Cento anni fa, il 21 gennaio 1921, presso il Teatro San Marco di Livorno, per scissione dal Partito Socialista Italiano, nacque il PCI, divenuto in pochi anni il più grande Partico Comunista dell’occidente. Il Partito dei lavoratori per antonomasia si formo fin da subito anche a Favara.
Sulla nascita, crescita e naturale fine del PCI a Favara, sugli uomini e sulle donne che ne hanno fatto parte, ne abbiamo parlato con lo storico e ricercatore Pasquale Cucchiara.
“Il Partito Comunista Italiano si ramificò, in breve tempo, in tutta Italia, Favara compresa. Lo storico Salvatore Bosco, nel suo libro dal titolo “Il proletariato a Favara”, scrisse che, i comunisti favaresi aprirono una sezione grazie all’impegno dei fratelli Calogero e Giuseppe Giglia, Calogero Saieva e il professor Calogero Vaccaro. Secondo una testimonianza rilasciata da Calogero Diana allo storico Filippo Falcone, fino agli anni 1927-28, il PCI di Favara continuò a riunirsi con relativa tranquillità. In quegli anni, il fascismo si qualificò, in Sicilia, come un prodotto settentrionale e il suo radicamento procedette a rilento”.
Ma le cose andarono complicandosi con l’inasprirsi della dittatura anche dalle nostre parti.
“Nel 1930 – continua nella ricostruzione Pasquale Cucchiara – Calogero Boccadutri, Giuseppe Lombardo, detto “peppi l’orbu” e Antonio Montaperto attivarono la prima cellula clandestina del PCI, ai quali si aggiunsero, nei primi anni ’40, altri militanti come Antonio Palumbo, Giuseppe Quaranta, Giuseppe Cucchiara, Antonio Capodici e Calogero Saieva. Con lo sbarco degli americani e la conseguente caduta del fascismo, nel giro di un mese, fascisti e nazisti vennero spinti fuori dall’isola”.
Nel frattempo, dopo l’ armistizio dell’8 settembre, i tedeschi occuparono il centro -nord Italia e così iniziò la Resistenza, anche Favara, come sappiamo dette il proprio contributo alla lotta partigiana.
“In totale furono 25, di questi di chiara fede comunista furono Ernesto e Giuseppe Pullara, Calogero Fanara, Stefano Piazza e Gaetano Moscato. Nel 1944 a Favara il PCI si riorganizzò grazie alla dedizione di Calogero Saieva. La prima riunione si tenne in casa di Giuseppe Nobile alla presenza di Calogero Boccadutri, Giuseppe Quaranta, Giuseppe Chianetta, Salvatore Bosco, Giuseppe Lombardo e lo stesso Calogero Saieva. I compagni decisero di affittare due camere in via Vittorio Emanuele (di fronte al vecchio caffè Amico) e, successivamente, elessero segretario Giuseppe Quaranta”.
Ma chi erano i comunisti favaresi. “Il tessuto sociale del partito che voleva fare la rivoluzione “che” – come sottotitola la prima pagina di Robinson – non fece, ma forse fece di più e meglio”, era prettamente operaio, composto in larga maggioranza da minatori e contadini, anche se affluirono pochi intellettuali come lo stesso Salvatore Bosco, Gino Sanfilippo e un tale maestro Valenti che abbandonarono presto il partito poiché fortemente osteggiati dalla figura, equivoca e contraddittoria, di Giuseppe Quaranta”.
Successivamente ci fu un cambio generazionale. “Dalla fine degli anni ’50 fino alla metà degli anni ’60 il PCI di Favara iniziò un lento cambio generazionale e dirigenziale. Nel 1963 venne istituita la FGIC, il primo segretario fu Rosario Manganella, e il partito venne guidato dai cosiddetti “3 Lilli”: Lillo Alba, Lillo Lombardo e Lillo Abate”.
Forse il periodo di maggiore impegno. “Lillo Alba era l’intellettuale che riusciva a coniugare meglio la lingua con il cuore – ci dice Cucchiara – si racconta che conoscesse “Il Capitale” di Marx a memoria!. Lillo Lombardo, che pur non essendo un intellettuale “puro”, era un vero capopopolo e, infine Lillo Abate che incarnava il meglio della “originaria” militanza operaia comunista”.
E arriviamo agli anni ’70. “Fu in quegli anni che il Partito compro un immobile e li aprì la sua sede, in via Arco Cafisi, nei pressi della centrale piazza Cavour, e venne utilizzata fino allo scioglimento del Partito. All’epoca, i compagni attivarono una sottoscrizione popolare per contribuire ad acquistare i locali e molti volontari si attivarono, a vario modo e a vari titolo, per sistemarla ed allestirla. Qualche anno fa – ricorda Pasquale Cucchiara – insieme a Vincenzo Cassaro e Salvatore Sorce, ci trovavo in piazza Cavour per un incontro di natura politica e, nell’attesa che arrivassero i nostri interlocutori, venimmo avvicinati da un conoscente di Vincenzo che ci invitò a recuperare alcuni materiali presenti all’interno della vecchia sede del PCI prima che andassero distrutti da alcuni lavori di riqualificazione. Ci dissero che, la società “Parcomita” (che gestisce i beni del PCI) aveva trovato un accordo di massima per vendere questi “storici” locali a dei giovani imprenditori che, intanto, si erano portati avanti con i lavori. Ci precipitammo all’interno della vecchia sede e prelevammo tutta la documentazione che potesse essere utile e passammo tutto il pomeriggio a ripulire e catalogare tutto quel prezioso materiale”.
