Quest’anno ricorre il 77° anniversario della Resistenza. Ne parliamo con lo storico e ricercatore Pasquale Cucchiara, che da quasi un decennio ricerca biografie di partigiani e antifascisti favaresi. Storie documentate anche attraverso le pagine del nostro giornale e raccontate nel libro “Altri uomini – storie di antifascisti e partigiani favaresi”. Un’alterità di profili, storie e vicende che confermano come furono variegate e travagliate le motivazioni che spinsero uomini e donne a combattere contro l’oppressore nazifascista.
Quest’anno Pasquale Cucchiara ci fa conoscere il partigiano Calogero Pullara, alla luce del ritrovamento di nuovi documenti, e di notizie biografiche che sono state ritrovate anche dallo storico Calogero Castronovo fra i faldoni del casellario politico e le carte dell’archivio del tribunale di Agrigento.
“Purtroppo la ricorrenza del 25 Aprile 2022, ricade in un momento storico avvelenato nei confronti dell’ANPI – ci dice Pasquale Cucchiara che è componente della Sezione di Favara dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – la “stampa mainstream” prova a danneggiare l’immagine e la credibilità dell’associazione accusandola di equidistanza rispetto il conflitto Russo-Ucraino. I partigiani sanno distinguere gli aggressori dagli aggrediti e il loro impegno è esclusivamente orientato alla risoluzione del conflitto. I partigiani non si tirano per la giacchetta – continua Cucchiara – del resto, è proprio la Resistenza a dimostrare come all’interno di un vastissimo movimento di Liberazione potessero coesistere sensibilità politiche e posizioni talvolta diametralmente opposte, nonostante fossero tutti accomunati da un forte sentimento antifascista. Un po’ come oggi, siamo tutti compatti nel condannare l’offensiva voluta da Putin.”
Ma ecco il ricordo di Calogero Pullara nella ricerca di Pasquale Cucchiara. “Nato a Favara il 24/10/1903, Calogero Pullara, come si legge nella scheda della Prefettura di Girgenti, “sin da giovanotto, si è mostrato sempre avverso alle istituzioni dello Stato”. Inoltre, frequentò i comunisti della rete antifascista agrigentina come Domenico Cuffaro e Cesare Sessa facendosi notare in tutte le manifestazioni ostili al regime con profitto perché “molto intelligente e dai modi persuasivi” .
Nel dicembre del 1926 venne prima denunziato e poi ammonito dalla Commissione provinciale come persona pericolosa per l’ordine nazionale. Il suo fascicolo fu inviato al ministro degli Interni. L’anno seguente venne arresto e poi rilasciato. Nel luglio del 1928 si trasferì a Campobello di Licata per lavoro facendo perdere le sue tracce alla prefettura di Agrigento. Venne ritrovato nel 1930 ad Agrigento e condannato ad una pena di reclusione di 10 mesi e 6 giorni per contravvenzione all’ammonizione. Espiata la pena, ritornò a Favara per scontare la vigilanza accessoria speciale dalla durata di 4 anni. Nel 1932 chiese e ottenne il trasferimento a Roma presso la sua famiglia. La sua attività antifascista non si eclissò con il trasferimento a Roma; anzi, al contrario, divenne più incisiva.
Non a caso, in una riserva della questura di Roma del 6 aprile del 1932 si legge che Calogero è stato “inserito nelle persone pericolose da arrestare in determinate circostanze (categoria 2ª) e che l’anno successivo viene ritenuto capace di prendere parte ad azioni delittuose collettive (categoria 3ª)”. Il 30/10/1933 convolò a nozze. La data è riportata nel suo fascicolo personale conservato presso l’ufficio anagrafe del comune di Favara.
