Situazione che ha creato una forte anomalia e ingenti danni economici che sono stati pagati dagli utenti dei 27 Comuni in linea con la legge. Con l’aggravante che i “ribelli, hanno partecipato alle deliberazioni dell’ATI (prima ATO) determinando tariffe alte che hanno toccato solamente i portafogli degli utenti dei 27 Comuni.
L’arrivo del nuovo prefetto Dario Caputo ha segnato uno spartiacque col passato senza eguali. E’ stato il rappresentante del Governo nazionale in provincia di Agrigento ad emettere un provvedimento interdittivo antimafia. Atto che ha messo un punto fermo alla gestione di Girgenti Acque e a consentire l’ingresso dello Stato nella gestione del servizio idrico integrato in provincia di Agrigento.
L’ATI non può girarsi dall’altra parte rispetto a quella dove c’è lo Stato. Del resto, lo scorso 28 febbraio, nel corso di una riunione dei 27 Comuni consegnatari delle reti e risorse idriche, il presidente dell’ATI, Francesca Valenti ha detto esplicitamente che “un Consorzio speciale per la gestione del servizio deve comprendere tutti”. Tutti significa rimuovere quel muro dove da una parte vi sono 27 Comuni che hanno ceduto le reti in obbligo di legge, dall’altra vi sono i 16 Comuni che non hanno consegnato le risorse. Il fine ultimo è quello di avere la massima disponibilità di acqua da erogare a tutti i 43 Comuni con lo stesso prezzo, senza più acquistare acqua da Siciliacque al costo simile a quello dello champagne.
In quell’occasione, il Presidente dell’ATI disse chiaramente che si sarebbe provveduto con le diffide dopo aver esaminato le richieste dei Comuni non consegnatari relativamente ai requisiti previsti dall’articolo 147 , comma 2 bis lettere a) e b) del D.Lgs n. 152/2006. In particolare, il suddetto articolo consente ai Comuni che hanno tali requisiti di poter gestire in proprio la rete idrica e la depurazione del proprio territorio. Ma i requisiti sono rigidi e non tutti i 16 Comuni non consegnatari vi rientreranno. Si considera che non più di 2/3 possano rientrare in tale possibilità. In buona sostanza, devono avere contestualmente tali caratteristiche: approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette, ovvero in siti individuati come beni paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42.
Gli uffici tecnici dell’ATI sono impegnati, da giorni, a esaminare le richieste pervenute dai Comuni non consegnatari. Il Consiglio dei sindaci, poi, scarterà quelli che non hanno i requisiti. Da qui partiranno le diffide da parte dell’ATI. Quesi Comuni che non entrano nei requisiti avranno di fronte anche la presenza dello Stato che non può che far osservare il rispetto delle norme.
Quei pochissimi Comuni che rientreranno nei requisiti previsti dall’articolo 147 potranno gestire in autonomia il servizio idrico. Ma l’acqua in più, rispetto al fabbisogno della popolazione va a confluire a beneficio del gestore unico del servizio idrico agrigentino che avrà l’assetto pubblico. Le fonti e le sorgenti idriche sono demaniali, quindi pubblici. Acqua pubblica significa che un’intera comunità provinciale beneficerà del prezioso liquidi, senza la necessità di comprare l’acqua all’ingrosso da Siciliacque. Come, del resto, i costi saranno ripartiti tra i Comuni che fanno parte dell’ATI. Tutti, tranne qualche realtà che rientra nell’articolo 147.
Gli uffici tecnici dell’ATI hanno già approntato una lettera da inviare ai 16 Comuni per richiedere ulteriori informazioni rispetto ai requisiti dell’articolo 147. Lettera che, però, non è stata ancora vagliata dal direttivo dell’ATI. Insomma, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Perdere tempo sembra la strategia “vincente”. Ma, stavolta ci sono gli occhi dello Stato a vigilare.