Giuseppe Maurizio Piscopo in questa intervista a Francesco Salamone, natio della ridente cittadina di Aragona, ci fa rivivere l’emigrazione dei siciliani al nord, ed a Milano in particolare, la conquista di un’ottima posizione, il ricordo dell’infanzia e del paese natio.
Francesco Salamone, classe 1961, dopo il diploma presso l’istituto professionale per il commercio Nicolo Gallo nel 1980 decide di trasferirsi a Milano dove vive da circa 35 anni e dove svolge la professione di imprenditore edile.
Che ricordo hai di Aragona e della tua infanzia?
Un ricordo particolare, molto bello. Aragona è un paese pieno di contraddizioni e tante tradizioni. Con il mio paese ho avuto un rapporto dolce e amaro allo stesso tempo.
Che tipo di bambino sei stato, hai giocato per la strada, prendevi i nidi dagli alberi?
Ho un ricordo eccezionale della mia infanzia. Giocavo per le strade con giochi semplici e pieni di fantasia. Correvo con i miei compagni come dei pazzi a giocare a vacca longa, a costruire le casette con le canne e poi dopo averle completate le distruggevamo immediatamente per paura che gli altri le potessero fare prima di noi.
Che ricordo conservi della musica di tuo padre?
Mio padre ha inculcato nella mia mente la melodia e la musica tradizionale, suonate per mandolino e altre musiche. Ricordo, che partendo da un accordo aveva la capacità di comporre un valzer o una mazurka. Al momento avevamo un feeling eccezionale.
Che tipo di musica componeva tuo padre. Ha mai pubblicato dei dischi?
Mio padre essendo capace di armonizzare i brani ed essendo un grande conoscitore della musica era anche esperto per la composizione di marce sinfoniche per banda, ma all’epoca era difficile pubblicarle nei dischi.
Prima si ballava maschi con maschi. Sembrano passati cento anni…
Io seguivo mio padre nei trattenimenti dei matrimoni. Ero piccolo e ho dei ricordi nitidi che le migliori ballate li facevano uomini e uomini. La cosa tradizionale stava nel fatto che ballavano da fermi con movimenti stretti, e da lì ho notato che il ritmo era diverso e quando componevo le mazurke o i valzer mi ispiravo a questi movimenti puramente tradizionali e tipicamente siciliani.
Succedeva anche ad Aragona che ballassero maschi con maschi?
Si. Anche ad Aragona succedeva questo, il ballo masculi cu masculi e fimmini cu fimmini.
Puoi descrivermi come avveniva u zitaggio ad Aragona?
Penso come in tutti i paesi della provincia di Agrigento, il ragazzo diceva al padre che gli piaceva una ragazza. Il padre della ragazza doveva dare il primo consenso sulla base della famiglia della proprietà, delle case e dei terreni e poi doveva garantire dell’onestà della famiglia. “A DOTI AVIVA APPATTARI”. Poi il padre del ragazzo andava a parlare ufficialmente al padre della ragazza che non dava subito il consenso, ma si riservava di dare la risposta dopo aver parlato con la figlia in presenza della mamma. Poi lo chiamava da solo e gli dava una risposta se era si con la riserva, che doveva andare a casa della ragazza tutta la famiglia per fare la conoscenza, si diceva in dialetto “appuntavanu”, quindi la famiglia du zitu portava una bella guantiera di dolci tipici al cioccolato, amaretti e anche dai dolci si giudicava il tipo di famiglia. I commenti finali, la cosa bella e strana era il rosolio fatto in casa di colori pastello verde, rosso, arancione rosa ecc…Uno si prestava a fare il cameriere e passava con un vassoio e con i bicchieri pieni di rosolio. Qualcun altro per spezzare il silenzio legato alla timidezza faceva qualche battuta strana e originale, sul tipo: “Cumpa chi tempu fa dumani”, “ma dumani avissi a chioviri di Rafadali ammutta”, poi qualcuno esagerava a bere vino e rosolio e cominciava ad essere allegrotto. La moglie vedendo il marito in quelle condizioni per non fare brutta figura con la famiglia faceva un segno e diceva: (nantri ni niiemu, dumani n’aspetta na iurnata pisanti di travaggliu n’campagna, l’allegrotto diceva aspetta, ora ce ne andiamo e la moglie rispondeva decisa: amuninni ti dissi e con uno stretto saluto se ne andava.
