Filippo Sciara
Recentemente, in data 31 gennaio 2022, su lodevole iniziativa dei consiglieri comunali Pasquale Cucchiara, Angelo Airò Farulla e Salvatore Bellavia, è stata avanzata la proposta di modificare la denominazione di piazza Cavour “con un toponimo che valorizzi meglio il salotto di città e le nostre radici. È un’istanza che viene da lontano ma che non ha mai avuto sfogo compiuto”. I tre consiglieri hanno invitato le diverse parti sociali, i giornalisti, le associazioni e gli storici di Favara ad avanzare proposte e a condividere soluzioni che possano essere all’altezza delle aspettative dei cittadini. Si veda l’articolo a firma di Giuseppe Moscato nel giornale Sicilia On Press. Finalmente la classe politica favarese si qualifica all’altezza del compito loro assegnato, con una iniziativa di grande valenza culturale, per la valorizzazione delle radici storiche di Favara.
Ci sentiamo chiamati in causa, in prima persona, avendo noi già proposto, nel 1997, nel 2002 e nel 2012 il cambio della titolazione della piazza Cavour.
Nel lontano 1997, abbiamo per primi sollevato il problema del cambio della denominazione della piazza Cavour. Nel nostro libro, Favara guida storica e artistica, nelle pp. 23-28, con riferimento alla nostra piazza, abbiamo scritto: «Iniziamo il nostro itinerario portandoci nella centrale e grandiosa piazza Castello, oggi intitolata a Cavour. Questa scenografica piazza, che nasce con il sorgere del casale medievale di Favara nel XIII sec., è sovrastata dal castello medievale, detto dei Chiaromonte, che, con il recinto fortificato, ne occupava tutto il lato orientale […] Nel corso dell’800, la piazza continuò a chiamarsi piazza pubblica, largo piazza, piazza Castello […] viene oggi detta semplicemente “a chiazza” e i Favaresi stentano ancora, a distanza di più di un secolo (troviamo piazza Cavour già nel 1882), ad assimilare il nome dello statista piemontese Camillo Benso conte di Cavour che, assolutamente estraneo alla nostra storia locale, occupa il posto di primo piano nella toponomastica urbana. Sarebbe auspicabile ridare alla piazza principale l’antico toponimo di piazza Castello, ricco di significato per la nostra storia».
Diversi anni dopo, nel corso del 2002, per un breve tempo, ci siamo trovati a far parte della commissione toponomastica del Comune di Favara, mentre era sindaco il Prof. Carmelo Vetro. Alla prima seduta, la delusione fu grande: tutto era stato già stabilito, non c’erano più strade da titolare, a parte una piccola viuzza della estrema periferia del centro urbano.
Una proposta da noi avanzata, in seno alla commissione, che venne messa a verbale, fu il cambio della titolazione della piazza oggi chiamata Cavour. Dopo avere spiegato le nostre motivazioni, proponevamo di titolare la piazza all’imperatore Federico II di Svevia, secondo i nostri studi costruttore del castello, oggi detto dei Chiaromonte e fondatore di Favara (si veda per questo la nostra guida storica e artistica alle pp. 30-50).
La nostra proposta veniva giudicata, da alcuni, “rivoluzionaria“ e “di parte”, in quanto tendeva ad avvalorare la nostra tesi sulle origini di Favara, quindi non veniva accettata. Dopo un ampio e acceso dibattito, convintissimi della non idonea e meritata titolazione della nostra piazza principale a Camillo Benso conte di Cavour, chiedevamo che almeno fosse ripristinato il vecchio toponimo di “piazza Castello”, primo passo per iniziare a detronizzare la cultura piemontese del Risorgimento italiano, che ha letteralmente violentato il cuore del nostro centro storico.
Da una rapida analisi abbiamo, infatti, rilevato ben 30 toponimi di contenuto risorgimentale, che hanno contribuito, non poco, a cancellare le nostre radici storiche. Oltre alla piazza Cavour ricordiamo le piazze Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, fratelli Cairoli, Felice Cavallotti, della Libertà, della Vittoria e le vie Vittorio Emanuele II, Re Umberto, Regina Margherita, Re Carlo Alberto, Risorgimento, Rosolino Pilo, Carlo Pisacane, Ciro Menotti, Ruggero Settimo, Goffredo Mameli, Luigi La Porta, Alfonso La Marmora, Isidoro La Lumia, Giuseppe La Farina, Michele Amari, Vincenzo Gioberti, fratelli Bandiera, Nino Bixio, Francesco De Sanctis, Francesco Crispi, Bettino Ricasoli, Calatafimi e infine Dei Mille. Senza volere assolutamente dissacrare l’epopea e il mito del nostro glorioso Risorgimento, rileviamo che sono stati imposti nel cuore del nostro centro storico con cancellazione di molti toponimi che recavano tracce importanti della nostra storia locale!
