Ecco una nuova intervista di Giuseppe Maurizio Piscopo. Protagonista è Marianna Porretto, nasce a Palermo nel 1958. E’ specializzata in metalinguistica della comunicazione, in meta cognizione applicata alle scienze, alla storia e alla geografia. Le abilità professionali conseguite con anni di formazione sono Pedagogiche, psicologiche e metodologiche – didattiche in particolare per alunni autistici e ADHD, ha realizzato diversi progetti con la collaborazione dell’equipe di N. P.I dell’ O.A.M. Marianna Porretto è una maestra del plesso Raffaello Lambruschini dove insegna da oltre 15 anni. E’ una maestra molto amata da bambini e dai genitori. Ha una grande preparazione ed un approccio molto particolare con i piccoli. E’ una maestra che non si dimentica.
Quando nasce esattamente la tua vocazione di maestra?
E’ nata mentre ero tra i banchi di scuola. Avevo notato degli atteggiamenti piuttosto aggressivi e poco comunicativi da parte della mia maestra, così mi sono posta una meta: “Da grande farò la maestra ma non mai come lei”. Era una maestra che non aveva il senso dell’accoglienza, dell’empatia. Il suo modo di fare era molto militaresco, penalizzava i bambini, soprattutto quelli più fragili, con un cinismo impressionabile, io ero tra loro, ma riuscivo a superare ogni suo atto di violenza psicologica e verbale spiegandomi il perchè di tanta ferocia nel vivere con dei bambini così sprovveduti e innocenti come eravamo noi. Mi faceva tanto male dentro, ma non perdevo la forza di aiutare quei compagnetti che non riuscivano a superare tanta brutalità. Posso dire che già avevo capito cosa non doveva fare una brava maestra.
Che bambina sei stata? Quali ricordi conservi della tua maestra e dei tuoi compagni. Li vedi ancora?
Sono stata una bambina vivace e comunicativa. Mi piaceva molto osservare il comportamento sia dei grandi che dei piccoli e notavo come i grandi erano spesso dei gran bugiardi e ridicoli nel fare discorsi per poi litigare peggio dei piccoli. Alcune compagne delle elementari continuo a vederle. Molte sono nonne e maestre come me, altre sono diventate giornaliste o dirigenti scolastici, altre ancora agenti di commercio, altre hanno voluto essere solo mamme.
Che cosa resta ai bambini della loro maestra?
Rimane il ricordo di un abbraccio e di un sorriso, il ricordo di uno sguardo quando lo cercavano, il sentirsi accolti per quello che erano e non per quello che pretendevo che fossero, il mio volerli bene, accettarli, il sentirsi compresi nei loro problemi, anche attraverso quello che loro non dicevano. La cosa più importante per una maestra è sapere comunicare con i bambini, saper leggere il loro comportamento, i loro bisogni anche attraverso messaggi non verbali. Far vivere loro la scuola come un luogo di scoperta e stupore, di leggerezza e riflessione, di gioco e competenza, di diversità e condivisione, di pensiero e ricerca, di solidarietà e crescita individuale e di gruppo.
Come vivono i bambini di oggi le contraddizioni del nostro tempo: da un lato pare che abbiano tutto, dall’altro, invece, sono scontenti e meno felici di noi …
I bambini di oggi sono il frutto della società, sono anche loro una riproduzione del sistema sociale basato sull’apparenza e sul superfluo. Consumatori compulsivi del suplerfluo e del futile. Purtroppo oggi i valori sociali sono proprio questi. “Più è inutile quello che hanno e più diventa necessario”. La scuola più di ieri ha il compito di convertire questo messaggio in un pensiero critico facendo comprendere ai bambini attraverso le discipline di studio i veri valori della vita e il loro significato per farne delle menti pensanti, con una spiccata e obiettiva capacità di valutazione.
Quale ricordo rimane in te quando lasci i bambini di una quinta, dopo che li hai seguiti giorno dopo giorno, vedendoli crescere e maturare per cinque anni?
Rimane il ricordo delle loro personalità, la loro crescita fisica e psicologica. Come si è evoluto il rapporto che sono riuscita a instaurare nei cinque anni, quel rapporto di empatia, quella capacità di creare in loro la sicurezza di potersi confrontare e fidare senza paura di giudizio, la certezza di trovare una figura valoriale in ogni momento della loro presenza a scuola, e soprattutto in armonia con le loro famiglie.
Prima i bambini piangevano il primo giorno di scuola e piangono seppure in maniera diversa l’ultimo giorno della quinta.
Per alcuni bambini è così, per altri no. Dipende anche dalla personalità dei piccoli , dipende da quello che vivono in famiglia, dagli esempi che la famiglia dà loro.
E’ vero che la società moderna non ha più maestri?
Non vorrei generalizzare, ma girandomi intorno penso che purtroppo sia così!
