Giuseppe Maurizio Piscopo
Vincenzo Patti è un pittore di paese che riesce a divertirsi con pennelli e colori. Ha la laurea in Accademia di Belle Arti, Facoltà di Pittura. Profondo conoscitore delle diverse tecniche pittoriche e grafiche, specialista nella difficile arte dell’acquarello, da anni è docente coordinatore di numerose istituzioni, centri culturali sempre seguiti da un alto numero di allievi. Ha partecipato a numerose rassegne culturali di prestigio; ed è stato chiamato a far parte di rinomate scuole. Con la sua arte è riuscito ad avvicinare centinaia di persone alla pittura. Egli dice di se stesso:- “sono nato in una casa stretta, piccola umida e senza sole”.
Egli sostiene che copiare dai grandi maestri aiuti notevolmente a conoscere le differenti tecniche pittoriche. I grandi pittori come Pablo Picasso, Vincent Van Gogh sono stati dei grandi visionari ed hanno attraversato periodi molto difficili nella loro carriera. Ogni artista noto o meno noto ha la sua storia da raccontare. La storia i Vincenzo è una come tante, semplice, povera ma dignitosa di cui va fiero ed orgoglioso. Egli è nato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale in un periodo nel quale tutto era in salita e non esistevano discese.
Ha iniziato a dipingere con la mente e col cuore da sempre, non appena venuto al mondo. Sua mamma, gli diceva che era nato di venerdì col il sangue negli occhi ed è per questo motivo che quel figlio riusciva a vedere là dove gli altri non vedevano.
Vincenzo Patti è figlio del centro storico ed ha vissuto in questi luoghi a lui tanto cari. “…Ha sempre amato questi posti che rappresentano la storia della povera gente: del contadino, del bracciante, del minatore, dei carusi, dell’artigiano, dell’immigrato.
Da bambino, quando poteva, andava in campagna a dare una mano ai suoi genitori, i quali, avevano un’attività per la coltivazione dei fiori. Era un bambino invecchiato metà angelo e metà diavolo più diavolo che angelo.
La scuola la vedeva come una punizione proiettata al rigore con dei maestri che sovente alzavano le mani ed utilizzavano una bacchetta posizionata sulla scrivania pronta all’uso e incutevano paura. Lo facevano per il bene dei ragazzi, dicevano:- “L’arbulu sàddrizza quannu è nicu”!
Per il pittore favarese sono le pietre che conoscono il vero mistero della vita, poiché hanno radici così profonde che partono da molto lontano ovvero da milioni di anni fa. Le Pietre, sono figlie del fuoco, dell’aria, della terra e dall’acqua. La loro forma antropologica è affidata al caso, al vento e alle piogge. Le loro forme naturali metamorfizzate, come per magia, assumono sembianze umane e animali, comunque forme di esseri viventi d’ogni tipo, scolpiti nella materia. Le Pietre, rappresentano la vita, la forza, la robustezza e la voglia di vivere.
Nella sua vita visionaria da sognatore, Patti ha sempre prediletto un paesaggio naturale semplice e squallido, triste, malinconico, abbandonato e poco apprezzato, poiché, questi elementi rappresentano lo specchio della sua anima. Le prime “opere” cominciano a nascere dal 2006 con il manufatto a cui è stato assegnato il titolo: «anima», «apparenze», «sogni inquieti», «sonno profondo», «le piaghe del dolore» … Opere che fanno parte di una collezione privata. Patti è considerato il poeta-pittore della memoria. Ed ora parliamo del libro Memoria e realtà Favara 100 disegni in china appena pubblicato dalla Casa Editrice Medinova.
Si tratta di un lavoro prezioso, una sorta di viaggio nel tempo, un insieme iconografico che recupera e custodisce una realtà deturpata dall’incuria e dall’abbandono. Il libro è un atto d’amore e di accusa ha scritto Antonio Liotta nella prefazione. Vincenzo Patti è perdutamente innamorato del suo paese, un amore difficile e complesso che nasce da lontano che richiama alla sua mostra “Favara dimenticata” allestita all’Istituto Martin Luther King. Nel vedere i pregiati disegni di questo libro mi sembra di fare un viaggio nel vecchio centro storico con i crolli che cancellano la memoria. Questi ritratti sono come scavi psicologici, archeologia dell’anima e gli squarci diventano lacerti di vite, identità perdute, memoria che svanisce ineluttabilmente. Il libro grazie agli amici che hanno scritto pagine straordinarie, Carmelo Antinoro, Salvatore Di Marco, Giovanni Marchica, Nuccio Mula, Diego Romeo, Antonio Patti hanno consegnato un documento da custodire e tramandare alle nuove generazioni. Mi ha colpito molto il riferimento dell’architetto Carmelo Antinoro sulla descrizione dei quartieri favaresi paragonati a quelli arabi e al suo confronto con l’alfabeto islamico. “C’è tanta architettura nel libro, quell’architettura dei poveri che fa cogliere un senso pregnante di tristezza, abbandono e desolazione. Quelle case passano e scompaiono come passano anonimi tutti coloro che le hanno abitate: uomini, donne, vecchi e bambini senza un nome e senza una storia che ne conservi la memoria. La vita cambia anche a Favara, le piazze, i cortili, i vicoli, le case non sono più quelle di cento anni fa ha scritto Salvatore Di Marco. Nuccio Mula ha descritto questo libro come una Via Crucis laica sui tragitti della Passione di Cristo. Mentre Diego Romeo ha citato una frase di Leonardo Da Vinci inserita nel trattato sulla pittura:- “La pittura è poesia silenziosa”. E poi ha citato Borges:-“Ho l’impressione che la mia nascita sia alquanto posteriore alla mia residenza qui. Risiedevo già qui, e poi vi sono nato”.
Il libro Memoria e realtà Favara 100 disegni in china Medinova Editore ha un suo grande fascino e merita di essere letto ed apprezzato da tutti i favaresi e i siciliani che vivono in vari paesi del mondo.