Anche la nostra proposta di ripristinare la titolazione di “piazza Castello”, al posto di piazza Cavour, venne rifiutata dagli altri componenti della commissione, perché giudicata impopolare. Avrebbe cioè costretto i residenti in piazza a cambiare tutti i loro documenti ufficiali con disagio e aggravio di spese. A nulla valsero le nostre argomentazioni che dimostravano, con dati alla mano, che in quel periodo i residenti in piazza non superavano le 50 persone.
Proponevamo che il comune si facesse carico dei disagi dei cittadini e portavamo l’esempio di Agrigento, dove gli amministratori avevano cambiato la titolazione delle vie “Favara” e “Nuova Favara” con le corrispondenti vie Ragazzi del 99 e Papa Luciani, con rinnovo di documenti a diverse centinaia, forse qualche migliaio, di cittadini, senza farsi alcun problema, nemmeno culturale e storico. Infatti, la “via che porta a Favara” esisteva già nel Medioevo e ricalcava la strada del periodo Romano e, molto probabilmente, di quello Greco. Anche in questo caso un toponimo di grande valore storico “via Favara” è stato, da amministratori inetti, violentato e sostituito da altro che sicuramente contribuisce a cancellare le nostre radici storiche.
Nel 2013, ad Agrigento, Il sindaco Marco Zambuto ha intitolato a Carmelo Lentini la strada di Villaggio Mosè (già intitolata a Giovanni Verga) nel tratto che va da via Boris Giuliano a via Capitano Russo. Altro provvedimento adottato dal sindaco riguardava l’intitolazione dell’ex via Favignana di Monserrato a Placido Rizzotto. Si veda il giornale La Sicilia del 3 Gennaio 2013 p. 26.
Come si può benissimo notare, ad Agrigento, gli amministratori non si fatti certo problemi a far cambiare i documenti ufficiali ai cittadini residenti in quelle strade. Il cambio della titolazione di una strada o piazza cittadina è stato sempre effettuato, in ogni parte d’Italia. Esiste, infatti, una legge specifica, già dal periodo fascista, che ne regola il cambio.
Dalle sedute con la commissione toponomastica di Favara (due o tre in tutto se ricordiamo bene), nel 2002, ne uscivamo completamente delusi, rilevando come personaggi importanti della nostra storia dovevano rimanere esclusi, per uno strano destino, e altri al contrario insignificanti, privi di qualsiasi valore storico, dovevano essere ricordati con una targa stradale, solo perché graditi da persone politicamente influenti!
Il cambio della titolazione della piazza Cavour, in quella di piazza imperatore Federico II di Svevia. è sempre rimasta nel nostro animo e l’abbiamo conservata in attesa di tempi migliori, quando la coscienza storica e culturale della classe politica e intellettuale favarese fosse superiore al provincialismo gretto che fa, anche della titolazione di una via cittadina, un momento di favoritismo per raccattare voti.
Nel 2012, Dino Varisano, senza avvisarci, facendo “sua” la nostra idea, portava a conoscenza di tutta la cittadinanza e della classe politica, la proposta di cambiare il toponimo di piazza Cavour in quello di imperatore Federico II di Svevia. Si veda per questo l’articolo-intervista “Perché ostinarsi a chiamarla piazza Cavour?”, pubblicato sul giornale Sicilia On Press, giovedì 20 dicembre 2012. La pubblicazione dell’intervista suscitò subito un’accesa reazione con diverse opinioni, che si sono accavallate e fronteggiate, alla quale noi, naturalmente, abbiamo partecipato, con pubblicazione di diversi articoli sul giornale Sicilia On Press, e presentando una richiesta ufficiale al sindaco di Favara, per il cambio della titolazione di Piazza Cavour. Il confronto culturale, a causa del livello mediocre e sterile della discussione, non apportò a nessun risultato utile e l’argomento del cambio della denominazione della piazza Cavour fu accantonato.
