di Enzo Siviero, Alessandro Stocco, Michele Culatti
La tragedia di Genova sembra aver gettato un’ombra sinistra su tutta l’opera di Riccardo Morandi. Corre l’obbligo quindi di ripristinare la verità su questo straordinario ingegnere che ha fatto grande l’Italia del secolo scorso. Quindi, accanto alla battaglia per la salvaguardia del monumento Polcevera, altri spunti possono nascere. Soprattutto la rivalutazione delle sue opere migliori. Ovvero una loro più efficace rivisitazione anche sul piano architettonico paesaggistico. È il caso di Agrigento dove la riabilitazione strutturale dell’intero viadotto potrebbe essere anche l’occasione per una sua inedita rilettura. Ad esempio realizzando un’ampia balconata sulla Valle dei Templi con una passerella ciclopedonale in fregio alla carreggia stradale. In tal modo lo stesso viadotto potrebbe fungere anche da “quinta scenografica” per lo sfondo per i visitatori dalla Valle stessa. Viene quindi presentata una proposta che potrà eventualmente servire come ulteriore spunto di riflessione e l’apertura del dibattito. Va da sé, infatti, che dopo ciò che è successo a Genova il 14/8/19 l’accoppiata Viadotto Morandi-Valle dei Templi potrebbe avere una risonanza mondiale di assoluto rilievo a beneficio di Agrigento, della Sicilia e dell’Italia tutta.
Il paesaggio
Per affrontare il tema del paesaggio nella Valle dei Templi è necessario inquadrare l’argomento secondo almeno quattro diverse prospettive: quella storica, riferita non solo al valore archeologico-documentale del sito ma anche alle vicissitudini di Agrigento e del suo intorno, oltre che del suo rapporto con i monti e con il mare; quella percettiva nel momento in cui si comprendono le caratteristiche dell’area dove, tra i pendii, il corpo, nel vettore-veicolo, si muove lungo dei percorsi prestabiliti (strade), mentre lo sguardo agisce su traiettorie libere; quella attrattiva, riferita alla capacità di essere luogo della socialità, della comunicazione, dell’antropologia; quella delle contraddizioni, in cui coesistono valori e disvalori in uno spazio ristretto.
Lasciando le prime tre prospettive ad approfondimenti rispettivamente storici, percettivi, antropologici, si propone una breve riflessione sulle contraddizioni a partire da un’immagine.
In questa immagine, la contraddizione estetico-percettiva è rilevabile non tanto utilizzando le categorie estetiche “bello-brutto”, quanto piuttosto secondo gli indicatori introdotti dalla “recente” normativa in materia di paesaggio (DPCM 12/12/2005) che sintetizzano il giudizio con “congruo” o “incongruo”, basato sul rilevamento di diversi livelli di alterazione del paesaggio di un’opera progettata.
Le infrastrutture per la mobilità in un paesaggio “naturale” o antropizzato ma con alto livello di naturalità, se non opportunamente inserite nel contesto paesaggistico, sono generalmente elementi che tendono ad alterare il paesaggio, rendendo l’opera incongrua.
Ma anche senza questa indicazione, che per il momento possiamo anche considerare come “preconcetto”, si può leggere l’immagine attraverso la rappresentazione degli elementi principali che la compongono: resti antichi, in primo piano, costituiscono l’emblema indiscusso del passato, valore, fragile, da conservare e tutelare; linea orizzontale sostenuta da pilastri, il viadotto che a scala vasta assume l’aspetto di un’opera dalle linee rigide, riconducibile ad un valore d’uso (linea per il trasporto di persone e merci); area montuosa con segni di antropizzazione sullo sfondo, in cui la dominante è la vegetazione, riconducibile al valore dell’abitare.
Ovviamente questo tipo di analisi vanno approfondite e condotte con adeguati studi d’intervisibilità, ma in questa chiave di lettura, e da questo punto di ripresa, l’elemento estraneo è certamente il viadotto che per forma, dimensioni e proporzioni sovrasta la fragilità del sito archeologico e taglia orizzontalmente la vista dello sfondo.
Tuttavia, oggi, il suo valore d’uso è altissimo, imprescindibile dalla comunicazione città-territorio, non solo, ne è richiesto un adeguamento funzionale, con l’aggiunta di una carreggiata.
Il ricorso ad una valutazione paesaggistica che, in questo caso, dovrebbe includere oltre all’analisi dei caratteri del paesaggio anche gli approfondimenti citati all’inizio, è tanto più necessaria poiché si tratta dell’integrazione di un’opera, già di per sé invasiva.
Una prima indicazione, per non aggiungere invasività, è il ricorso al principio della mitigazione ma introducendo anche criteri per l’ottimizzazione dell’esistente. Con i dovuti controlli formali, cromatici, materici, prospettici, in linea di principio e per il caso specifico, un’ipotesi da valutare è realizzare un’opera in affiancamento a quella esistente mantenendo i nuovi pilastri in corrispondenza di quelli vecchi e provando ad addolcire il prospetto con elementi inclinati tra pila e impalcato, in modo da conferire, con la lieve curvatura dell’impalcato esistente, la forma ad arco; un arco molto ribassato, ma che darebbe all’opera, nel suo complesso, una forma meno rigida, quando percepita a scala vasta.
Rendering della proposta