Poi alla fine c’era magari quello che aveva tanta parlantina e non se ne voleva andare più. Ad un certo punto qualcuno diceva con tono allegro ma deciso: “addirivi itivinni pari bruttu”, risposta amuni ca è tardu. La stessa persona che li ha invitati diplomaticamente ad andarsene dice: no stati “n’antra tecchia”. Pi mia putiti stari finu a domani è un piaciri granni per la nostra famiglia!
E’ vero che in Sicilia i momenti più solenni sono i matrimoni e i funerali?
Si. Il lusso, il gusto e l’eleganza si vedono proprio in questi momenti della vita siciliana.
Da chi ha imparato tuo padre a suonare il sax, il clarinetto e il mandolino?
Il clarinetto e sax l’ha imparato dal maestro Giacco mentre il mandolino da autodidatta perche’ aveva uno zio barbiere e tutti i mandolinisti di Aragona si riunivano nei saloni dei barbieri e nelle sartorie che erano luoghi di ritrovo e di musica dal vivo.
Che lavoro svolgeva tuo padre?
Il musicista. Ha suonato per tanti anni nell’orchestra del maestro Franco Li Causi.
Un giorno hai espresso il desiderio di diventare un musicista e tuo padre ti ha detto in maniera molto chiara: “La musica non porta pane”…
Si mi ha risposto proprio così! Secondo lui la vita del musicista è una vita sacrificata e non porta pane.
Quando tempo sei stato a Parigi e quali ricordi ti porti nel cuore?
Sono stato a Parigi circa un anno vivevo vicino l’Arco di Trionfo. Qui ho frequentato alcuni locali jazz. Quando giravo per le Champs Elysees provavo gioia e tristezza allo stesso tempo. Mi sentivo lontano dalla mia terra e quando vedevo le gallerie e le vetrine addobbate provavo un grande senso di solitudine. E per superare quella malinconia mi sono comperato un mandolino e mi sono riunito a suonare e cantare con degli amici siciliani che vivevano a Parigi.
Mi ha colpito molto il racconto di quando in una cantina hai composto la tua prima canzone con un foglio ed una matita e le lacrime hanno cancellato le parole della canzone che erano molto tristi. Di che cosa parlava la canzone, mentre tu eri preso da una grande nostalgia?
Parlava della Sicilia. infatti si chiamava “Sicilia mia”. Ho pianto quando stavo scrivendo le frasi (lassavu a me matri chiancennu amici parenti e vicini ca io ci vuliva un gran beni ma purtroppu la vita e’accussi)…
Hai fatto parte del gruppo folkloristico di Aurelio Patti. Quindi hai viaggiato per il mondo. Dove sei stato?
Io devo ringraziare sempre Aurelio Patti e Monique la moglie che è venuta a mancare da poco tempo. Loro mi hanno fatto partecipare ad un corso manageriale e di civiltà, permettendomi di girare il mondo, e di ricevere un’ educazione comportamentale esemplare. Con il gruppo folkloristico siamo andati in Florida, nello Utac , a Las Vegas, Thaiti (Papeete e Moorea) Canada (Montreal Quebec Toronto), New York Grand Canyon e tutta l’Europa.
Che cosa sono le tradizioni siciliane per te?
Le tradizioni siciliane rappresentano le mie origini, la gioia e l’orgoglio di essere siciliano. Mio nonno era zolfataro, da lui mi facevo raccontare le storie passate i cunti. Ad un certo punto quando si faceva tardi per farmi andare a dormire mi diceva: “vatinni” altrimenti passa il vecchio e ti mette nel sacco…
Qual è il tuo rapporto con Mimmo Pontillo?
Con Mimmo ci siamo conosciuti nel Gruppo Valle dei templi. Mimmo già suonava il mandolino e per me è un grande amico e un grande mandolinista. Anche lui suona da più di quarant’anni e ogni volta che ci incontriamo è una vera festa. Infatti prendiamo gli strumenti e suoniamo sempre e devo dire che è un grande piacere suonare con lui le musiche siciliane.
Puoi raccontare come e quando nasce la tua composizione Ciaula?