Torniamo agli anni ’70. In Italia soffiava un forte vento di sinistra che coinvolse la musica, la letteratura, la cultura, l’abbigliamento, le radio libere, la politica e anche una parte della Chiesa Cattolica. Accadde anche a Favara.
“Due esempi su tutti: il “Movimento dei Cristiani per il Socialismo” animato da Luigi Sferlazza, ebbe il grande merito di mettere in discussione e poi sciogliere l’incantesimo che, per quarant’anni, legò elettoralmente i cattolici con la DC; la fondazione di Democrazia Proletaria. Il “piccolo partito dalle grandi ragioni” che riuscì, nel 1983, ad eleggere un consigliere comunale nella persona di Giuseppe Alonge. In questo clima, il Consiglio comunale di Favara prese atto della crescita esponenziale della sinistra e decise di nominare sindaco Calogero Alba (dal 16-03-1976 al 14-09-1978). La fine di quell’esperienza di governo coincise con l’affermazione di un nuovo ciclo politico caratterizzato dall’adesione di molti studenti e intellettuali”.
Un nuovo cambio generazionale. “Si rinvigorì la “ Camera del lavoro”, l’ARCI, l’UISP, il Centro di Cultura Lelio Basso e, naturalmente il Partito e, perché fosse dato loro spazio nei gruppi dirigenti, condussero una durissima battaglia interna di rinnovamento che coinvolse compagni come Antonio Liotta, Carmelo Castronovo, Giovanni Bellavia, Sara Chianetta e tanti altri. Quest’ultima, in quanto donna, sfidò le convenzioni, l’ambiente, e soprattutto il pensiero dominante che riponeva scarsa affidabilità alle donne in politica. Non a caso, fu la prima a ricoprire la carica di assessore nel 1984. In questo clima di cambiamento, venne eletto segretario Carmelo Tinaglia; il primo a dichiararsi apertamente cattolico. Erano gli anni della segreteria di Enrico Berlinguer”.
Nel corso di questa ulteriore metamorfosi, concretizzatasi tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, proliferò all’interno della FGCI l’ultima classe dirigente che successivamente governerà Favara con le sindacature di Lorenzo Airò (dal 4/12/1994 al 3/12/1997 e dal 12/06/2002 al 2007).
La caduta del muro di Berlino, il mito dell’Unione Sovietica, la fine del PCI come fu vissuta a Favara.
“Nel 1989 cadeva il muro di Berlino, nel 1991 l’Unione Sovietica si dissolveva così come il PCI e l’esperienza comunista europea finiva. Questa transizione, in Italia, non fu un coro unanime. A Favara, Salvatore Bongiorno, Antonio Lombardo, detto “Mpari ntò”, Giuseppe Palumbo e pochi altri, non condivisero questa svolta e, in linea con la minoranza guidata da Armando Cossutta, fondarono il Partito della Rifondazione Comunista. Nelle elezioni comunali del 1993, Salvatore Bongiorno venne eletto al consiglio comunale e, l’anno successivo, al consiglio provinciale di Agrigento (lasciando lo scarno ad Antonio Lombardo). Quasi vent’anni dopo, nelle elezioni comunali del 2011, venne eletto, in quota PRC, come indipendente nella Lista del PD, Antonio Palumbo”.
Andiamo un po’ sul personale, la tua “fede comunista”.
“L’anno scorso, insieme al compagno Vincenzo Cassaro, mi sono recato a Livorno, in via San Marco davanti al teatro che prende il nome della via anche per riflettere sul vuoto politico lasciato dal PCI e, soprattutto, sulla mancanza di organizzazioni politiche che possano rappresentarne l’eredità – ci confessa Pasquale Cucchiara – abbiamo notato, con amarezza, le tante bandiere rosse, delle più disparate sigle della frammentata sinistra italiana, che sventolano sul tetto del teatro della scissione di 100 anni fa come a rivendicarne il lascito e l’appartenenza in maniera impropria perché il PCI fu un partito, innanzitutto, unitario.
La divisione della sinistra è una vera “dannazione” come ha scritto Ezio Mauro nel suo ultimo libro. Eppure, la mancanza di movimento democratico e socialista dei lavoratori è un fatto di stretta attualità. Io, Vincenzo e tanti altri crediamo che sia lo spazio politico per riprendere il filo che ci lega con questa storia. Gli approfondimenti, le pubblicazioni e i tanti eventi in programma in questi giorni potrebbero essere la chiave per riprendere questo ragionamento unitario che ricrei identità, appartenenza e conflitto sociale. Non è un sogno ma, come diceva un vecchio saggio, è uno spettro che, prima o poi, ritornerà ad aggirarsi per l’Europa e per il mondo”.