La nostra tesi sulle origini federiciane del castello di Favara è stata giudicata valida dalla commissione scientifica che studia i castelli di Sicilia. Infatti, nel 2000, ci chiedeva di scrivere una nota storica sul castello di Favara, che veniva pubblicata come “aggiornamento” nel libro “Castelli medievali di Sicilia, guida agli itinerari castellani dell’isola”, Palermo 2001, p.119, edito a cura della Regione Siciliana, Centro Regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione dei Beni Culturali e Ambientali.
Fu anche in virtù di questo grande riconoscimento, che, nel 2002, in seno alla commissione toponomastica del Comune di Favara, chiedevamo di mutare la titolazione di piazza Cavour in quella di piazza imperatore Federico II di Svevia, ma come detto prima non sortì alcun effetto positivo.
Riguardo alla figura di Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), rileviamo che già tra i suoi contemporanei non godeva di molta popolarità. Concepì l’Unita d’Italia raggiungibile con mezzi esclusivamente diplomatici, guardando alla rivoluzione del popolo con molto distacco, utilizzandola solo per opportunismo politico. Dopo la sua morte, i concorsi banditi dalle società storiche per una monografia popolare, non ebbero successo. Trovò i suoi apologisti soltanto nei suoi stretti collaboratori e familiari. I suoi oppositori furono invece parlamentari che non ne condividevano i suoi metodi di lotta, basati più sulle congiure che sulla rivoluzione del popolo. Tra tutti emergevano tre personaggi che ebbero grande rilievo nella formazione spirituale del loro tempo. Si trattava di Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), di Angelo Brofferio (1802-1866) e di Giuseppe Mazzini (1805-1872).
Il Guerrazzi, repubblicano e mazziniano, ci ha regalato una curiosa descrizione della figura del Cavour. Portatosi a Torino per incontrarlo, giunto nella sua casa riferì che questa non aveva per niente un gusto classico, latino, rinascimentale: le scale erano luride, le porte nascoste da una tenda di panno rosso che ricordava le baracche di cocomero di Firenze, il corridoio era ingombro di stivali, l’anticamera presentava muri con figure che sembravano dipinte col sugo di regolizia, le sedie erano vecchie e sgangherate, gli armadioli unti e bisunti ad uso di riporre i lumi. Il conte di Cavour vestiva un gabbano da camera sudicio, che sembrava anche lacero, con uno straccio al collo, e nel capo una papalina laida e logora, «Non quadri, non arnesi che svelassero gusti eleganti o amore d’arte». Il Guerrazzi, concludeva: «E questi, dissi fra me è l’uomo che ha da comprendere l’Italia? Sarà […] che il Conte di Cavour possedesse ingegno di certo non nego […] chi non ha senso di arte non può intendere l’Italia».
Cavour che si era formato culturalmente a Parigi, a Ginevra, a Londra, non aveva la virtù dell’italianità. Lo aveva riferito anche Vincenzo Gioberti (1801-1852), considerato tra le principali figure del Risorgimento italiano: «Il Cavour non è ricco di queste doti, anzi per i sensi, gli istinti, le cognizioni è quasi estraneo da Italia; anglico nelle idee, gallico nella lingua». Il Guerrazzi rimproverò al Cavour di non avere alcuna fiducia nel popolo: «Voi non avete fede nel popolo, ed io ce la pongo grandissima». Inoltre, non lo poneva tra i liberali: «Promuoverà Cavour le libertà? Io non lo credo […] mi pare uomo ad uso patrizio inglese e anche più stretto». Anche dopo la morte di Cavour, il Guerrazzi non fu clemente e in una lettera ad un amico scrisse: «Mio signore, sull’anima mia Cavour non è per me un uomo: è un sistema di corruzione, di traffico, di viltà e di miserie, per l’Italia, a profitto del Piemonte» e ancora «Il Cavour non fu di cuore né di intelletto grande; non creatore, acconciatore d’Italia», alludendo a Nizza e Savoia lo definiva: «non fattore ma tosatore dell’unità italiana». La polemica del Guerrazzi contro Cavour trovò il suo inno maggiore nelle seguenti parole: «Camillo, non di quei Camilli che dissero a Brenno: con la spada e non con l’oro intendo riscattare Roma; Camillo degenerato che non seppe far altro che costringere popolo e monarchia a passare sotto le forche caudine di Napoleone III».