Cosa non dovrebbe mai fare una maestra con i bambini?
Vorrei fare prima una premessa: ogni maestra deve essere costantemente consapevole che nello svolgere questo lavoro, riveste un ruolo di altissima responsabilità per la società futura in quanto responsabile della crescita personale di individui. Cosa non dovrebbe mai fare una maestra è dimenticare di esserlo; quindi mai umiliare i bambini, mortificarli, non minacciare o ricattare, urlare, essere insofferente alle loro richieste, discriminare, non ascoltarli o peggio ancora ignorarli. La maestra deve usare un registro di voce che sia sempre rasserenante e inclusivo e mai respingente. I bambini sono molto attenti su questo aspetto della relazione, lo percepiscono subito e certe volte si chiudono in un mutismo/ apatia o diventano aggressivi e vengono “giudicati” e “valutati” per quello che effettivamente non sono.
La crisi delle famiglie moderne si riflette sui bambini. Quali segnali riesci a cogliere dal tuo osservatorio privilegiato?
La famiglia è l’espressione di questo nostro sistema sociale che è molto superficiale. Si va molto dietro l’immagine e poco verso quei bisogni primari di famiglia, di relazione, di comunicazione, come per esempio: il giocare con i bambini, dividere il tempo libero con loro. Li soffochiamo di giocattoli, di attività e certe volte rischiamo di perdere il vero senso del vivere insieme.
Che cos’è la felicità a scuola?
La felicità a scuola l’ho vissuta e la vivo nello sguardo corrisposto di un bambino, in quell’abbraccio forte di ogni mattina prima di entrare in classe, in quel sorriso prolungato nel tempo, in quella voglia gioiosa di venirsi incontro per stare insieme; nel ricordo reciproco che rimane della vita scolastica vissuta in modo sereno, le risate con i miei alunni quando studiamo seriamente. Nella mia vita personale la felicità è la mia famiglia, l’amore per la vita.
Siamo tutti compagni di viaggio. Come vivi il tuo rapporto con le colleghe della scuola?
Ho sempre avuto un rapporto leale con i miei colleghi, amo il confronto e la dialettica ma capisco anche che ognuno di noi risente di quello che è stato il proprio vissuto, il proprio passato e la propria educazione.
Cosa possono insegnare i bambini agli adulti?
Tantissimo. Più di quello che noi insegniamo a loro perché in loro c’è una energia pura e una capacità di osservazione libera da certi filtri e da certi condizionamenti che sono tipici dell’età adulta. I grandi spesso creano quelle maschere e quelle ipocrisie che è poi il modo per poter sopravvivere a questa vita fatta di contraddizioni, di false verità e di falsi valori.
Hai una maniera di disegnare speciale. Da chi hai appreso queste tecniche e l’uso specifico del colore?
L’arte è nata con me. In tutte le sue forme. Per me Arte significa comunicare con il mondo. Si comunica con il colore, con il disegno, con la musica con la danza, con le parole, oltre che con il linguaggio ed anche lì occorre saper comunicare. E’ un’espressione di quello che si è, di quello che si sente, di quello che si vive e come si vive con se stessi e con gli altri.
Il tuo rapporto con la musica. Suoni il piano da tempo e riesci ad improvvisare temi di raffinata bellezza. Da chi hai appreso questi contrappunti?
Credo che siano delle doti innate. Era così la mamma, erano musicisti alcuni miei cugini e zie. In famiglia si suonava, si cantava, si dipingeva. A casa abbiamo vissuto un’atmosfera artistica, ovunque mi girassi e con chiunque mi relazionassi a quell’età.
La musica e la bellezza salveranno il mondo?
Ovviamente si. Credo che sia l’unica speranza che ancora possa unire i popoli e farci esprimere nel migliore dei modi e conservare quello che dovrebbe rivendicare in quest’Umanità: l’amore per gli altri.
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
E’ la rilettura di un saggio molto ricco di spunti di una autrice brasiliana Carmen Balmaseda sul ruolo della donna e della sua rinascita. Il titolo del libro è: La donna di fronte a se stessa.
Secondo te c’è ancora competizione fra le donne nel secolo in cui viviamo?
C’è e ci sarà sempre.
E’ vero che le persone stanno diventando ogni giorno più cattive?
Credo di si. Si passa dall’apatia alla cattiveria. Rimangono molti problemi insoluti dovuti alla solitudine che vive ogni persona. Oggi si sta soli più di prima, non si comunica più. Ormai il telefono, il tablet e il computer sono diventati l’unico modo per relazionarsi. Non si scrive più una lettera, non si vede più un amico, non si incontra più una donna, un uomo. Tutto è diventato mediatico e virtuale. Siamo soli in mezzo alla folla! Mi viene anche da dire in mezzo alla follia!!!
Nelle case dei siciliani ci sono TV a 60 pollici e pochissimi libri. Come si può leggere questa tendenza?