Ho fatto parte del gruppo le Maschere Nude diretto e un giorno prima delle prove mi è venuta un’ ispirazione sulle maschere pirandelliane. Così mi sono ispirato alla novella Ciaula scopre la luna e ho dipinto questa storia amara, con una bella composizione, immortalando la scena di quando Ciaula scopre la luna. Poi grazie a Mimmo e Calabrese il brano è stato scelto ed inserito nel cd del libro Musica dai saloni.
Un giorno sei arrivato a Milano con il treno del sole, con la valigia legata con lo spago. La prima notte hai dormito alla stazione nell’ultima panchina a destra della scalinata centrale. Come era la Milano di quegli anni e com’è la Milano di oggi?
Milano negli anni 80 era completamente diversa. Gli emigranti eravamo noi terroni. Adesso gli extracomunitari hanno sostituito i “terroni”e siamo diventati italiani anche noi. Adesso Milano è diventata una metropoli ed e’ molto più pericolosa rispetto a prima. La nuova generazione fa veramente paura.
Il primo giorno di Milano ti sei alzato alle 5 e ti sei lavato la faccia nel bagno della stazione. Puoi raccontare brevemente questa giornata e come ti sentivi dentro…
Ero triste ma con tanta forza interiore e la voglia di impegnarmi e di farcela. Oggi posso camminare a testa alta, non devo dire grazie a nessuno. Tutte le volte che passo da quella panchina mi sento fiero di me stesso e mi commuovo.
Il tuo ristorante si chiamava la Putia era la meta preferita di artisti e musicisti, cantanti, attori e produttori nel cuore di Milano.
Il ristorante era un ritrovo di artisti compositori, tenori di fama internazionale. Sono stato capace di creare un ambiente artistico pulito e magico. Da lì ho scoperto di avere spiccate doti di composizione melodiche, confrontandomi con loro.
Perché hai scelto a Putia come nome del ristorante?
E’ un ricordo legato alla mia infanzia. Avrò avuto 5 anni quando mia madre ad Aragona mi mandava a comprare 100 grammi di mortadella dalla zia Maddalena e mi diceva falla scrivere nella libretta nera…
Ti vedi sempre con l’arrangiatore Salvator Puerto Gonzales?
Si. Salvador Puerto è una persona umile. Un vero grande musicista e arrangiatore. Ci sentiamo quasi tutti i giorni e ci vediamo spesso, soprattutto quando mi viene un’ispirazione. Lui subito la trascrive e fa gli arrangiamenti consegnandomi la partitura completa. Salvador meriterebbe più riconoscimenti ma la sua timidezza lo fa stare spesso dietro le quinte. I grandi artisti lo apprezzano tanto da Tony Renis a Vittorio Grigolo, da Daiano Fontana a Vince Tempera…
Quante canzoni hai scritto?
Ho scritto piu’di 30 canzoni e diverse suonate per mandolino. Il pittore utilizza il pennello per fare un quadro ed io utilizzo la sensazione per comporre una melodia.
Come sei arrivato al Festival della canzone napoletana?
Un cliente amico Achille Vesce un giorno a Putia ha scritto una bella poesia napoletana pregandomi di scrivere la melodia. L’ho scritta ed abbiamo mandato il provino alla direzione del Festival di Napoli diretto da Massimo Abbate. Senza nessuna raccomandazione, siamo stati selezionati a partecipare. Per me è stata una grande soddisfazione.
Musicisti si nasce o si diventa?
Io ho sempre fatto la distinzione tra musicista che nasce e tecnico esecutore che ci diventa con l’esperienza. Le più belle canzoni italiane sono state scritte da musicisti con pochi accordi e tanta arte. Il tecnico invece è bravo ad eseguire il pezzo musicalmente difficile da eseguire, ma spesso non ha il dono della composizione.
Ritornando indietro e riavvolgendo il nastro della tua vita, rifaresti le stesse cose che hai fatto?
No, come dice un mio grande amico e grande musicista abbiamo sbagliato mestiere. Se tornassi indietro e potessi riavvolgere il nastro mi dedicherei tutta la vita a fare il musicista perché è il mestiere che amo di pù e lo farei con grande amore e tanta passione.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dedicarmi ad aiutare i più bisognosi, e le persone più deboli di questo mondo.
Intervista di Giuseppe Maurizio Piscopo