Angelo Brofferio, rappresentante della piccola borghesia rurale, definì Cavour l’aristocratico, il dittatore, «Il nobile piemontese che si vergogna dell’alleanza del popolo». Nell’impresa di Crimea, il Brofferio considerava antipatriottico l’intervento piemontese deciso da Cavour, perché collocava la bandiera del Piemonte accanto a quella degli Asburgo. L’alleanza del Piemonte era vista al servizio degli interessi inglesi, e voluta da Cavour per la sua anglomania da cui il soprannome di «milord Risorgimento».
Francesco Crispi (1818-1901), a distanza di anni, chiedendosi che cosa avesse realizzato Cavour rispondeva «Nient’altro che diplomatizzare la Rivoluzione». Cesare Cantù (1804-1895) storico, letterato, politico, disse del Cavour: «Ingrandire il Piemonte, fu l’unico suo concetto […] cifre non idee; l’interesse della dinastia non quello del paese […] non gli veniva una frase dal cuore […] politico, non uomo di stato, seppe tenersi a galla senza dirigersi a fissa meta oppure oltrepassandola. Federalista al congresso di Parigi, dualista dopo Villafranca, unitario dopo Marsala […] considerò l’Italia come un Piemonte ingrandito; a lui toccò la prima parte del dramma: il demolire; al che bastano gli insensati, i furibondi». Si veda Cesare Cantù, Della indipendenza italiana, cronistoria, Torino, 1872-73, p. 559.
Giuseppe Mazzini, politico e filosofo, ebbe sempre giudizi di condanna che hanno un peso superiore rispetto ai precedenti, nascono da una sfera culturale più alta e più pura. Mazzini fu l’educatore che non concepì la politica dissociata dalla morale, che voleva riformare le coscienze mentre le faceva procedere sulla via della rivoluzione. Il Cavour, che vinceva perché sapeva intrigare, privo di scrupoli di qualsiasi natura politica o sentimentale, non trovava posto nel cuore del Mazzini che lo considerava il «patrizio sprezzatore» degli interessi nazionali, quasi uno straniero all’Italia: «Voi siete con l’Austria» disse nel 1855, «Voi siete con la Francia di Napoleone III» disse nel 1859. Lo considerava il corruttore del giovane popolo italiano che «sostituiva una politica d’artificio e di menzogne alla severa, franca, leale politica di chi vuol risorgere», che «insegnava il machiavellismo in secoli nei quali la coscienza è mutata». Lo accusò ancora di essere «tenero della monarchia piemontese più assai della Patria comune». Infatti, riferiva: «voi non cercate se non un ingrandimento territoriale del Nord Italia».
Il Mazzini fu un precursore dell’ideale unitario, Cavour vi giunse quando i tempi furono maturi, prendendo l’iniziativa dalle circostanze più favorevoli. Significativa è in tal senso la lettera del Cavour a Urbano Rattazzi (1808-1873), esponente della sinistra al Parlamento piemontese, del 12 Aprile 1856: «Ho avuto una larga conferenza con Mazzini; è sempre un pò utopista, non ha dimesso l’idea di una guerra schiettamente popolare, crede nell’efficacia della stampa, vuole l’unità d’Italia e altre corbellerie». Nel 1860, Cavour, al conte Carlo Pellion (1806-1883) di Persano, politico e ammiraglio della flotta italiana, dichiarava: «L’arresto del Mazzini è uno dei migliori servizi che si possa rendere all’Italia».
Massimo D’azeglio (1798-1866) politico, pittore e scrittore, che fu, prima compagno di Cavour e poi sulla sponda opposta, disse di lui: «è un vero gallo da combattimento», è «despota come un diavolo», «è fatto apposta per menare affari e Parlamento», è «satanico».
Lo stesso Cavour, cosciente della sua poca popolarità, ebbe a dire: «Sparisca il mio nome, perisca la mia reputazione, purché l’Italia sia nazione».
I biografi apologisti di Cavour, nella ricostruzione della sua figura storica, si lasciarono guidare da ricordi personali, da impressioni o colloqui intimi, quindi memorie più che narrazioni critiche. Ricordiamo, fra questi, Giuseppe Massari (1821-1884), collaboratore e confidente di Cavour, che lo considerava l’unico uomo capace di salvare la società o dall’anarchia o dal dispotismo, Michelangelo Castelli (1808-1875) che, opportunista come Cavour, ne esaltava e ne giustificava ogni sua azione e Domenico Berti (1820-1897) che lo considerava «un uomo di grande autonomia che fu tutto opera di se stesso».