Non c’è più la voglia e la cultura di leggere, di avere fra le mani un libro di sfogliarlo, di sentire l’odore della carta. Per me fin da ragazzina questo è stato un piacere unico. Compravo un libro nuovo, lo sfogliavo, segnavo con delle note alcune espressioni che mi interessavano parecchio. Il libro diventava una cosa tua personale, un tuo vissuto.
Più volte ti ho invitato a pubblicare gli splendidi lap book che hai realizzato per i bambini. Quando pensi di farlo?
Sono stati miei strumenti di lavoro e tuttora lo sono. Penso di farlo quando andrò in pensione, quando avrò più tempo e mi potrò dedicare meglio a tutto il resto che mi è sempre piaciuto fare.
Ti è capitato di avere in classe il figlio di una tua ex alunna?
Tante volte. I contatti rimangono per sempre con molti alunni e le loro famiglie. Alcuni miei alunni sono diventati politici, altri magistrati, altri invece me li sono visti venire incontro e riconoscermi mentre vendevano sale o frutta alla fermata dell’autobus o all’angolo dei semafori.
Qual è il regalo più bello che hai ricevuto da un bambino nella tua lunga carriere di maestra?
Sentirmi dire “Ti voglio bene”, ma anche l’abbraccio, l’aggancio visivo e tutte le letterine che ogni giorno mi mettono di nascosto dentro l’agenda e dentro la borsa. Poi quando arrivo a casa mi ritrovo tutti questi biglietti e bigliettini appallottolati, coloratissimi con i disegni di cuori, fiori e dediche molto affettuose e molto carine da parte dei bambini.
Perché certi genitori si scagliano contro le maestre come fossero le loro nemiche, sol perchè i loro figli sono stati rimproverati ?
E’ un discorso culturale moderno che vive la scuola. I genitori non riconoscono più nell’insegnante una figura valoriale per la crescita personale dei loro figli. Siamo diventati gli “spettatori” della crescita evolutiva dei loro figli, non più degli esempi e le loro figure di riferimento. Posso dire, per esperienza personale, che non per tutti è così. Con i genitori ho mantenuto sempre un ottimo rapporto ed anche se qualche volta è nato un confronto” forte “con il tempo si è risolto in maniera positiva.
Come si può spiegare tanta violenza contro le donne?
La donna deve ancora conquistare il vero ruolo nella società. Per certi aspetti la sua evoluzione intellettuale, sessuale, culturale è diventata un’involuzione. Alcune false verità e falsi disvalori sono diventati motivi pregnanti di lotta e di idee anche politiche. Ogni giorno leggiamo sui quotidiani quante donne vengono uccise dai loro uomini, anche minorenni…quante violenze, abusi, segregazioni, forme di schiavitù. La società è malata nella propria identità personale. C’è bisogno di una presa di coscienza generale sociale, una frenata morale, siamo arrivati a numeri esorbitanti di omicidi. Anche il Papa ha dato e continua a esprimere con il suo esempio la voglia di cambiare il modo di gestire positivamente il significato della vita, il suo valore e l’importanza di essere in questo mondo. Bisogna avere il coraggio di cambiare, per se e per gli altri.
Cosa si potrebbe fare per migliorare di fatto la scuola?
Non ho molta fiducia nella politica della scuola, non vedo un cielo sereno su questa prospettiva. Penso che tutto dipenderà dalla buona volontà, di quelle persone che vivono la scuola e credono ancora realmente nei valori per cui essa si costituisce come “comunità educante.”
La scuola bisognerebbe realizzarla anche fuori dalla scuola?
Ovviamente sì! Bisognerebbe uscire dalle classi, andare in campo per svolgere attività di ricerca e azione, visitare vari laboratori, conoscere i mestieri di una volta, visitare e vivere la città nei suoi vari aspetti culturali e antropologici che i bambini sconoscono. Senza rimanere “inchiodati “nei banchi per intere giornate. La scuola nelle quattro pareti della classe è quanto di più riduttivo si possa pensare. La scuola è tutto ciò che ci sta attorno è un’espressione del vivere politico e sociale, di conseguenza uscire fuori anche con visite guidate diventa una forma proficua di apprendimento. La lezione si può fare anche fuori dalla classe con altri strumenti sentendo altre voci.
Riusciremo un giorno ad avere un unico vestiario per i bambini della nostra scuola?
Sarebbe bello e proveremo a realizzare questo sogno il prossimo anno. E’ un modo per identificare, distinguersi e far capire che la scuola tiene a esporsi poiché la divisa fa comprendere che ognuno si riconosce in quella scuola e si sente di appartenere a quella realtà con orgoglio.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Godermi i nipotini che adesso hanno 5 e 3 anni, continuare a studiare che è una cosa che mi piace molto e dedicarmi ancora di più alla musica e alla pittura.
Giuseppe Maurizio Piscopo