato una progressiva riduzione del numero di pediatri in attività, con la conseguenza che non tutti coloro che andranno in pensione potranno essere sostituiti nei prossimi anni, sia negli ospedali che nell’assistenza nel territorio.
I pediatri e i diritti dei bambini nella carta approvata dall’Onu negli anni 80. Cosa è cambiato rispetto a prima?
Rispetto a quando ho conseguito la specializzazione e ho iniziato ad esercitare la professione di pediatra nel 1972, molte cose sono cambiate a favore dei bambini. Un esempio su tutti è la presenza di almeno uno dei genitori, solitamente la madre, accanto al bambino durante la degenza in ospedale, mentre ancora negli anni settanta la maggior parte dei bambini rimanevano soli in corsia, con orari rigidi in cui i genitori stessi potevano far visita ai propri figli ricoverati di tutte le età. Nel 1980 è stata istituita in Italia la figura del pediatra di famiglia, fiore all’occhiello della sanità italiana, mentre prima i bambini venivano assistiti dal medico di medicina generale. Gli esami strumentali e i prelievi di sangue vengono effettuati in presenza dei genitori e negli ultimi anni vi è particolare attenzione alla prevenzione e alla terapia del dolore.
I pediatri e i bambini migranti che arrivano da soli con i barconi della “morte” e senza genitori. Si è mai trovato ad affrontare queste situazioni?
Da molti anni assisto i bambini di una casa famiglia e negli ultimi tempi ho avuto modo di confrontarmi con questa triste realtà. Da circa 2 anni, per esempio, sono ospitati due piccoli sopravvissuti, di cui il più grande, che allora aveva tre anni, gridava spesso e rifiutava di mangiare perché cercava la madre, che aveva visto morire in mare. Grazie alle cure delle assistenti, che lo hanno colmato di affetto e attenzioni, il bambino si è progressivamente ambientato e tranquillizzato, anche se qualche volta dà in escandescenze, a testimonianza del disagio che vive a causa del suo drammatico vissuto. La sorellina di un anno, invece, si è adattata più rapidamente, dopo le prime settimane di notevole irritabilità, con lo sguardo terrorizzato quando qualcuno le si avvicinava. Ricordo ancora il turbamento che ho provato, quando il giorno del suo arrivo mi sono recato nella casa famiglia per visitarla, in quanto aveva febbre e tosse e difficoltà respiratoria, e lei cercava di sfuggirmi, aggrappandosi all’assistente che la teneva in braccio, e piangeva a squarciagola.
Quali sono le malattie più pericolose che possono colpire i bambini di oggi?
Oltre alle malattie oncoematologiche (leucemie, linfomi, neoplasie), che non risparmiano neanche i bambini, e ad alcune malattie infettive ormai poco frequenti (meningiti), vi sono le patologie autoimmunitarie, come la malattia di Kawasaki, che deve essere riconosciuta e curata precocemente per prevenire complicazioni cardiache importanti.
Alla luce della sua grande esperienza che consigli si sente di dare per una buona prevenzione?
Come dicevo sopra, è importante avere fiducia nel pediatra di famiglia, al quale rivolgersi per qualunque cosa riguardante la salute del proprio figlio, senza lasciarsi condizionare da nessuno, e prima di intraprendere iniziative personali, e condurlo in ambulatorio periodicamente per i bilanci di salute. Effettuare con regolarità tutte le vaccinazioni previste nel calendario vaccinale. Abituare il bambino ad una alimentazione corretta, equilibrata, non ipercalorica, e al movimento, al fine di evitare il sovrappeso.
Il suo pensiero sull’allattamento al seno…
Ritengo che ogni bambino dovrebbe essere allattato al seno materno, perché il latte umano è quello ideale per il neonato della specie umana per la sua composizione di nutrienti (proteine, zuccheri e grassi), enzimi e minerali, e non comporta rischi di intolleranza. Inoltre, si stabilisce una relazione intima tra la madre e il bambino, con risvolti favorevoli per entrambi, ed è a costo zero. Se l’allattamento al seno non fosse possibile per motivi importanti legati alla madre (insufficiente produzione di latte, patologie o terapie che controindichino l’allattamento) o al neonato, allora si deve ricorrere all’integrazione o alla sostituzione con latte cosiddetto adattato di origine vaccinica, che è formulato in modo da avvicinarsi come composizione il più possibile al latte umano, rispettando le direttive di una commissione europea (ESPGHAN).
Crescere sani con una buona alimentazione sin dalla tenera età e fare tanto sport per vivere meglio. Basta?
Senz’altro, come dicevo prima, sono molto importanti ambedue le cose per crescere bene e contribuire ad una buona prevenzione, ma non meno importante è la presenza costante dei genitori nel guidare i propri figli nelle varie tappe del loro sviluppo fisico e psico-intellettivo, non facendo mancare il loro sostegno, vigilando e trasmettendo le giuste regole di comportamento.
Esiste un rischio al parto nel 2018?
Sarei bugiardo a dire che non esistono più rischi nell’espletamento del parto, ma certamente essi sono molto diminuiti rispetto ai decenni passati. Le donne partoriscono ormai in ambienti protetti, come gli ospedali e le case di cure, che per legge prevedono l’assistenza neonatologica in sala parto, con la chiusura dei centri nascita con meno di cinquecento parti all’anno, per consentire un’assistenza al parto più qualificata.
Che cosa si aspetta nel 2018? Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Più che aspettarmi qualcosa, spero che a partire da quest’anno aumenti progressivamente il numero delle nascite in Italia, invertendo un trend negativo, che sta assumendo proporzioni preoccupanti, tanto che il nostro Paese sta diventando sempre più un paese di vecchi, con ridotto ricambio generazionale e conseguente danno economico per una nazione che versa già in condizioni precarie. Riguardo al mio futuro, penso di continuare a svolgere la mia attività di pediatra fino a quando avrò le forze e la lucidità mentale per farlo, perché mi piace e mi consente di dare il mio contributo di esperienza a chi me lo richiede.