Giuseppe Maurizio Piscopo
Sono certo che pochi favaresi sanno che negli anni ‘50 a Favara in via Cafisi c’era una fabbrica di falci molto rinomata, organizzata e portata avanti dalla società: Fratelli Ricotta. E proprio a Gaetano Ricotta, che svolge la professione di pediatra a Parma, chiediamo di raccontarci questo pezzo di storia favarese legato alla sua famiglia, che merita la nostra attenzione affinchè la memoria della nostra comunità non si perda.
Gaetano Ricotta è nato a Favara nel 1954.
Ha studiato al Liceo Scientifico “Leonardo di Agrigento”.
Dopo la maturità si è iscritto alla facoltà di Medicina della Università di Bologna.
Ha conseguito la laurea in medicina e chirurgia.
Dopo la laurea si è specializzato in Pediatria sempre a Bologna.
Ha lavorato per molti anni in Ospedale. Nel 2005 si è dimesso ed ha preso la convenzione pediatrica nella provincia di Parma dove tuttora vive ed esercita.
Ecco il suo racconto:-
“La famiglia di mio padre viveva a Canicattì, un paese vicino Favara.
Mio nonno produceva piccoli attrezzi per l’agricoltura tra cui le falci che andava a vendere nei mercati della zona. Lo aiutava nel lavoro il figlio maggiore, mio zio.
Mio nonno morì all’età di 40 anni a causa di una polmonite, lasciando sua moglie con 6 figli da accudire: il più grande aveva 16 anni mentre la più piccola ne aveva solo 2. Fu allora che mio padre, all’epoca tredicenne, dovette rimboccarsi lemaniche e portare avanti la bottega insieme al fratello maggiore.
Il mestiere del fabbro non era affatto semplice e mio padre e mio zio impararono presto a gestire anche gli affari connessi all’attività. Mio padre percorreva decine di chilometri con la bicicletta carica di manufatti che vendeva nei mercati e nelle fiere.
Subito dopo la guerra aprì un’officina a Favara che all’epoca era un paese agricolo con campagne coltivate maggiormente a grano. Finita la guerra, c’era tanta miseria e tutto erada ricostruire: mio padre mi raccontava che in quegli anni capitava spesso che i contadini pagassero con i prodotti della campagna (frumento, olio ecc.).
Un po’ alla volta, gli affari cominciarono ad andare bene: mio padre e suo fratello costituirono una società e cominciarono a produrre falci su larga scala, spingendosi oltrei mercati locali e le fiere dei paesi limitrofi.
Poi nel 1953 mio padre si sposò e decise di mettersi in proprio, mantenendo però il nome della società che si chiamava: “FRATELLI RICOTTA”. Aveva una bottega e degli operai con cui fabbricava delle falci che venivano vendute in Sicilia e in Italia.
Una volta all’anno mio padre “saliva al Nord” in Piemonte per acquistare i laminati d’acciaio che lui stesso sceglieva accuratamente, verificando che fossero di buona qualità.
Ricordo, che arrivavano nella stretta via Cafisi dei grandi camion colmi di acciaio: c’erano bacchette lunghissime da scaricare.
Inizialmente le falci venivano fatte quasi totalmente a mano. Successivamente costruirono delle macchine che gli permisero di aumentare la produzione, anche se l’artigianalità rimase sempre l’elemento caratteristico e il valore aggiunto del prodotto finale. Mio padre produceva principalmente falci “seghettate”. In particolare, ricordo due fasi del processo lavorativo che mi affascinavano quando andavo nella sua bottega: una era l’attività svolta da una macchina che intagliava i denti della bacchetta di acciaio; l’altra invece era la fase di “curvatura” della bacchetta che, inserita in una macchina, passava dall’essere dritta ad assumere via via la forma della mezzaluna tipica della falce.
Nel periodo in cui doveva consegnare la merce, mio padre lavorava dalla mattina alla sera, senza orari e tutta la famiglia veniva coinvolta nel confezionamento: noi bambini davamo una mano a incollare le etichette sui manici di legno. Ricordo scatoloni di manici a non finire e noi pazientemente impegnati ad attaccare un’etichetta a ciascun manico con la colla Vinavil. L’ultima etichetta che mio padre ha fatto stampare l’abbiamo scelta insieme, prendendo spunto da un’armatura che era disegnata sul mio libro di scuola. Infine, il manico veniva inserito nella falce e si facevano dei gruppetti di sei falci legate con lo spago: le lame venivano arrotolate nella carta, lasciando liberi i manici.
Nel periodo di massima attività, mio padre esportava le falci in tutta la Sicilia e anche in alcune regioni d’Italia. Inoltre, riforniva anche alcuni ambulanti che continuavano a vendere falci per i mercati e le fiere della provincia.
Negli anni settanta con la diffusione delle macchine agricole e le trebbiatrici la produzione della falce andò in declino: mio padre ormai prossimo alla pensione vendette il marchio alla famiglia Dronero in Piemonte che ebbe così l’esclusiva nella produzione delle falci. Lo stabilimento di Dronero è infatti rimasto uno dei pochissimi produttori mondiali, nonostante l’avanzare della meccanizzazione e la doppia crisi sia industriale sia economica.
I fabbri che successivamente aprirono le botteghe a Favara erano quasi tutti ex operai di mio padre che avevano imparato da lui il mestiere del fabbro”.