Dopo un breve trasferimento a Bruxelles con la sua famiglia, dove peraltro continuò ad intrattenere rapporti con vari antifascisti italiani, ritornò a Roma. Venne pedinato fino al 1942 quando il capo della divisione della polizia politica lo radiò dal novero dei sovversivi. Con ogni probabilità, con l’inasprirsi della guerra, il regime non riuscì a controllare l’attività sovversiva degli antifascisti al punto che Pullara aderì alla brigata partigiana “Bandiera Rossa” (La formazione era espressione del “Movimento Comunista d’Italia” che si riconosceva nel giornale Bandiera Rossa) senza che l’opprimente regime se ne rendesse conto.
Il suo contributo nella Resistenza si sviluppò dall’8/09/1943 al 4/06/1944 con il grado di Capitano e, come documenta il comitato provinciale ANPI Roma, gli venne riconosciuto, la qualifica di partigiano il 26/11/1949. La brigata “Bandiera Rossa” combatté al di fuori del controllo sia del PCI sia del CLN in quanto avversi alla “svolta di Salerno” . In sostanza, avevano posizioni filo staliniane, rivoluzionarie e volevano “fare come in Russia”. Nonostante le posizioni radicali, la brigata “bandiera rossa” fu la più grande e popolare di tutta la capitale. Nella stessa brigata, combatterono i fratelli Carlo e Matteo Matteotti, figli di Giacomo, intellettuali come Guido Piovene, il tenore Nicola Ugo Stame e Ernesto, fratello minore di Calogero, nato a Favara il 29/11/1916, di professione motorista. Il suo contributo nella Resistenza, come riporta il comitato provinciale ANPI Roma, si estese dal 9/09/1943 al 4/06/1944 con il grado di gregario. Il 30/09/1946 gli venne riconosciuta la qualifica di partigiano.
Il fatto più clamoroso avvenne in occasione del ventiseiesimo anniversario della rivoluzione Russa. Quel 7 novembre del 1943, come si legge sulla rivista Jacobin Italia, il giovane Lillo Pullara si arrampicò fino alla cima dell’alberone sulla via Appia (crollato nel 2015) per ammainare la bandiera dell’Unione Sovietica sulla capitale invasa dai nazisti. Durante l’impresa venne sequestrato dai fascisti il sottotenente Luigi Lo Bue; originario di Cammarata. Parallelamente, altri militanti della brigata incisero delle scritte propagandistiche lungo il Tevere e nelle piazze principali inneggianti ai comunisti tedeschi e all’internazionalismo proletario ed esposero altre bandiere rosse in altre parti della città. In alcuni volantini c’era scritto: La fame infuria / Ci treman l’ossa/ Tra poco sventola/ Bandiera rossa!
Il mese successivo, Pullara venne arrestato e torturato nella prigione SS di Via Tasso. Come sostiene lo storico inglese e redattore europeo di Jacobin Usa, David Broder , nel marzo del 1945 i comunisti della capitale avrebbero avuto l’occasione di invadere il Viminale e issare la bandiera rossa, durante le sommosse provocate dalla fuga del generale fascista Mario Roatta ma non lo fecero forse perché due anni prima, a Casablanca, i potenti del mondo avevano deciso che l’Italia sarebbe transitata sotto la sfera di influenza atlantica. Infatti, ad oggi, in Italia sono attive 120 basi militari NATO.
Per quanto riguarda l’indomito Calogero Pullara, secondo lo stato civile del comune di Favara, è deceduto all’estero in data ignota. Il suo impegno politico, insieme a quello di tanti e tante, dimostra come una componente ideologicamente minoritaria del movimento partigiano si sia configurata come organizzazione di massa in una delle più importanti capitali europee.
Mi piace rammentare che, all’interno della brigata romana, oltre ai favaresi Calogero e Ernesto Pullara e a Luigi Lo Bue, militarono altri cinque agrigentini: Alaimo Giuseppe (Licata), Alaimo Salvatore (Racalmuto), Di Rosa Giuseppe (Canicattì), Montana Giuseppe (Ravanusa) e Pullara Giuseppe (Bivona)”.