Infine, ricordiamo William De La Rive (1827-1900), cugino del conte di Cavour per parte di madre, che gli riconosceva il merito di essersi adoperato a trasformare il popolo italiano cresciuto sotto la tirannide, in un popolo capace di apprezzare il senso della libertà. Per i giudizi sopra riportati sul Cavour si veda “Opinioni intorno a Camillo Cavour” di Ettore Rota, pp. 933-953, in Questioni di storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, a cura di Ettore Rota, Milano,1951.
Oggi, anche se non mancano autori che considerano il Cavour un grande diplomatico e statista, il vero regista del Risorgimento italiano, i metodi da lui utilizzati (opportunismo, congiura, baratto), e i fini da lui perseguiti (estensione della cultura e dell’egemonia piemontese e dei Savoia a tutta l’Italia), lo pongono tra le persone più ambigue di tutto il processo risorgimentale.
Da quanto sopra esposto, emerge chiaramente che bisogna fare giustizia e avere il coraggio di togliere il nome di Cavour dalla nostra piazza principale. Cavour, al di là del suo valore, come uomo del Risorgimento, sicuramente da ridimensionare, è del tutto estraneo alla nostra storia locale.
Ci rivolgiamo al sindaco di Favara Antonio Palumbo, con i suoi assessori, a tutti i consiglieri comunali, particolarmente a Pasquale Cucchiara, Angelo Airò Farulla, Salvatore Bellavia, e a tutte le forze politiche e intellettuali della società civile di Favara, affinché il nome dell’imperatore Federico II di Svevia si riappropri della nostra centrale piazza, che presenta, come impianto urbanistico, la sua impronta culturale.
Rileviamo, infatti, che il primitivo impianto urbanistico medievale di Favara (300 m x 400 m), di forma romboide, caratterizzato da una crux viarum principale e da una grandiosa piazza centrale (l’attuale intitolata a Cavour), per quanto riguarda i moduli costruttivi, ricalca in maniera sorprendente quelli presenti nella Terra di Eraclea, oggi Gela (300 m x 800 m), di matrice federiciana, essendo stata fondata dallo stesso imperatore Federico II nel 1233.
Molti dati storici ci inducono a ritenere che il palazzo medievale di Favara venne edificato per volere di Federico II, come residenza di caccia, legata alla foresta regia detta Flomaria Burraido, oggi fiume Burraiti (si veda Filippo Sciara, Origini sveve del castello di Favara, in «Archivio Nisseno», anno XI, n. 21, luglio-dicembre 2017, pp.128-139).
Da una preziosissima pianta della vecchia Chiesa Madre dell’Ottocento di Favara, che porta la data del 31 maggio 1887, ricaviamo che l’originaria chiesa era a pianta basilicale e a croce latina, caratterizzata dalla presenza di absidi con pareti rette e inserite in un disegno perfettamente quadrato che, dal punto di vista architettonico, risultava di pura concezione cisterciense. Questa chiesa medievale era molto simile, nello schema d’impianto e nei moduli costruttivi, alla grande basilica cisterciense del Murgo, presso Lentini, la cui costruzione veniva iniziata dall’imperatore Federico II di Svevia, dopo il 1220 e mai completata. La chiesa medievale di Favara, distrutta nel 1892, costituiva una importantissima testimonianza architettonica cisterciense del periodo Svevo, che arricchiva e rafforzava l’origine federiciana dell’intero abitato (si veda Filippo Sciara, Le origini cisterciensi della chiesa parrocchiale di Favara nel periodo Svevo, in Atti del convegno internazionale di studi, Sicilia millenaria. Dalla microstoria alla dimensione mediterranea, IV edizione, Parco Museo Jalari, Barcellona Pozzo di Gotto (ME) 10-11 luglio 2021, a cura di F. Imbesi e L. Santagati, in «Galleria», Supplemento n. 2, Gennaio-giugno 2021, pp. 493-561).
In conclusione, titolare la nostra centrale e bellissima piazza all’imperatore Federico II di Svevia, costituisce un’operazione di grande rilievo storico e culturale, che rende giustizia ad un personaggio che, per quanto sopra detto, è da considerare il fondatore della città di Favara nel Medioevo.