Giuseppe Maurizio Piscopo
Quando Gerlando Cilona mi ha inviato le risposte di questa intervista mi ha messo in crisi. Ho ricevuto un libro che ho salvato per il futuro. E’ un viaggio nella letteratura e nella storia con curiosità inedite mai raccontate da altri scrittori.
Gerlando Cilona è nato nel 1945 a Favara dove vive. Laureatosi in Materie letterarie presso l’Università di Palermo ha insegnato negli Istituti superiori per diversi anni a Torino.
Numerose le opere dell’Autore: “I papaveri del mio paese”, “Oltre l’Amore”, “Favara nel Tempo” Vol. 1 e 2, “Uomini di Favara”, “Storie senza Storia-caduti favaresi nella Grande Guerra”, Luigi Pirandello -I Vecchi e i Giovani:
É stato corrispondente sportivo della RAI, dell’Amico del Popolo, Direttore di Radio Favara 101. Presidente del Centro Studi “Giuseppe Lauricella”.
Tu conosci bene Favara e le sue mille curiosità e sei molto attaccato alla tua città.
Non si può non amare il paese dove sei nato, cresciuto e ha radici la famiglia. Si stabilisce un legame affettuoso, indissolubile con l’ambiente dal quale si trae origine e che è difficile sradicare dal cuore e dalla mente. Tutto questo, comunque, non permette di avere una conoscenza completa e chiara di Favara, dove persiste l’essenza dell’essere: “Uno, Nessuno, Centomila”.
É un paese difficile, complesso, dai mille volti sempre diversi.
Quando nasce la passione per le tradizioni e soprattutto per la Storia?
Dal liceo. Quando ho preso coscienza che il libro di lettura del passato è il folklore, dove si ampliano sentimenti e miti, dove proverbi, giuochi e feste rendono la vita una romanzata nella quale la cultura umana vi penetra a piene mani. Il mio amore per la Storia si è fatto più consistente all’Università dove, grazie al prof. Giuseppe Carlo Marino, ho potuto acquisire la mentalità di ricerca basata sulla libertà critica di pensiero ed equilibrio di analisi, senza partigianeria e faziosità sui fatti realmente accaduti. La ricostruzione storica si fa non con la fantasia o il sentito dire ma con documenti e fatti accaduti.
Non succede spesso che i figli scrivano un libro insieme al padre. Puoi descrivere tua figlia ?
Ho voluto coinvolgere mia figlia Elisa che ha una personalità poliedrica. E’ creativa, intraprendente, appassionata di letture di autori moderni e non. Amante dell’arte e dei lavori artigianali crea originali monili che lei stessa indossa.
Ha organizzato la manifestazione “Natale al Castello”, e la “Festa della donna” presso il maniero chiaramontano, sposando il tema delle pari opportunità e beneficenza. Per quest’ultima iniziativa ha coinvolto l’associazione “San Vincenzo” di Favara per aiutare i più piccoli che restano ai margini e sono dimenticati.
Quale messaggio ha lasciato il vescovo Bernardino Re nella storia di Favara?
Bernardino Re è stato vescovo di Lipari per quasi 35 anni e prima aveva girato per molto tempo il mondo come missionario. Il vescovo non è conosciuto adeguatamente a Favara. Non ha inciso sulla sua storia, ma certamente su quella della chiesa e delle isole Eolie. Di mons. Bernardino Re restano le regole e i precetti per “migliorare il livello religioso e dottrinale” dei devoti: laici e clericali.
A che cosa si indirizza la tua ricerca?
La mia ricerca storica si indirizza su personaggi poco conosciuti
con un’attenta ricerca nelle piccole e sperdute biblioteche dei paesini, negli archivi storici abbandonati, nei diari privati ricoperti magari da una montagna di polvere. Grazie alle mie ricerche, si è scoperto e rivalutato Calogero Marrone, eroe civile della 2a guerra mondiale; il vice-questore Carmelo Cacioppo, funzionario di P.S. che è stato un protagonista nella storia d’Italia; Giuseppe Sirtori, un patriota che dall’aspersorio è passato ai campi di battaglia per realizzare l’Unità d’Italia; il ten. col. Giuseppe Stuto, pluridecorato che era quasi riuscito a frenare la disfatta di Caporetto; Anna Franzese Pirrera, profuga istriana ; etc.
Qual è il migliore pregio dei favaresi e il peggiore difetto?
Di certo i favaresi sono prodigiosi, ansiosi e immediati; sono individualisti e con un modesto senso della comunità. Sono creativi, indolenti, furbi, amanti del pettegolezzo, curiosi di conoscere la maldicenza dell’ultima diceria, rispettosi nei confronti degli amici. La maggior parte dei favaresi ha una visione della vita tragica e rassegnata; prova soddisfazione per la generosità sbandierata.
