Giuseppe Maurizio Piscopo
San Gisippuzzu ca ncelu siti,
binidiciti lu me paisi.
San Gisippuzzu e lu bambinu,
cu l’aranci nu iardinu,
binidiciti sta minestra,
ca pi li poviri è na gran festa.
Quando in paese si cucinava la minestra per strada mi commuovevo. E mi commuovo ancora. Avrei voluto stare a tavola con Maria e San Giuseppe, al posto del bambino, per rappresentare la Sacra Famiglia.
La festa ai miei occhi iniziava nell’istante in cui veniva addobbata la tavola. Sono emozioni dell’infanzia che rimangono tracciati nel cuore e viaggiano nei ricordi di ogni siciliano.
Quando le persone mangiano e pregano per strada raccontano cento anni di storia.
E’ l‘immagine di una forza straordinaria, la ricchezza vera, quella che proviene dalle Sacre Scritture: un piatto povero da dividere con gli altri che sono tuoi fratelli e non tuoi nemici. La minestra ha un sapore antico, il sapore della brevità della vita, dell’amicizia, della fratellanza e della solidarietà.
Perché viene ancora cucinata la minestra di San Giuseppe?
Le risposte sono tante: per devozione, per una promessa, per fede, per un miracolo, per la guarigione di una malattia, per la nascita di un bambino. Le donne certe volte rischiano molto per dare alla luce un figlio, vorrei ricordarlo gli uomini violenti e ingenerosi con le donne, che hanno dato loro la vita per metterli al mondo al rischio della propria… Il “callaruni” di rame può contenere 22 chili di pasta di tutti i tipi: maccheroni, spaghetti, ditalini, raccolta in tutti i quartieri del paese, casa per casa, da chi ha fatto la promessa. Il “callaruni” conserva mille e più segreti, preghiere silenziose dirette a Dio, ai Santi, suppliche fuori dalla chiesa, sorrisi, pianti, emozioni di tante generazioni. Con la minestra rivive la tradizione, la fede, la devozione, il folklore per le strade di Favara che vengono chiuse al traffico e coinvolgono moltissime persone. Sono centinaia e si spostano dai loro quartieri con tutta la famiglia come se andassero ad una festa.
Ovunque campeggia il quadro miracoloso del Santo che sorveglia e protegge giorno e notte Favara dall’alto. Un prete benedice la minestra e ricorda Gesù in un suo verso: “Lasciate che i bambini e i poveri vengano a me a loro appartiene il Regno dei cieli”. In Piazza Cavour per la festa di San Giuseppe, alcuni anni fa ho visto una tavolata con i personaggi che rappresentavano i 12 Apostoli. Sembrava un dipinto di Guido Reni.
La tavola era apparecchiata con preziosi merletti, lenzuoli e immagini del Santo. I pupi di San Giuseppe, i pani dalle forme particolari plasmati per rappresentare gli oggetti quotidiani del Santo Falegname. E poi pasta con sarde, finocchi, salsicce, salami, formaggi, broccoli, cardi, verdure fritte, cannoli, cassate, pignolate, bocconcini e babà ripieni. La tavola era arricchita di finocchi e lattughe e trovavano posto tutte le pietanze tradizionali: caponate, frittate, polpette di pesce e tanti dolci. In genere i piatti erano tanti, forse un centinaio e al centro della mensa c’era un altro tavolo decorato con porcellane, cristalli e argento. I devoti pregavano e cantavano le novene a San Giuseppe. Al centro sedevano San Giuseppe, Gesù bambino, la Madonna accompagnati da San Gioacchino e Sant’Anna. In un libro ingiallito e dimenticato in una vecchia cassapanca ho letto che ci sono 13 piatti dedicati a San Giuseppe, così come 13 sono i Santi che proteggono i bambini.
Questa tradizione della minestra è ancora viva a Favara e in molti altri paesi della Sicilia. Ci si lavora per molti mesi e si rinnova ogni 19 di Marzo fino a Settembre.
Dedico questa breve memoria alla mia Comunità che ha vissuto momenti dolorosi e li ha affrontati con grande dignità. Favara rimane sempre un paese generoso che crede nelle tradizioni e nei valori veri della vita.
Foto concesse da Salvatore Urso, Gerlando Cilona, Lillo Pullara.