Dal Vangelo secondo Luca
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
In questi giorni stiamo assistendo attoniti ad al ballo delle poltrone, operato da uomini assettati di potere, che si definiscono politici ma che non sanno minimamente ciò che è la politica, perché accecati dalla gloria passeggera, rimanendo saldamente ancorati al primo posto, causando gravi conseguenze alla collettività in maniera particolare a quelli che sono ai margini della società. Certamente tutto questo cozza con il Vangelo di questa domenica e ci accorgiamo quanto sia ipocrita definirsi cristiani. Lo scenario che Gesù presenta sembra richiamare uno stile che ci appartiene, la corsa al primo posto
Gesù che ama i pranzi e le cene, tanto che le male lingue lo chiamano mangione e bevone, (peccato che a quel tempo non esistevano gli aperi-cena) paragona il Regno di Dio ad un banchetto. Andare a cena con qualcuno o invitare a pranzo un amico diventa occasione per potersi relazionare, raccontarsi, fare festa.
C’è un problema la cena di Gesù è aperta a tutte le classi sociali, ad ogni uomo e donna che vuole beneficiare del suo invito. La generosità di Cristo rompe i muri, Egli ciò che fa lo fa perché ama, non si aspetta il contraccambio, non accoglie perché dietro ci sono i finanziamenti, non specula sui poveri per poter sistemare amici e parenti, non invita i pezzi grossi per avere raccomandazioni per se e per i suoi seguaci…
L’uomo cerca la propria gloria e perde di vista quella offerta e vissuta da Dio che sceglie l’ultimo posto… sceglie la croce. È il protagonismo che fa amare il primo posto. È il peccato di Adamo, che vuole occupare il posto di Dio, senza sapere che Dio è diverso, si china sull’uomo e lo serve, e desidera che noi facciamo lo stesso in memoria di Lui. Attenzione però, perché nell’impegno di carità potrebbe esserci un sottile sentimento di appagamento o la soddisfazione nell’aiutare, donare, elargire, rimanendo però a quel primo posto di colui che offre. I poveri non hanno bisogno di elemosina per poi tornare da dove sono venuti, mentre siamo noi ad avere la necessità di mangiare allo stesso piatto; abbiamo bisogno della comunione con loro, di imparare da loro la lezione del Vangelo. Nella Storia della Salvezza e nel Vangelo i poveri (gli anawim) sono i depositari del rapporto autentico con Dio; più che una dimensione sociale sono una categoria teologica, sono una Verità proprio perché priva di orpelli e sovrastrutture. Con gli ultimi è possibile recuperare il senso autentico della realtà per ripartire con entusiasmo e ritrovare la gioia della vita.
Il nostro modo di vivere la carità e la fede, a volte risulta errato, fuori dalla logica del Vangelo, vogliamo occupare il primo anche nell’abito ecclesiale, dove si dovrebbe esercitare il servizio alla maniera di Cristo. Vi ho già raccontato della signorina con il “carisma” di comandare, tipi con questo “carisma” sono nocivi alla comunità, alla fraternità, alla società, perché attraverso l’occupazione del primo posto distruggono intere realtà, scordandosi che chi si esalta prima o poi sarà umiliato.
Il sapersi donare, spendersi, avere uno sguardo alla realizzazione del bene comune, gratuitamente senza dopi fini ci permetterà di essere beati agli occhi di Dio.
Il paradosso è che proprio quelli che noi consideriamo scarto: poveri storpi ciechi zoppi, immigrati, che all’apparenza sembrano categorie di persone infelici, che possono solo contagiare tristezza; invece sono la motivazione principale del nostro essere beati. È nel saper servire l’uomo in ogni campo da quello politico a quello sociale ed ecclesiale, che si trova la gioia e la si trova nel volto degli altri, ogni volta che facciamo le cose non per interesse, ma per generosità.
Essere umili non è negare ciò che siamo realmente ma restituire a Dio i doni che ci ha fatto, è Lui l’autore di tutto non siamo strumenti che suonano la melodia dell’amore eterno.