Giuseppe Maurizio Piscopo
Di vintinovi semu iunti a trenta e comu finisci la cosa si cunta”.
SI CUNTA…
A Favara il gioco del lotto ha avuto sempre un grande fascino. Molti proverbi, modi di dire, cose oscene, le ho apprese al botteghino da bambino. Certe volte le vecchiette chiedevano a mio padre di farmi allontanare, perché dovevano raccontare un sogno.
Io facevo finta di uscire, indugiavo, dicevo che avevo sete, tutti pretesti per ascoltare quelle strane storie. “Stanotti mi sunnavu u Signiruzzu a cavaddru di na mula ca si sciarriava cu un parrinu tintu e ci dicia, ca la fimmina maritata ca havi lu maritu luntanu, n’un si s’quieta, ca si lu veni a sapiri, finisci a scupittati. E poi u parrinu avi a fari u parrinu ed è maritatu cu a chiesa”.
Mio padre ascoltava con pazienza come un confessore tutte le storie favaresi, storie intriganti e ingarbugliate. Certe volte consultava l’antico libro della smorfia, altre volte non c’era bisogno, infatti ricordava a memoria il significato dei 90 numeri. Anch’io li conosco ancora e so smorfiare i sogni.
Il venerdì Santo del 1951 a mezzogiorno Gesù venne posto in croce da due preti al Calvario. La croce di legno era molto vecchia e sotto il peso della statua e dei preti che erano saliti sulle scale per appendere il crocefisso, cedette e si spezzò in due. I preti precipitarono a terra con la statua. Le persone gridavano e piangevano spaventatissime.
Dopo un primo momento di sconforto cercarono di soccorrere i religiosi. Per molti quello sembrò un sinistro presagio, una maledizione, un castigo divino sul paese. Non vi dico la fila di persone che si precipitò al botteghino di via Umberto, dove lavorava mio padre. I numeri che vennero fuori furono: 31-47-90. Molti giocarono il terno, ma in tanti alle 13 rimasero delusi per la chiusura del botteghino. Quel sabato i numeri uscirono e si gridò al miracolo. Ma a poco poco i giocatori restituirono la vincita. Certe volte a causa della folla, quando a Favara succedevano gravi fatti di sangue al botteghino dovevano intervenire i carabinieri che non sapevano dove spartirsi prima, fra il gioco e le cose serie della vita. I favaresi in passato hanno vissuto questa curiosa “malattia” del gioco del lotto.
Nei botteghini si gesticolava, si gridava e quando si perdeva una grossa somma si bestemmiava. Ogni tanto in paese passava qualche matto che prometteva vincite straordinarie per tutti e dava un terno da giocare che puntualmente non usciva. Si racconta: che in passato a Favara i poveri per giocare al lotto vendettero vestiti e scarpe.