Oggi, 21 luglio, ricorre il settantesimo anniversario della dipartita di Mons. Filippo Iacolino, illustre figlio di Favara nonché della Chiesa agrigentina e Pastore della Chiesa Trapanese.
In questa ricorrenza è doveroso rendere memoria a Mons Iacolino, autentico testimone di Fede, per far sì che ancora, dopo 70 anni, egli possa continuare ad offrire un insegnamento di vita.
Gerlando Lentini, nel libro che ha dedicato a questa straordinaria figura, scrive: ” personalità di primo piano non fu mai visto in prima fila” ; e Monsignor Montenegro, nell’introduzione, sottolinea: “Mons. Iacolino non si è distinto per particolari strategie… non ha usato furbizie umane. Le sue doti sono state: il Vangelo, l’umiltà, il dono di sé. La sua vita è stata segnata da prove terribili… eppure emerge un profilo di uomo credente che non si è mai arreso… e non ha mai ceduto un solo centimetro allo scoraggiamento”.
Uomo forte, prete umile, vescovo eroico, grande riformatore, fu una persona esigente con gli altri ma, soprattutto, con se stesso. Uomo dotato di grandi capacità e virtù tra le quali spiccava una sconfinata umiltà, “si nascondeva agli occhi degli altri per umiltà profonda”.
Fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Agrigento dal vescovo Mons. Bartolomeo Lagumina nel 1922, l’anno successivo gli fu affidata la rettoria, oggi Parrocchia, della chiesa di San Vito in Favara dove, rimanendo fino al 1930, dimostro’ le sue qualità di “intrepido soldato di Cristo”.
Apporto’ le riparazioni necessarie e doto’ la Chiesa del campanile a base rettangolare, delle campane e di un altare di marmo, quello delle Anime Sante. La Chiesa di San Vito, che era quasi un deserto, divenne, grazie a Mons. Iacolino, un centro vivo di spiritualità.
Durante la sua permanenza a Favara formò all’apostolato e alla carità una schiera numerosa di giovani presso l’Oratorio e come assistente spirituale del circolo giovanile cattolico “Alessandro Manzoni”. Oltre che assistente diocesano della Gioventù Maschile di Azione Cattolica, lo fu, poi, anche di quella Femminile e fu, anche, Delegato vescovile dell’ A.C.
Diede concretezza all’ idea della filodrammatica occupandosi personalmente della preparazione degli attori e prediligendo per sé la buca di suggeritore. Fu l’animatore dell’Opera Vincenziana inaugurata il 14 settembre 1928, festa dell’Esaltazione della Croce. In mezzo ai giovani si trovava a suo agio e i giovani lo compresero e lo seguirono affascinati dalla sua personalità tanto da divenire – afferma Lentini nel libro – il don Bosco di Favara”.
Ricordo quegli anni – scrive altresì il sac. Giuseppe Urso – come la “primavera Evangelica di Favara”.
“Come lievito in mezzo alla farina – scrive Lentini- si tenne sempre nascosto, ricco di operosa umiltà; e questo atteggiamento, che non ebbe nulla di ostentazione, fu la prerogativa per eccellenza della sua vita… rifuggiva dalle distinzioni, dai primi posti, dalle onorificenze, da tutto ciò che potesse mettere in vista la sua persona… poiché egli aveva sete di anime e non di distinzioni”.
Fu professore, poi Maestro di Spirito e, indi, Rettore (1935-1947) del Seminario di Agrigento.
