Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Leggendo questo brano che parla di sale e luce ho pensato a Giulia. Giulia era una ragazza luminosa e bella, che portava luce e dava sapore ad ogni cosa che faceva: in parrocchia si occupava dei giovani, di teatro, era una leader naturale. Ad un certo punto a causa di diverse delusioni sentimentali e una serie di problemi familiari, insieme alla fatica di crescere un figlio da sola, decide di abbandonare tutto, amici, parrocchia, teatro per dedicarsi a se stessa. Si chiuse a riccio, non fu più capace di dare senso alla sua vita, pian piano si spense la luce che aveva negli occhi, la sua esistenza divenne insipida nonostante il tempo dedicato esclusivamente al divertimento ai viaggi e nuovi “amori”. Non è stata capace come il sale di perdersi dentro le pietanze per continuare a dare sapore. Non è stata capace di avere l’umiltà che ha la luce e il sale: perdersi dentro le cose che riempiono e danno sostanza. Molto utile è il consiglio che ci dà il profeta Isaia: “Illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirai”. (Isaia 58,8)
Spesso tutti noi a causa di situazioni anche molto pesanti, preferiamo rimanere curvi sulle nostre storie, sulle nostre sconfitte a leccarci le ferite, piuttosto che occuparci di tutto ciò che ci circonda che ci coinvolge. Chi guarda solo a se stesso non si illumina mai, è come un bellissima sala da pranzo con gli infissi sbarrati.
Ciò che illumina la nostra esistenza e le dà sapore è l’ascolto attento della Parola di Dio. È Gesù stesso che da luce e sapore alla nostra vita. Essere discepoli di Cristo significa saper osare, essere trasparenza di Dio, diventare pescatori di umanità iniziando con l’accettazione dei nostri limiti, dei nostri fallimenti. Chi decide di non scommettersi per l’altro nascondendosi nell’ombra, diventa sale senza sapore, si auto condanna a vivere una vita insipida. Se non diamo sapore alla nostra vita, se la nostra presenza di cristiani non rende sapida la vita degli altri, significa che non abbiamo mai veramente incontrato Cristo. Se non ci facciamo luce è perché non siamo ancora stato accesi dal quel fuoco che tutto cambia e tutto trasforma. E l’unico che può accenderci è Cristo Signore.
La tentazione che accomuna tantissimi di noi è non sentirsi capaci, di sentirci addosso troppi difetti, troppi limiti, di non farcela, di non essere in grado di dare qualcosa… troppa paura, troppa poca fede!
Il Signore invece ci invita ad alzarci, a risorgere, a vincere le paure. Siamo scelti proprio perché siamo feriti, perché abbiamo sperimentato sulla nostra pelle ciò che provano o proveranno tantissimi fratelli o sorelle lungo il cammino della vita. Il Signore ci sceglie proprio per le nostre ferite, per i nostri errori, sta a noi accogliere e vivere in novità di vita, per portare agli altri che magari vivono situazioni peggiori delle nostre, un Dio che si dona nella quotidianità che è formata da insuccessi, ma anche da successi e il primo successo o spettacolo agli occhi di Dio siamo noi.
È il Signore stesso che ci indica il percorso da seguire, il modo concreto di restare sale, di brillare della luce di Dio, e lo fa tramite il profeta Isaia: “Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”.
Questo significa che dobbiamo vivere nella giustizia, senza compromessi. Coerenti senza diventare fanatici, misericordiosi, non intransigenti. Ed evitare di giudicare e di vivere schiavi del giudizio altrui. Essere luce per chi ha fame non solo di pane ma di giustizia, non usare un linguaggio che genera violenza, saper usare i social per dare vero sapore a vite tristi e spesso arrabbiate e spente, che si nascondono all’ombra di un computer scaricando sulla tastiera le proprie insoddisfazioni e frustrazioni. A tutti possiamo dare sapore, a tutti possiamo indicare una strada, un percorso. Perché noi per primi lo abbiamo ricevuto.
Se il sale perde sapore, se la luce è messa sotto a un tavolo, a che cosa servono? A nulla. Così noi, se perdiamo il Vangelo, se smussiamo la Parola strappando le pagine che parlano di amore incondizionato verso lo straniero, l’ammalato, il carcerato e l’emarginato, riducendo tutto ad uno zuccherino, se abbiamo occhi senza luce, parole senza bruciore di sale, allora corriamo il rischio mortale dell’insignificanza, di non significare più nulla per nessuno. In poche parole abbiamo sabotato il Vangelo.
La luce non illumina se stessa, il sale non serve a se stesso. Così ogni credente deve ripetere la prima lezione delle cose: a partire da me, ma non per me. Una religione che serva solo a salvarsi l’anima non è quella del Vangelo. Il fine è la Gloria del Padre che si manifesta all’umanità per mezzo delle opere buone che l’uomo stesso compie buone. Opere di Dio realizzate da noi e che devono destare stupore e meraviglia in chi le riceve. È Gesù stesso che affida ad ognuno di noi battezzati una missione, e lo fa attraverso il discorso della montagna, le Beatitudini.
Credo che sia davvero opportuno chiederci come viviamo il Vangelo. Papa Francesco nell’ Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, dice che “I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma «per attrazione” (EG 14).
Seguire Gesù, è accogliere come reale possibilità di vita le beatitudini, interessarsi dell’altro non accolto, sfruttato, violentato, sotto pagato, disoccupato in modo da non relegare la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini” (Cfr EG 183) ma per fare tutto ciò il cristiano deve dare molto spazio alla Parola di Dio, alla vita sacramentale e alla preghiera personale.
Stare inginocchiati tra i banchi di una chiesa o chiusi in una sagrestia a fare progetti pastorali serve a poco se poi non portiamo luce nei contesti dove ci sono soprusi, discriminazioni, ingiustizie, mafia e tutto ciò che impedisce l’uomo di risorgere a vita nuova. Questo è il compito della Chiesa, di ogni battezzato. Sta a noi se essere uomini e donne che alla maniera di Paolo sanno di non sapere altro se non Gesù Cristo, e Cristo Crocifisso per testimoniarlo con coraggio, lo stesso che Gesù stesso ci insegna dall’alto di quella croce, oppure possiamo chiuderci nella paura e nell’egoismo seguendo chi vuole spegnerci la luce della gioa e della speranza… a noi la scelta