di Giuseppe Maurizio Piscopo
I ziti erano controllati a vista, da soli non potevano farsi una passeggiata, non potevano prendersi un gelato non potevano scambiarsi due parole n‘zuccarate, quelle che si dicono gli innamorati con gli occhi dolci, non potevano scambiarsi un bacio furtivo, erano sempre seguiti da una processione di parenti, e per vedere un film al cinema erano accompagnati dalla sorella minore.
I papà favaresi erano esagerati, gelosissimi con le figlie.
Un giorno due ziti erano assittati vicini nel salotto, era il periodo di carnevale, il padre di lei era stato chiarissimo: se per caso va via la luce, mi raccumannu battiti li manu e cantati… Le occasioni per incontrarsi con le ragazze erano veramente rare, alcune non uscivano di casa se non per andare in chiesa, dalla sarta o da qualche zia per una commissione. Un giorno un picciotto vestito pulito si recò alla Matrice. In chiesa i maschi erano seduti tutti da un lato, il ragazzo stava corteggiando una giovane di cui si era innamorato. Ascoltò tutta la messa cantata e la lunghissima predica dell’arciprete Minnella.
A Favara ci sono persone che entrano in chiesa tre volte: per il battesimo, per il matrimonio e quando muoiono. E dopo il parrino non lo vedono più.
Si perché al parrino davanti gli fanno tanta festa, ma in cuor loro non si fidano, perché il parrino è molto istruito e la sa lunga…In chiesa c’era un gioco di sguardi incredibili, veloci, furtivi, sorrisi, segnali, emozioni, pianti nascosti dalle sciarpe. Qualcuna usava il linguaggio del ventaglio.
Il parrino parlava a tutti ma forse parlava da solo, molti erano distratti! Se la ragazza stava al gioco faceva un sorriso, se mostrava indifferenza e abbassava lo sguardo, voleva dire che non c’era nessun interesse. Il proverbio siciliano recita: “Si la campana n’un senti a prima vuci significa ca u discursu un ci piaci”. I padri erano gli ultimi a sapere degli amori delle loro figlie che si confidavano solo con le mamme o con le amiche.
Ma torniamo al picciotto che per fare le cose come si facevano allora e non “accucciare” male figure, andò a parlare con il padre di lei per dirgli che aveva intenzioni serie, che aveva un lavoro e che era di una buona famiglia e se lui dava il consenso poteva frequentare quella casa. Così il giovane si avvicinò al padre e gli chiese se poteva dirgli una parola.
Quel giorno l’aveva cercato dappertutto, accanto al palazzo Salamone e l’aveva trovato in una saletta del bar Moscato dove c’era un complesso che suonava musica da ballo. Lì ogni tanto si ballava, soprattutto il sabato e la Domenica. Uomini con maschi e donne con fimmini, qualche marito e moglie.
Bastava fare una consumazione per partecipare al ballo. Il padre della ragazza uscì fuori dal bar, per non far sentire agli altri i suoi discorsi, ascoltò con attenzione il giovane, ma non disse nulla, accennò solo un saluto. “Attaccaci i mani a to patri, disse rivolgendosi al giovane”! A casa scoprì che la moglie sapeva tutto dell’amore della figlia e si arrabbiò molto per il fatto che non era stato informato. Nel vedere che il ragazzo era volenteroso e di buona famiglia, lo zio Giovanni qualche giorno dopo, rispose al giovane invitandolo a pranzo la Domenica con la famiglia per spiegare il matrimonio. Immediatamente il giovane con sua sorella, sua madre e sua zia, si recarono dall’orefice per comprare un regalo alla futura zita. Scelsero un anello piuttosto costoso, litigando sul prezzo, e fecero tanto teatro, uscendo tre volte dalla gioielleria e la signora che li chiamava con voce affannata per concludere l’affare, “Vinissi cca, vinissi cca, ci levu 10 mila liri, e ci lu dugnu quantu costa a mia. St’aneddru o zitu ci fa fari na figura di re , chistu è l’aneddru di la regina di Inghilterra l’havi uguali, taliassi a fotografia nu Grand Hotel a sarbavu apposta”!
La Domenica il pranzo venne curato nei particolari: una tavola apparecchiata con una tovaglia di seta ben stirata, con cucchiai e forchette d’argento, acqua, vino, due primi, salsiccia, costi di maiale, patate al forno, insalate, frutta di stagione, cannoli, cassata siciliana, rosolio fatto in casa, biscotti e caffè. Naturalmente la zia Sara quando vide l’anello raggiunse il massimo della felicità, essendo fimmina sperta ed arcera non si fece trovare a mani vuote e al giovane fu regalato un orologio di una marca sconosciuta, che la signora aveva da parte chissà da quanto tempo, presentato come orologio svizzero preciso e infallibile nell’orario, ma che di svizzero non aveva niente. Furono fatti mille complimenti di circostanza al ragazzo e a tutta la famiglia. Ora, c’era un problema: la ragazza voleva un altro, aveva perso la testa per un carabiniere che veniva da Napoli e quindi con il tempo, e per questa ragione il fidanzamento si ruppe.
Il giovane mandò a casa di lei un parente per riprendersi i regali che le aveva fatto, ma la ragazza furba come la mamma, alla quale piaceva molto quell’anello, disse di averlo perso mentre lavava i piatti con l’acqua calda. L’anello a causa del sapone era finito nel lavandino. Questa notizia non fu gradita dalla famiglia che ci rimase molto male, perché continuava ancora a pagare quell’oggetto prezioso. Il giovane deluso e dispiaciuto disse che avrebbe lasciato il paese e che si sarebbe sposato lontano da Favara. Sarebbe andato a cercare una fidanzata a Palma, a Gela, a Lercara, in questi paesi moderni ed evoluti dove quando uno si sposa è la donna che porta la casa, il corredo ed affronta tutte le spese del matrimonio… Purtroppo queste cose molti non le sanno!
Il disegno dello zitaggio è di Tiziana Viola Massa.