Quattro chiacchiere su equità di genere, maternità e ambizioni professionali
Alle donne che, non senza fatica e impegno pantagruelico, sono state capaci di emergere e brillare dedichiamo uno spazio per raccontarsi e raccontare, fuori da ogni stereotipo di genere, cosa significhi essere donne e cosa fare per un vero empowerment al femminile.
Quella di oggi è una voce d’eccellenza. La voce di una donna leader, energica, stimata e apprezzata in lungo e in largo nella Provincia di Agrigento: la dottoressa Mariarita Falco Abramo, Direttore Responsabile del reparto di Ginecologia e Ostetricia del P.O. San Giovanni di Dio di Agrigento.
A lei abbiamo chiesto di raccontarci la complessità e la bellezza dell’essere una donna, mamma e professionista realizzata. Con grande naturalezza e genuinità ci ha risposto facendo trasparire una delicata e straordinaria consapevolezza.
Che cosa rappresentano per lei la carriera e il lavoro?
«Io credo che il lavoro sia uno strumento di indipendenza della donna. L’opportunità di affermare sè stesse all’interno della società passa anche dall’avere una propria autonomia economica. Con riferimento alla carriera, l’ambizione di raggiungere una posizione apicale nasce dall’impegno quotidiano e dalla voglia costante di miglioramento che personalmente ha fatto crescere in me il desiderio di potere partecipare in prima persona a cambiamenti nella gestione e organizzazione di una realtà lavorativa in cui io insieme ad altri collaboratori credevamo e continuiamo a credere».
Ritiene che una donna per raggiungere i vertici debba necessariamente fare delle rinunce?
«L’unica cosa a cui ho sicuramente dovuto rinunciare è stato il tempo libero da dedicare a me stessa perché ho chiaramente preferito dedicarlo alla famiglia».
Pare che la maternità continui ad essere il primo motivo di abbandono del lavoro o del suo ridimensionamento. Cosa ne pensa?
«È senz’altro vero che molte donne decidono di ridurre le ore lavorative o addirittura di abbandonare il lavoro dopo il parto. Probabilmente questo accade per la carenza di strutture e servizi integrativi, anche all’interno dei luoghi di lavoro, che consentirebbero di poter gestire al meglio i bambini e la genitorialità consentendo, per esempio, alle mamme di potere andare a trovare i bambini nelle pause di lavoro. Io ho avuto la fortuna di poter contare sull’aiuto dei nonni per i primi due anni della vita dei mie figli e questa possibilità ci ha dato l’opportunità di far crescere i nostri bambini a casa loro, circondati dal calore degli affetti familiari».
Essere genitori impone di confrontarsi con una grossa sfida, quella di gestire il tempo e le assenze. Come si approccia a questi temi?
«Le assenze da casa provocano in me quasi un senso di colpa e un timore che ciò possa provocare problemi emotivi o caratteriali ai miei figli. Motivo per cui cerco sempre di avere con loro un dialogo aperto e mi impegno a soddisfare le loro richieste di attenzioni, condividendo tutti i momenti liberi e coinvolgendoli negli impegni di famiglia extralavorativi. I bambini sono per fortuna molto sereni e quando chiedo loro se vogliano che io cambi lavoro rispondono all’unisono di no. La richiesta che mi rivolgono è in ogni caso quella di una maggiore presenza e troveremo un compromesso, ne sono certa».
Si è mai ritrovata nelle condizione di pensare “avrei preferito essere un uomo”?
«Non ho mai voluto essere un uomo, ma ho spesso pensato che se fossi stata uomo molti percorsi sarebbero stai più facili. A maggior ragione, non ho mai desistito dal voler raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata e non mi sono mai tirata indietro nello sfidare senza timore il maschilismo che mio malgrado impera ancora oggi».