I favaresi sono laboriosi, tranquilli, disponibili e fedeli alla parola data. Cordialità e ospitalità sono le caratteristiche più conosciute. Dalla politica e dai politicanti si aspettano tutto, ma non controllano mai l’operato dei governanti, delegando altri ad interessarsi delle loro questioni. Senza le quasi seimila pensioni, oggi il paese vivrebbe nella miseria. La condizione sociale è espressa dal possesso di un’auto lussuosa e di grossa cilindrata, sempre di ultimo modello. La “spirtitudine” del favarese emerge quando con l’auto si ferma al centro della carreggiata stradale. Come in un salotto si mette a discutere tranquillamente, senza curarsi di nulla. E nel parcheggiare, comunque, che il favarese dimostra le sue capacità: ovunque e dovunque! Il favarese si aspetta dagli altri comprensione e tolleranza, ma non è disposto a darne: dopo avere costruito abusivamente non vuole che altri accanto alla sua abitazione abusiva o dirimpetto, possono farlo, adombrandosi perché gli si impedisce la “visuale”. Il favarese entra, in maniera unilaterale, perfino in contatto con Dio e i Santi: “Se mi fai la grazia ti faccio dire una messa al mese”; oppure se riuscirò a conseguire il diploma o la laurea o la guarigione ovvero un posto di lavoro “mi fazzu ‘nginucchiuni fino a …”
Che cosa pensi dello scrittore Antonio Russello? Perché dopo “La luna si mangia i morti” non si è affermato in campo nazionale e internazionale?
Ho conosciuto personalmente Antonio Russello. Tra noi si era instaurata un’amicizia sincera e schietta. Le sue opere migliori restano nel cassetto ancora da pubblicare. Dopo il successo del romanzo “La luna si mangia i morti”, edito da Mondadori, sotto il battesimo di Elio Vittorini, la notorietà, purtroppo, è venuta meno.La spiegazione l’ho chiesta proprio ad Antonio al quale espressi naturalmente la mia opinione. Antonio mi rispose che al silenzio aveva contribuito Leonardo Sciascia. Questi, secondo lo scrittore favarese, dopo avergli espresso una certa stima ed un sicuro successo, prese le distanze, senza un valido motivo, temendo, forse di essergli un letterato concorrenziale proveniente dalla stessa provincia. La sua voce nel parlarne non nascondeva una certa amarezza e come un fiume in piena mi aggiungeva che le bozze che aveva inviato alla casa editrice, nella quale Sciascia era l’esperto della valutazione per le pubblicazioni, non vennero prese in considerazione né restituite. Di parere opposto è il prof. Gaspare Agnello. Questi, appassionato sostenitore di entrambi gli scrittori, mi diceva che non era vero quanto sosteneva Antonio e che Leonardo Sciascia aveva tentato di dargli dei consigli, mettendo in evidenza le sue considerazioni.
Cosa non è stato ancora raccontato del barone Mendola?
Che è stato sfortunato in vita e in morte: ebbe difficili rapporti con la moglie, con la figlia e il genero; si sono perduti il materiale scientifico sull’enciclopedica compilazione del trattato sull’Ampelografia italica che si preparava a completare nonché diversi gabinetti: fotografico, meteorologico…
In vita subì l’amarezza di vedere il “Loculus popularis sapientiae” non essere frequentato dai favaresi e perfino rifiutato dal Governo al quale l’aveva offerto. Necessita raccontare che tutto il bene che ha dato alla popolazione non è stato ricambiato. Lo ricaviamo da alcuni episodi: il suo corpo giace nel cortile fuori della chiesa dell’Orfanotrofio che aveva fatto costruire; il suo mezzo busto di bronzo di piazza Cavour è stato rubato (per generosità di un mio amico e per la mia collaborazione si è potuto rimediare con la creazione di un nuovo mezzobusto, il cui calco è stato preso da quello di marmo del sarcofago); la scuola media che porta il suo nome è stata dichiarata inagibile e perciò chiusa; la torretta originaria posta accanto alla sua abitazione è stata demolita; dal museo situato sopra la biblioteca comunale mancano alcuni cimeli; il Boccone del Povero destinato ad accogliere vecchi inabili e fanciulle povere non funziona più. Si può essere più sfortunato di così!
Luigi Pirandello e Favara…
Nella novella “Lo storno e l’angelo centuno” Pirandello descrive Favara come un centro malfamato, “dei senza pietà”, ricettacolo di spietati assassini che “ammazzano un uomo come una mosca” o sparano per “provare se la carabina era ben parata” oppure “dopo avere fatto montare sul carretto un ragazzino di 12 anni incontrato di notte lungo lo stradone, lo aveva ucciso nel sonno perché aveva inteso che gli sonavano in tasca tre soldi; lo aveva sgozzato come un agnello per comprarsi il tabacco; aveva buttato il cadaverino dietro la siepe, e arrì”.
Pirandello ne “I vecchi e i Giovani”, mescolando fantasia e realtà, fa morire uno dei protagonisti: Mauro Mortara a Favara. Secondo lo scrittore, si stava verificando una sommossa inaudita, con morti e feriti: “Nonostante la proclamazione dello stato d’assedio, alla Favara, tutti i soci del Fascio disciolto, nelle prime ore della sera, s’erano dati convegno nella piazza e avevano assaltato e incendiato il municipio, il casino dei nobili, i casotti del dazio, e che gli incendi e la sommossa ancora durava e già c’erano parecchi morti e feriti.La piazza parve agli occhi dei soldati come trattenuta dal peso di cinque corpi inerti, sparsi qua e là.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Continuare a scrivere e a pubblicare altri libri. Alcuni sono già pronti nel cassetto. Spesso mi sento dire: “Posso avere il piacere di leggere il tuo libro?”. Tradotto in termini più semplici significa “Mi puoi regalare il libro?”. Solo la passione e l’amore per il paese mi spinge ancora a farlo. Favara ha molti aspetti positivi da offrire; non è possibile che venga alla ribalta e sbattuta in prima pagina solo per avvenimenti criminosi.