Giuseppe Maurizio Piscopo
Incontriamo Danila Patti una giovanissima ragazza favarese diplomata al Liceo Classico Empedocle con il massimo dei voti. Danila ha 20 anni parla due lingue straniere, inglese e tedesco, e studia presso la Scuola Superiore Normale di Pisa.
L’articolo scritto da Danila Patti nasce da un’iniziativa promossa all’interno di un think tank di nome Agenda, nato grazie ad alcuni studenti e giovani ricercatori della Scuola Normale Superiore e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, con la collaborazione dell’Istituto Treccani di Roma. Si tratta, per l’appunto, di un progetto che intende studiare i processi trasformativi delle democrazie moderne e dello spazio politico europeo (http://www.treccani.it/magazine/agenda/articoli/ questo è il link del sito Web).
Cosa ti manca a Pisa della tua Sicilia?
A Pisa manca relativamente poco della mia terra: il clima è altrettanto mite e il mare altrettanto vicino; ma la mancanza che più avverto stando qui è, ovviamente, quella degli affetti più cari e, specialmente, della mia famiglia. In compenso, però, la Normale è come un enorme caleidoscopio in cui si raccoglie gente da tutta Italia, di conseguenza lo status di “studente fuori sede” appartiene alla maggior parte di noi e, per questo motivo, è piuttosto semplice fare fronte comune e superare sporadici momenti di nostalgia.
Era nei tuoi sogni, nei tuoi progetti quello di studiare in un importante ateneo come quello di Pisa e di frequentare una scuola d’eccellenza come la Normale?
In realtà no, avevo le idee piuttosto chiare su cosa voler studiare dopo la maturità, ma non altrettanto chiare sul come e sul dove. La Scuola Normale era del tutto al di là dei miei progetti e delle mie aspettative; se adesso sono qui il merito è soprattutto di uno dei miei professori del liceo che mi ha proposto questa sfida e che mi ha sostenuto durante tutto il percorso di preparazione. Non smetterò mai di essergli grata.
Entriamo nel vivo dell’intervista. Qual è la tua idea dello stato?
La mia idea di Stato rispecchia banalmente la concezione classica, canonica di questa entità. Lo Stato è quella istituzione che detiene il monopolio della forza; per riprendere le parole di Max Weber lo Stato è «un’impresa istituzionale di carattere politico in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione della forza legittima in vista dell’attuazione degli ordinamenti». L’attribuzione di qualsiasi altra prerogativa è pur sempre secondaria rispetto a questa definizione che, secondo me, coglie l’essenza dell’istituzione statale
Quanto lo stato si deve fare carico dell’individuo?
Non esiste una risposta univoca a questa domanda. Dipende sempre da quale dei due aspetti si vuole privilegiare: l’eguaglianza delle condizioni materiali o la libertà degli individui; dal momento che, come è stato assodato storicamente, il tentativo di realizzare l’eguaglianza delle condizioni ha comportato, inevitabilmente, un incremento della coercizione esercitata dallo Stato, io propendo per la salvaguardia della libertà individuale che ritengo essere intrinseca alla stessa natura umana.
Qual è il confine dello stato?
Ancora una volta è praticamente impossibile rispondere con una definizione incontrovertibile. Per quella che è la mia ancora immatura opinione, le prerogative dello Stato devono avere come unico obiettivo la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo prediligendo il rispetto e la salvaguardia dell’iniziativa privata in opposizione a ogni tentativo di dirigismo statale.
In Sicilia esiste lo stato?
In Sicilia il sinonimo di Stato è assistenzialismo. Lo Stato, con tutti i suoi organismi, è concepito dalla maggior parte di noi siciliani come un grande padre cui rivolgersi per veder realizzati tutti i presunti diritti, compreso quello al lavoro, e da cui spesso ci si sente traditi. Siamo, per lo più, assorbiti in un’ottica paternalistica dello Stato conferendogli, per tale ragione, prerogative che non fanno che lievitare il suo potere e incrementare le sue spese.
Nel tuo splendido articolo hai citato Alexis de Tocqueville, uno degli storici e studiosi più importanti del pensiero liberale.Perché?
In realtà l’interesse per Tocqueville è nato grazie ad un corso in Normale che lo scorso anno ho avuto il piacere e l’onore di frequentare, oltre che alla vicinanza con persone che si stanno occupando del pensatore liberale francese con molta più alacrità e interesse di me. Questi due fattori mi hanno condotta a rivalutare un Autore che, quasi sempre, si tende a trascurare.
Cosa pensi dei suoi testi: La democrazia in America e L’antico regime e la rivoluzione?
Sono due dei testi più rappresentativi del pensiero di Tocqueville. Sebbene le indagini affrontate nelle due opere siano condotte con una metodologia radicalmente diversa – più sociologica nella Democrazia, più storica nel l’Antico Regime e la Rivoluzione – si possono, comunque, rintracciare nei due testi delle costanti del pensiero tocquevialliano quali, ad esempio, l’amore per lo spirito di libertà, il disprezzo per qualsiasi accentramento amministrativo e la consapevolezza dell’ineluttabilità del processo di democratizzazione.
È ancora attuale il pensiero di Tocqueville ai giorni nostri?
Secondo me sì. Siamo in un’epoca di discussione e ridefinizione delle democrazie liberali e un Autore, che si proponeva di fornire una «nuova scienza politica» per l’imminente democrazia che si stava instaurando, può si risultare quanto mai utile, oltre che attuale.
Perché il concetto di uguaglianza si allontana sempre di più nella società contemporanea?
Secondo me, il concetto di eguaglianza non si allontana affatto dalla nostra società; anzi, il tema dell’eguaglianza delle condizioni sembra essere lo spauracchio di qualsiasi partito politico, indipendentemente dalle conseguenze che ciò comporta. Ciò che manca ai nostri giorni non è il peana dell’eguaglianza, ma l’elogio della libertà per la libertà.
Secondo te la Francia in tema di diritti è sempre più avanti rispetto al mondo?
Di certo nel 1789, allo scoppio della Rivoluzione, la Francia non era più avanti rispetto a nessuno. Si era appena conclusa la Rivoluzione Americana che con la Dichiarazione d’Indipendenza sancisce i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. La Rivoluzione francese fu, semmai, l’epilogo sanguinoso di un processo di emancipazione umana avviatosi già molto tempo prima.
Quanto c’è di vero in questa espressione: “La sola saggezza è nello stato”…
Nel solco di quanto detto finora, non credo che questa espressione abbia qualcosa di vero. Banalmente, non sono disposta a credere che un’istituzione interamente costruita da uomini e che si sostanzia della ragione stessa degli uomini, possa riuscire a sussumere le intelligenze e le virtù individuali cancellando ogni vizio iscritto nella natura umana.
Che cos’è il benessere sociale?
Il benessere sociale è la somma del benessere dei vari individui, non un’essenza metafisica da realizzare.
E della giustizia sociale cosa pensi?
Credo sia un concetto estremamente astratto che significa tutto e non significa niente, implica infatti che esista una nozione di giusto universalmente riconosciuta, il che, considerando la specificità degli individui, mi pare assai improbabile.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
È ancora presto per dirlo. L’unico progetto che ho al momento è quello di studiare, poi si vedrà.