Il 10 novembre 1947 fu eletto vescovo di Trapani, fu consacrato Vescovo nella cattedrale di Agrigento da Mons. G. B. Peruzzo, fece il suo solenne ingresso in Diocesi il 18 gennaio 1948. Dopo poco più di 2 anni, il 21 luglio 1950, la Diocesi rimaneva orfana di quel Vescovo, vero uomo di Dio, che aveva saputo trasmettere, in pochissimo tempo, col suo insegnamento e la sua testimonianza di vita, un amore totale per la Chiesa. Compì una straordinaria opera di rinnovamento e di risanamento fece costruire Sette Chiese, costituì 19 parrocchie rurali, fece ricostruire il Seminario e il Palazzo Vescovile, distrutti dalla guerra (alla quale aveva partecipato soffrendo anche la prigionia). Ottenne dalla Santa Sede l’ampliamento della Diocesi con l’aggregazione dei Comuni di: Alcamo, Castellammare e Calatafimi. Preoccupato che i chierici non avessero un posto per la villeggiatura, nell’ estate del 1950 adatto’, a Seminario estivo, la casa Canonica di Ummari di cui seminaristi presero possesso proprio il 21 luglio, giorno in cui egli moriva.
In soli due anni e mezzo riuscì, dunque, a realizzare una mole tale di opere da richiedere almeno un decennio.
Don Musso, suo segretario particolare, afferma: ” rifuggiva dalle distinzioni dalle cariche dagli onori. Era vescovo e si stimava sempre l’ultimo dei sacerdoti…umile non solo nel contegno esterno, ma anche nel concetto che aveva di se stesso. Soffriva quando gli si rivolgeva qualche lode… Alla grande umiltà accostava un grande spirito di sacrificio, mortificandosi in tutto… ”
Nel 1949, ad inizio della Peregrinatio Mariae in ogni angolo della diocesi, offri’ con Fede la propria vita quale vittima dei peccati del suo popolo. Rinnovò l’olocausto della vita alla fine della Peregrinatio della statua della Madonna di Fatima, il giorno dell’Immacolata, nella Basilica Santuario di Maria SS. di Trapani. Appena alcuni giorni dopo ebbero inizio le terribili sofferenze dovute ad un neoplasma addominale, di cui mai si lamentò, offrendo i suoi dolori come espiazione dei peccati del mondo.
Concluse i suoi giorni presso il Sanatorio Buccheri-La Ferla di Palermo, assistito amorevolmente dal nipote Melchiorre Iacolino, figlio del fratello Antonio.
Fu portato a Trapani per essere seppellito nella Cappella dei Sacerdoti al cimitero ma, poi nel gennaio del 1952, la salma fu esumata ed il Vescovo, accompagnato in solenne corteo dalla città commossa, fu tumulato nella cattedrale di Trapani. Ancora oggi è meta di pellegrinaggi.
In Mons. Iacolino, dunque, come avviene raramente, vi era una perfetta sintonia tra pensiero ed azione, egli sentiva e praticava quello che “predicava”; potremmo dire: “predicava bene e razzolava anche meglio”.
Proprio per questa armonia tra il dire ed il fare, secondo la testimonianza di chi lo ha conosciuto, “la sua parola penetrante scendeva nell’ intimo dell’anima e portava luce di pensiero e fiamma di azione”.
Sebbene Mons. Iacolino, quando gli si venivano rivolte lodi per il suo operato, affermasse: “gli uomini passano, le cose restano”, è doveroso ricordarlo ed additarlo quale esempio di luminosa cristianità.
Con questo spirito, la figlia di Melchiorre, Melina Iacolino, donerà una copia del citato libro di Gerlando Lentini alla Bibioteca “Barone A. Mendola. ” di Favara. In questo modo sarà fruibile a chiunque vorrà conoscere più da vicino quest’illustre figlio di Favara. A tal proposito è stato concordato con la sindaca, Anna Alba, che tale consegna avvenga in seno ad una cerimonia che, alla luce delle problematiche legate al Covid, si è deciso di non celebrare oggi, programmando di darvi luogo a breve.
Il desiderio della pronipote Melina, insegnante in pensione, è che, in considerazione del ruolo di grande educatore che Mons. Iacolino ha rivestito presso i giovani, possa essergli dedicato, in un futuro prossimo, un Istituto scolastico.